
Una domanda, alla quale probabilmente non saprebbe rispondere neppure lo stesso Vincenzo Calcara che quando nel ’91 iniziò a collaborare con la giustizia dichiarò un suo assai improbabile ruolo di uomo d’onore riservato a servizio di Francesco Messina Denaro. Calcara, autore di quelle che riteniamo ormai si possano tranquillamente definire autentici insulti alla logica e al buon senso (dai dieci miliardi consegnati a Marcinkus all’omicidio commesso alla presenza di Giulio Andreotti ecc) è la figura chiave di uno scempio della verità e della giustizia, funzionale a quel depistaggio messo in atto nel ’91 al fine di permettere a Matteo Messina Denaro di pianificare le stragi del ’92.
Il presunto pentito, infatti, accusò diversi soggetti indicandoli come appartenenti a “Cosa Nostra”, guardandosi bene dal fare il nome di Matteo Messina Denaro. Tra i tanti accusati, talvolta innocenti, altre volte persone delle quali si conosceva già la caratura criminale, l’ex sindaco di Castelvetrano, Antonio Vaccarino. Nei giorni scorsi a seguito della testimonianza della pentita di mafia Giusi Vitale, ci eravamo posti delle domande in merito alla credibilità che Calcara acquisì presso la magistratura dopo l’uccisione del Giudice Paolo Borsellino, non riuscendo a spiegarci come nessun magistrato si fosse accorto che Calcara, il quale aveva accusato Antonio Vaccarino di far parte di “cosa nostra” (reato per il quale Vaccarino venne assolto e Calcara rinviato a giudizio per calunnia aggravata) aveva ottenuto la sua condanna per un traffico di sostanze stupefacenti che – come riportato nella sentenza dell’omicidio del giornalista Rostagno – aveva attribuito a tale Lucchese, lasciando del tutto estraneo Vaccarino, quando, da correo, patteggiò la propria pena.
Un caso “stravagante” che potrebbe rientrare nella casistica degli errori giudiziari causati dall’approssimazione di chi chiamato a giudicare condannando un uomo ad anni di carcere, non si accorse che Calcara – così come scrivono i giudici nella sentenza Rostagno – “dimentico, forse, di queste propalazioni sul conto del Lucchese, nel prosieguo della sua deposizione il Calcara ha attribuito esattamente le stesse cose ad un altro personaggio da lui chiamato in causa, Tonino Vaccarino”.
Il processo in corso a Caltanissetta, che vede imputato Matteo Messina Denaro per le stragi del ’92, ci offre lo spunto per scrivere di un altro “caso stravagante”.

All’udienza del 18/09/2017, viene sentito nella qualità di teste il luogotenente Di Pietro Giovanni, in servizio al Comando Provinciale Carabinieri, Nucleo Investigativo Trapani, che a proposito dell’appartenenza di Antonio Vaccarino a “Cosa Nostra”, sul quale aveva svolto indagini, dichiara che nel ’93 il Vaccarino viene arrestato per associazione mafiosa e traffico di stupefacenti sulla base delle dichiarazioni di un collaboratore di Giustizia, Vincenzo Calcara, venendo assolto dal reato per associazione mafiosa, ma condannato per traffico di stupefacenti, precisando che ne prima ne dopo l’assoluzione di Vaccarino, risultò mai un suo inserimento organico o comunque sia a una vicinanza a “Cosa Nostra”.
Stravaganza del caso, nonostante l’esito delle indagini, Vaccarino venne condannato a diciotto anni di carcere (il pubblico ministero ne aveva chiesti ventiquattro) per associazione a delinquere di stampo mafioso. Successivamente, in appello, venne assolto dai reati di mafia. La domanda che sorge spontanea, è: ma l’esito delle indagini, l’accusa e il giudicante lo conoscevano? Come si possono chiedere ventiquattro anni di detenzione per una persona che dalle indagini risulta estraneo al reato contestato e come la si può condannare a diciotto anni?
Tranne che la relazione del luogotenente Di Pietro non sia stata messa agli atti (perché?) viene da dar ragione a chi sostiene che la Giustizia muore ogni giorno nelle aule dei tribunali e che un’organizzazione di lavoro irrazionale, l’approssimazione con la quale talvolta viene amministrata la giustizia, danneggia – oltre il condannato-innocente – anche quella Magistratura che lavora seriamente senza cercare alcun palcoscenico mediatico.

Ma torniamo all’udienza del processo a Matteo Messina Denaro, nel corso della quale il pubblico ministero chiede al teste Di Pietro di mostrare la relazione per poterla acquisire. L’importanza del documento, non poteva sfuggire al Vaccarino, che aveva subito una ingiusta condanna a diciotto anni, il quale tramite il proprio legale di fiducia, avvocato Giovanna Angelo, ne faceva richiedere copia alla cancelleria del tribunale. Nonostante dal verbale d’udienza risulti che la relazione è stata acquisita, nonostante pubblico ministero e giudici diano parere favorevole al rilascio della copia, agli atti della cancelleria del tribunale non v’è traccia. La spiegazione potrebbe essere quella che probabilmente il pubblico ministero,così come i giudici, dopo averla esaminata, abbiano ritenuto irrilevante il contenuto ai fini del processo contro Matteo Messina Denaro. Ma così non è per Vaccarino, che potrebbe dimostrare non solo l’infondatezza dell’accusa da parte di Calcara (tanto da essere stato assolto in appello) ma finanche che la condanna in primo grado fosse stata pronunciata senza alcun riscontro alle accuse, tanto che appartenenti alle forze dell’ordine, che sul caso avevano condotto indagini (e non ci riferiamo al solo Di Pietro) avevano escluso qualsiasi vicinanza dell’ex sindaco a “Cosa Nostra”. Per avere copia del documento acquisito e esaminato dai magistrati, l’avvocato Giovanna Angelo dovrà adesso produrre un’ulteriore richiesta alla procura. Sarà interessante conoscere la relazione di cui sopra, con l’esito delle indagini – che comunque già conosciamo grazie alla lettura del verbale d’udienza – per cercare di capire cosa possa avere indotto il pubblico ministero a chiedere ventiquattro anni di carcere, e la Corte a comminare, in primo grado, una pena detentiva a diciotto anni.
Intanto, dopo una serie interminabile di post sulle pagine Facebook di Vincenzo Calcara, dopo la promessa di pubblicare video per denunciare fatti clamorosi (in realtà ne pubblicò tre – insignificanti visto che non aggiungevano nulla a quanto detto in precedenza – l’ultimo dei quali, peraltro ha anche rimosso da YouTube) da oltre un mese non scrive e non dice più nulla. Che gli abbiano fatto notare come l’andare a ruota libera ci abbia permesso di fare le pulci al cosiddetto pentito, portando a conoscenza dell’opinione pubblica fatti che potrebbero rimettere in discussione alcune sentenze?
Fatte le dovute considerazioni, in virtù da quanto emerso in questi mesi, l’ipotesi che Vincenzo Calcara, consapevolmente o inconsapevolmente, sia stato strumento di un depistaggio ante stragi, appare tutt’altro che peregrina e se un domani, si aprisse questa maglia, pure la relazione del luogotenente Di Pietro acquisterebbe una nuova valenza anche nell’ambito di un ulteriore processo a Matteo Messina Denaro e a quanti si siano resi eventualmente complici di un depistaggio finalizzato a poter portare a termine, indisturbati, le stragi del ’92.
“Calcara, perché Vaccarino?” Un’idea noi ce la siamo fatta e va al di là del solo depistaggio che favorì Matteo Messina Denaro. La stessa domanda, potrebbe oggi essere formulata in ben altre sedi nel tentativo di conoscere i retroscena di quelle propalazioni del pentito che portarono ad allontanare le attenzioni dallo stragista Matteo Messina Denaro, per concentrarle su soggetti a carico dei quali, come ribadito in aula dal luogotenente Di Pietro, non risultava alcun inserimento organico o comunque sia a una vicinanza a “Cosa Nostra”.
Gian J Morici
Di queste notizie con alcuni magistrati e giudici che non fanno il loro dovere ne sappiamo poche, ma già bastano a capire come anche nella magistratura il marcio non è meno della politica. Basta dare un’occhiata al caso Saguto.purtroppo indagare sui giudici è quasi impossibile.