Come finirà con la nomina del procuratore di Roma è ancora presto per dirlo. A ricorrere al Tar contro la nomina di Prestipino alla successione di Pignatone, sono stati Francesco Lo Voi, procuratore di Palermo, il pm di Firenze Giuseppe Creazzo e Marcello Viola, procuratore generale di Firenze, che il 23 maggio 2019 risultò il candidato più votato dalla Quinta commissione del Consiglio Superiore della Magistratura e che venne definito dal pm Luigi Spina, all’epoca consigliere del Csm, come “l’unico che non è ricattabile”. Una nomina certa che venne vanificata a seguito della vicenda che riguardava Luca Palamara e le nomine da parte del Csm, che vedeva Viola parte lesa e non coinvolto nei giochi delle correnti. Ma tant’è, Viola venne “fatto fuori” in quella che appare come una guerra giudiziaria di potere.
Comunque vada il ricorso al Tar, per un po’ l’attuale procuratore Michele Prestipino, continuerà a tenere ben salda la poltrona. Se infatti il Tar desse ragione a uno dei ricorrenti, a decidere sarà il Consiglio di Stato che certamente sarà chiamato ad esprimersi a seguito di ulteriore ricorso da parte dell’eventuale perdente.
I precedenti non mancano. Come nel caso della nomina di Francesco Lo Voi a procuratore di Palermo, quando il Consiglio di Stato annullò la sentenza del Tar del Lazio che aveva bocciato la sua nomina a procuratore. Una nomina che fece molto discutere, visto che Lo Voi non aveva mai avuto incarichi direttivi, a differenza dei concorrenti Sergio Lari e Guido Lo Forte, i quali avevano inoltre più titoli e più anzianità.
Il bubbone sarebbe quindi dovuto scoppiare già, ma così non fu. La commistione tra politica e magistratura continuò nel tempo, così per come forse era sempre stato. La guerra tra toghe ebbe anche risvolti inaspettati. Indagini, processi, accuse di favoreggiamento a “cosa nostra” da parte di magistrati che indagavano su latitanti del calibro di Matteo Messina Denaro – finite con archiviazioni e assoluzioni – che nel frattempo penalizzavano gli indagati ai quali veniva impedita l’eventuale candidatura ai vertici di altre procure.
Come se non bastasse, avvenne uno scollamento anche all’interno del mondo delle forze dell’ordine che risentivano già di fattori endogeni ed esogeni che ne penalizzavano le attività istituzionali. Ai tanti poteri in grado di condizionarne le funzioni, si aggiunse il frutto dello scontro tra giudici che facevano leva sulla presenza di più anime all’interno delle forze dell’ordine. Si arrivò a una disgregazione che portò parte delle forze di polizia – o alcuni suoi uomini – a diventare riferimento di questo o quel magistrato, facendo registrare una serie di anomalie nelle attività di indagine.
Il caso più emblematico è quello del finanziere Calogero Pulici (per anni applicato alla segreteria dell’ex procuratore aggiunto della Dda di Palermo, Maria Teresa Principato) che venne indagato dal Nucleo di polizia tributaria di Palermo (e assolto sette volte) in seguito all’allontanamento dalla Procura, voluto dai vertici dell’ufficio giudiziario, al quale scomparvero misteriosamente il suo pc e due pendrive che contenevano tutti i file delle attività di indagini svolte dall’ufficio della Principato e coperte da segreto istruttorio.
Per chi conosce le dinamiche interne agli ambienti giudiziari, non può passare inosservato il fatto che le indagini sul finanziere e sui due magistrati coinvolti (Marcello Viola e Teresa Principato) che collaboravano sulla cattura di Matteo Messina Denaro, siano state affidate a finanzieri che ben conoscevano il rapporto di collaborazione tra i due magistrati, avendo preso parte a sopralluoghi effettuati da entrambi ed avendo assistito agli interrogatori del collaboratore di giustizia dalle quali nasceva l’indagine che stavano seguendo.
Cosa accadde dunque perché si arrivasse alla rottura tra la Guardia di Finanza e i due magistrati, nonché con il finanziere che proprio all’ufficio della Principato lavorava?
La Guardia di Finanza scalpitava per ottenere un ruolo nelle indagini avviate a seguito delle dichiarazioni dell’allora collaborante Giuseppe Tuzzolino. Poi, intorno i primi mesi del 2015, nel rapporto con la Principato qualcosa comincia ad incrinarsi, tant’è che nel corso di conversazioni tra Pulici e il suo comandante (colonnello Mazzotta) si evince come la magistrato fosse “nera” nei confronti della Finanza, a tal punto che veniva messa in dubbio la possibilità che i finanzieri assistessero ai successivi interrogatori di Tuzzolino. Mazzotta è finanche preoccupato del fatto che ci sia il timore che si sia perso il collaborante. Intanto, le deleghe alla Guardia di Finanza sarebbero “congelate”.
Mazzotta cerca in ogni modo di rimettere in gioco la Guardia di Finanza. Un ruolo nella gestione di Tuzzolino fa gola anche ai finanzieri. Mazzotta, Viola, la Principato e Pulici, oltre che ritrovarsi insieme durante incontri formali (quali il sopralluogo con l’elicottero della Finanza o gli interrogatori di Tuzzolino) si incontrano anche in maniera informale. Ogni occasione, anche una festa di compleanno, può essere buona per il colonnello per ricucire lo strappo con la Principato.
Poi accade qualcosa che lacera completamente il rapporto. Cosa non è dato di sapere…
Pulici nell’agosto 2015 viene “messo alla porta” dai vertici della procura di Palermo e al contempo gli viene intimato dal colonnello Mazzotta di non mettere più piede in Procura. Tant’è che nel dicembre 2015, per recarsi a prendere i propri effetti personali deve chiedere e ottenere preventiva autorizzazione. L’11 dicembre, l’amara scoperta che dalla stanza della dottoressa Principato era scomparso il pc portatile le due chiavette contenenti tutti i file che riguardavano le indagini su Matteo Messina Denaro.
Cos’era successo? Il finanziere era stato denunciato da un collega per molestie telefoniche alla sua compagna. Un’indagine che poi fu archiviata, ma era venuta meno la fiducia da parte dei vertici della procura, o almeno così venne giustificato l’allontanamento del collaboratore della Principato. Intanto dalla procura di Palermo parte un’altra indagine. Su chi avesse fatto sparire il computer? No, su Pulici, per peculato, visto che secondo l’accusa si sarebbe appropriato di un pc vecchio modello, poi donato. Un’indagine, un processo, un’assoluzione. Intanto, però, la Guardia di Finanza aveva finalmente ottenuto una delega legata, in qualche modo, all’ufficio della Principato. Non quella in merito alle indagini scaturite dalle dichiarazioni di Tuzzolino, bensì quella in merito alle indagini sul collega Pulici.
Fu proprio a seguito delle indagini per peculato, che ben presto Pulici si vide presentare alla porta di casa sua i colleghi per effettuare una perquisizione. Alla ricerca del vecchio computer del quale si sarebbe appropriato il finanziere? Certamente, o almeno si suppone, quello che appare meno certo il fatto che il computer oggetto delle indagini potesse essere rinvenuto tra i supporti telematici sequestrati: un personal computer assemblato contenente altri supporti, un cellulare Iphone 6s, un cellulare Iphone 5s, 4 pendrive, un totale di 3 hard disk, oltre ad altro materiale. Tra il materiale sequestrato – secondo la Finanza – c’era quello del quale Pulici aveva denunciato la scomparsa dalla stanza della Principato. Se dubbi potevano sorgere circa le pendrive, è invece certo il fatto che tra il materiale sequestrato non ci fosse nessun portatile da 10 pollici come quello del quale era stata denunciata la scomparsa.
Tutto ciò avveniva pochi giorni dopo che Pulici, il quale era intercettato dai suoi colleghi, riferiva ad un altro collega finanziere dell’intenzione della Principato di estromettere la Finanza da qualsiasi indagine sulla criminalità organizzata (“da qualsiasi lavoro”).
Eppure, proprio a seguito di quella perquisizione venne rinvenuto materiale che permise di indagare Viola, la Principato e Pulici.
Pulici, da collaboratore più fidato della Principato (come la stessa confermerà nel ottobre del 2017 nel verbale di assunzione informazioni redatto presso il Tribunale di Caltanissetta Direzione Distrettuale Antimafia) che in virtù delle sue doti informatiche era incaricato dell’informatizzazione di tutti gli atti della Principato, e che con la stessa aveva sentito il collaboratore Tuzzolino (in quella circostanza era presente anche il procuratore Lo Voi che fece i complimenti a Pulici per le sue capacità) ben presto era divenuto non più meritevole della fiducia dei vertici della procura di Palermo.
Interessante quanto riferì la Principato in merito alle ragioni dell’allontanamento di Pulici dalla sua segreteria. Secondo quanto dichiarato, la Principato ricordava che Lo Voi le aveva chiesto dell’indagine da lei volta con un finanziere di nome Alfonso Chiacchio, il quale prestava servizio presso una caserma del nord, ma durante una delle sue licenza si era recato al Gico perché riteneva di poter e fornire informazioni sulla latitanza di Matteo Messina Denaro. Il Chiacchio, nella circostanza si era rappresentato con un ispettore di polizia. Qualche tempo dopo i due vennero controllati da una volante perché Chiacchio stava armeggiando con una telecamera della sua abitazione e gli intervenuti avevano chiesto conto delle ragioni della sua presenza in loco. All’insistenza della polizia, l’ispettore fece il nome della Principato e questo rafforzò la convinzione del magistrato a non avere più che fare con loro.
A seguito di questi fatti Chiacchio venne considerato un pericolo e Pulici, suo collega al Gico, iniziò a subire sorte analoga.
Ad ogni modo, ricordava la Principato, il procedimento relativo alle informazioni fornite dal Chiacchio e sviluppate dal Gico, vennero archiviate dalla stessa Principato, poichè le stesse erano già note e comunque ininfluenti ai fini delle indagini. Aggiungeva la Principato, che un altro finanziere doveva soldi a Pulici, il quale lo aveva chiamato per ottenere quanto dovuto e il collega presentò una querela nei suoi confronti. Da quel momento vennero iscritti diversi procedimenti penali a carico di Pulici. Ancor più interessante è la dichiarazione, sempre della Principato, in merito all’indagine a carico di Pulici, che venne tenuta estremamente segreta, tanto che a lei lo disse Pulici stesso, al quale lo avrebbe fatto capire il suo comandante dell’epoca, il colonnello Mazzotta. Per tali ragioni Pulici venne allontanato dalla sezione, con una missiva estremamente dura del procuratore Lo Voi.
E il suo comandante? Niente… Vero o meno che sia quanto riferito dalla Principato, e messo a verbale a Caltanissetta nel 2017, circa il fatto che fosse stato Mazzotta a far capire a Pulici dell’indagine che lo vedeva coinvolto, l’unica indagata per questa presunta violazione del segreto d’ufficio (poi assolta) fu la Principato. Sotto la direzione del colonnello Mazzotta, che aveva partecipato con Viola, la Principato e Pulici ad attività investigative, la Guardia di Finanza aveva indagato sul collega e i due magistrati per molteplici reati attribuiti a ognuno di loro per ragioni diverse (accesso abusivo a sistema informatico, violazione del segreto d’ufficio ecc), ma comunque con l’aggravante dell’articolo 7: aver favorito la mafia! Un’attività che non portò a nulla (sotto il profilo giudiziario, visto che ai fini di eventuali sviluppi di carriera così non fu…) se non ad archiviazioni e assoluzioni. Di queste ultime, detentore assoluto del record è Pulici, che ne ottenne ben sette di seguito.
Se lo scambio condiviso di informazioni tra magistratura e forze di polizia negli altri Paesi viene visto come elemento fondamentale per sviluppare un’azione più organica e ottenere risultati importanti, in Italia sembra trasformarsi in una rete inestricabile nella quale rischiano di rimanere impigliati magistrati e appartenenti alle forze dell’ordine impegnati in indagini complesse e delicate. Una rete inestricabile che sembra nascere secondo una logica di poteri che guarda più alla spettacolarizzazione delle inchieste e all’attribuzione dei meriti che non al risultato reale e al trionfo della legalità e della giustizia.
Se fino a qualche anno fa questa era l’accusa che spesso veniva mossa alla magistratura, dinanzi fatti quali quelli descritti, come non chiedersi quale sia stato – e quale sia oggi – il ruolo di corpi di polizia che sembrano seguire una direzione piuttosto che un’altra, secondo i desiderata di questo o quel magistrato?
Intanto, Matteo Messina Denaro da 27 anni resta uccel di bosco… e magari dalla sua latitanza se la ride sotto i baffi stando a guardare gli scontri, le indagini e i processi che impensieriscono più questo strano mondo dei cacciatori che non quello delle prede…
Gian J. Morici
Articoli correlati:
Marcello Viola ricorre al Tar per la nomina a procuratore di Roma di Michele Prestipino
Pignatone, Lo Voi e la “trama zero” a Palermo
Procura di Palermo, il Csm nomina capo Lo Voi: la toga che piace alla politica
Messina Denaro – Assolto per la settima volta il finanziere Calogero Pulici
Matteo Messina Denaro e i lati oscuri delle indagini
1 thought on “Mentre Matteo se la ride sotto i baffi…”