Ufficialmente abolita nel 1948, la pena capitale sembra ancora oggi trovare applicazione nelle carceri, dove i detenuti muoiono consumati dalle malattie in attesa che qualcuno si decida a emettere un parere che ne disponga il trattamento sanitario o l’applicazione di pene alternative. Un parere che molte volte non arriva mai o che arriva troppo tardi, quando il danno è ormai irreversibile.
Di carcere si muore. Si muore di tumore, di problemi cardiaci, di leucemie o altre patologie gravi per le quali i verdetti emessi da tribunali e giudici di sorveglianza – avallati dai periti dagli stessi nominati ma pagati dai ricorrenti – sembrano stampati in ciclostile: “Il detenuto è compatibile con la custodia cautelare in carcere… è curato… è monitorato… è tutto sotto controllo…”
Poi si muore! Poi c’è il rimpallo delle responsabilità per le quali non pagherà nessuno, o se qualcuno pagherà sarà il medico del carcere sul quale si cercherà di far ricadere ogni colpa. E i giudici, i periti dagli stessi nominati? Eh sì che se si trattasse di un caso di malasanità ospedaliera, come talvolta accade, non mancherebbero i processi e gli articoloni sui giornali, anche quando di responsabilità non se ne vede neppure l’ombra…
Un condannato, però, è un condannato. Non è un uomo qualsiasi. Poco importa che il diritto alla salute lo Stato debba garantirlo a tutti, poco importa che talvolta il condannato sia tale per reati comuni per i quali neppure prima dell’abolizione della pena capitale venivano mandati al patibolo.
Ma non soltanto i condannati vanno incontro a una pena ufficialmente non prevista dalla nostra Costituzione, anche i presunti innocenti, ovvero coloro per i quali non è stata emessa una sentenza definitiva di condanna, sono sottoposti allo stesso trattamento, che già sarebbe inumano per chiunque, anche per il peggiore dei criminali.
Antonio Vaccarino, ex sindaco di Castelvetrano, accusato di aver favorito “cosa nostra” a seguito di una vicenda che ha portato all’arresto di un ufficiale dei carabinieri e di un appuntato, ignobilmente tutti definiti “Talpe di Matteo Messina Denaro”, è tra questi ultimi.
Condannato in primo grado a sei anni, con l’accusa di violazione di segreto d’ufficio e favoreggiamento, a seguito di un processo che lo ha visto coinvolto nella strana storia del funerale di un collaboratore di giustizia, in un’intercettazione nella quale mancavano gli indagati, e a parere dei suoi difensori anche l’indagine. Ma di strane storie la vicenda di Vaccarino è ricca, a cominciare dal suo primo arresto a seguito delle accuse del falso pentito Vincenzo Calcara, le cui propalazioni dell’epoca, nonostante oggi sia stato giudicato come colui il quale operò un depistaggio, un pentito etero diretto e un inquinatore di pozzi, trovano ancora riscontro nelle attività della Procura di Palermo. E anche qui di stranezze non ne mancano, vista la facilità con la quale sparirono il computer dell’appuntato Pulici e gli atti d’indagine che riguardavano il boss latitante Matteo Messina Denaro.
E di scomparsa in scomparsa, anche nella vicenda di Vaccarino sparirono importanti documenti, così come emerso nell’udienza del 18 settembre 2017 nel corso del procedimento penale a carico di Matteo Messina Denaro per le stragi del 92 e 93, quando il luogotenente Di Pietro testimoniò in merito alle indagini condotte dai carabinieri, dalle quali risultava l’assoluta estraneità di Vaccarino ad ambienti vicini a “cosa nostra”. Indagini misteriosamente scomparse a opera di ignoti che favorirono così il rendere credibili le accuse di Calcara, tant’è che in primo grado Vaccarino, per il quale era stata chiesta una condanna a 24 anni di carcere, venne condannato a 18 anni per aver fatto parte di “cosa nostra”. Sei anni a Pianosa, dove subì le torture che lo portarono a essere inserito negli annali di Amnesty International, ridotti in appello a sei anni per traffico di droga. Una condanna per la quale recentemente Vaccarino aveva proposto revisione che era stata favorevolmente accolta dalla Procura Generale di Catania.
Già da prima del suo arresto dell’aprile dello scorso anno, Vaccarino soffriva di patologie per le quali i suoi legali, gli avvocati Baldassare Lauria e Giovanna Angelo, avevano chiesto venisse sottoposto ai domiciliari per ragioni di salute.
Tanto il suo cardiologo di fiducia, quanto il medico legale nominato quale perito di parte, avevano attestato fin da subito il rischio di un peggioramento delle malattie cardiovascolari delle quali soffriva. Di diverso avviso i periti nominati dal Tribunale di Marsala, il cardiologo Pietro Di Pasquale e il medico legale Manfredi Rubino.
Il 3 luglio, a causa di un forte dolore toracico, Vaccarino viene trasportato urgentemente al pronto soccorso su richiesta da parte del servizio sanitario del penitenziario che ritiene il detenuto sia in pericolo di vita. Ricoverato d’urgenza nel reparto di cardiologia, viene sottoposto a coronarografia e ad intervento di angioplastica con impianto di stent medicato.
Nuova istanza, nuovo rigetto. Per i periti del tribunale l’esito rimane lo stesso: Le condizioni di salute di Vaccarino sono compatibili con il regime carcerario!
Sottoposto a ulteriori accertamenti si evidenziava aritmia totale da fibrillazione atriale e 11 pause, la più lunga di 3,79 secondi. Trasferito nel mese di agosto in ospedale per fare ECG da sforzo, a cui non è stato possibile sottoporre l’imputato, il medico consigliava di eseguire l’esame di miocardioscintigrafia, rilevando la necessità di ulteriore controllo coronarografico a seguito dell’eventuale esito positivo della scintigrafia.
Il 4 settembre, a seguito di richiesta di sostituzione della misura cautelare avanzata dagli avvocati Baldassare Lauria e Giovanna Angelo, difensori di Vaccarino, il tribunale conferiva incarico nuovamente agli stessi periti (Dott M. Rubino e Dott P. Di Pasquale) al fine di valutare la compatibilità o meno con il regime carcerario dell’imputato. L’8 settembre, i periti hanno stilato la relazione tecnica (non aspettando l’esito dell’esame di miocardioscintigrafia) con la quale si chiedeva il trasferimento presso ambiente cardiologico affinchè Vaccarino venga sottoposto a impianto di pacemaker definitivo.
Il tribunale, nel rigettare nuovamente la richiesta della sostituzione della misura cautelare, contestualmente autorizzava il trasferimento di Vaccarino presso il reparto di cardiologia dell’Ospedale di Catanzaro o di altro presidio ospedaliero per il tempo necessario per l’effettuazione dell’intervento di istallazione di un pacemaker definitivo. E la miocardioscintigrafia? Eseguita il 9 settembre, evidenziava una ipoperfusione miocardica. Soltanto il giorno prima i periti del tribunale scrivevano che “la condizione anatomica coronarica attuale risulta sufficiente a mantenere una perfusione coronarica adeguata” e che Vaccarino per le attuali condizioni di salute, a parere dei due periti, necessità nel ricovero presso ambiente cardiologico dotato di reparto di emodinamica affinché il periziando venga sottoposto a impianto di pacemaker definitivo, precisando che successivamente all’impianto di pacemaker Vaccarino necessita di periodici controlli specialistici che potranno essere eseguiti in regime detentivo presso la Casa Circondariale.
Nessun dubbio in merito al fatto che a stabilire l’eventuale impianto di pacemaker debbano essere i medici della struttura che lo avrà in carico e non i periti o il tribunale che lo danno per scontato? Sarà il giudice ad emettere un ordinanza? Ironia della sorte, le parcelle dei periti nominati di fiducia dal tribunale, nonostante giungano a conclusioni ben diverse da quelli di parte, saranno a carico dell’imputato.
Inutile chiedersi quanto valga la relazione di un perito di parte, che nel momento in cui riceve incarico dal tribunale, trattandosi di incarico fiduciario, ha un notevole peso, mentre quando è chiamato dalla parte in causa, vede così sminuita la propria professionalità e credibilità…
A Vaccarino, dunque, non rimane altro che attendere il ricorso in appello avverso la sentenza di primo grado, per chiarire la propria posizione processuale. L’Italia però è tra i paesi europei con il più alto tasso di custodia cautelare, con una popolazione carceraria di detenuti in attesa di processo pari a circa un terzo del totale. Trascorsi i 90 giorni di tempo per il deposito della sentenza di condanna di Vaccarino in primo grado, a causa della mole di lavoro, il giudice ha già chiesto una proroga. Fin quando la sentenza non verrà depositata Vaccarino non potrà presentare appello e a giudicare le sue condizioni di salute e la compatibilità dell’imputato con il regime carcerario, continueranno a essere chi lo ha condannato e i periti di sua fiducia. Forse qualcosa nel sistema giudiziario italiano non funziona…
Purtroppo la cronaca ci insegna come tra la pena capitale prevista e la sua abolizione, in alcuni casi, sia cambiata solo la forma, restando però comune il luogo delle esecuzioni. Una volta eseguite tramite fucilazione all’interno di uno stabilimento penitenziario, oggi all’interno delle stesse strutture per mancanza di cure, trattamenti inumani e quel tanto altro che ha portato l’Europa a condannare più volte l’Italia…
Gian J. Morici
P.S. E se i “periti di fiducia” del giudice nella relazione tecnica inserissero il certificato medico di un paziente diverso, sarebbero “di fiducia” anche per l’imputato al quale verrebbero comunque addebitate le parcelle? Di questo aspetto torneremo a scrivere…
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