L’urlo lancinante delle Trombe di Gerico
Le maledette sirene montate sugli Stuka (c’è chi sostiene che l’idea fu di Adolf Hitler) che scendendo in picchiata sulle inermi vittime da bombardare, terrorizzava quanto e se non più delle stesse bombe che ci si apprestava a sganciare. Quello stesso urlo lancinante di una pseudo-giustizia che per decenni ha terrorizzato probabili e improbabili vittime, innocenti o talvolta colpevoli di altri reati ma non di quelli per i quali le si accusava.
Giornalisti, antimafiosi, conferenzieri, saltimbanco e chierichetti, tutti pronti ad amplificare l’urlo. Quell’urlo nato dalle dichiarazioni, ovvero la “bomba”, del falso pentito Scarantino. L’avvocato Rosalba Di Gregorio, la voce nel deserto, portava la macchia del peccato originale: difendeva alcuni ergastolani condannati ingiustamente per le stragi del ’92. Tutto questo non piacque a quanti cavalcavano l’onda di un pentitismo sul quale si costruivano carriere e depistaggi. Dio perdona tutto, anche i peggiori peccati degli uomini, se pentiti, ma non il peccato originale. E come la Chiesa anche la giustizia non lo perdonò e poco importa che la Di Gregorio avesse ragione, poco importa che la mafia, quella di Stato, si sia avvalsa dei falsi pentiti. I mostri sacri della giustizia, gli Dei, hanno bisogno di vittime sacrificali.
Scarantino si “pente” nel 1994. Un “pentimento” costruito per favorire una parte di Cosa Nostra, al quale presero parte pezzi dello Stato. Per anni, troppi anni, la giustizia, quella vera, non si accorse di nulla. Borsellino, la sua scorta, vittime di mafia e di Stato, non ebbero giustizia. Si dovrà aspettare il giugno del 2008, quando Gaspare Spatuzza (ex mafioso di Brancaccio) iniziando a collaborare contribuirà a squarciare la coltre di menzogne che avevano coperto i responsabili della strage di via D’Amelio. Il processo “Borsellino quater”, ha sancito definitivamente il falso pentimento di Scarantino e le responsabilità di parte dello Stato nel depistaggio, per il quale il giudice delle indagini preliminari di Caltanissetta, Graziella Luparello, ha disposto il rinvio a giudizio per tre componenti del gruppo d’inchiesta incaricati di fare luce sulle stragi del 1992. Accuse pesantissime secondo le quali tre poliziotti, insieme all’allora superpoliziotto Arnaldo La Barbera, avrebbero costruito il falso pentito e un castello di menzogne funzionali a mettere in scena il più clamoroso depistaggio della storia italiana.
E le Trombe di Gerico? Quella pletora di giornalisti, antimafiosi, conferenzieri, saltimbanco e chierichetti che amplificavano l’urlo delle sirene? Silenzio, o quasi. I più coraggiosi accennano al coinvolgimento di tre poliziotti, qualcuno precisa che si tratta degli ispettori Fabrizio Mattei, Michele Ribaudo e del funzionario Mario Bo, nessuno, o quasi, scrive del ruolo di Mario Bo, della condanna a tre anni e 6 mesi dell’ex capo della Squadra Mobile di Trieste, poi responsabile dell’Anticrimine di Gorizia, processato insieme a un ispettore della stessa Squadra Mobile per una firma falsa in calce un’altrettanto falsa relazione di servizio.
E mentre una parte dello Stato va alla sbarra e mafiosi ingiustamente accusati della strage Borsellino si costituiscono, giustamente, parte civile, le Trombe di Gerico ancora tacciono su un altro depistaggio, quello antecedente alle stragi.
Il caso Vincenzo Calcara
Che Vincenzo Calcara sia stato un falso pentito di mafia, è un dato ormai acclarato. La sua storia di mafioso è stata sepolta da valanghe di smentite da parte di collaboratori del calibro di Brusca, Sinacori, Geraci, Siino e altri, e dalle tante sentenze che hanno consegnato dello pseudo-mafioso-pentito un ritratto sul quale fin dall’inizio della sua collaborazione sarebbe stato opportuno stendere un velo pietoso.
Già, un velo pietoso, se non fosse che con le sue false dichiarazioni il Calcara riuscì a stravolgere la vita di tante famiglie, dando un contributo ai depistaggi che hanno ad oggi impedito che si scoprisse la verità in merito alle stragi del ‘92, quando morirono i Giudici Falcone e Borsellino e gli agenti delle rispettive scorte.
I dubbi
I dubbi nascono.
Calcara, che nel suo libro, “Dai memoriali di Vincenzo Calcara. Le cinque entità rivelate a Paolo Borsellino”, narra di un delitto commesso a Latina e di aver trasportato il tritolo per un attentato al Giudice Paolo Borsellino, da tempo aveva chiesto di essere sentito al processo “Trattativa mafia-Stato” e a quello in corso a Caltanissetta che vede imputato Matteo Messina Denaro per le stragi del ’92. Calcara, che ha sempre affermato di aver avuto il pieno sostegno da parte dei familiari del Giudice Borsellino, precisando di aver ricevuto dagli stessi anche aiuti economici, afferma di avere rivelazioni importanti da fare in merito al depistaggio delle indagini sulla morte di Borsellino.
Perché non viene sentito? Non è attendibile e quindi questo rimetterebbe in discussione venticinque anni di processi scaturiti dalle sue rivelazioni? O nuove rivelazioni, magari in merito a come fu gestita la sua collaborazione, potrebbero realmente portare sotto i riflettori un depistaggio ben più grave di quello messo in atto successivamente alle stragi?
Già nel mese di febbraio di quest’anno, avevamo scritto dell’esistenza di un presunto testimone che avrebbe potuto narrare degli incontri dei vertici di Cosa Nostra, tenutisi a Castelvetrano nell’autunno del 1991, funzionali a pianificare le stragi che l’anno successivo insanguinarono la Sicilia.
Perché questo testimone, che in maniera confidenziale ne aveva parlato con un questore che ha informato immediatamente la Procura della Repubblica che ha dato mandato affinchè venisse sentito il testimone – il quale avrebbe confermato quanto in precedenza riferito confidenzialmente – ad oggi sembra non sia stato convocato?
Perché altri soggetti, come il professore Antonio Vaccarino e l’allora vicequestore Michele Messineo – che pure ne avrebbero fatto richiesta – non vengono sentiti al processo in corso a Caltanissetta nonostante apposite segnalazioni particolari, del Vaccarino, per le quali è processo?
Considerata la gravità degli atti, che riguardavano le stragi che hanno insanguinato l’Italia, perché, nonostante le attenzioni prestate nel corso di colloqui con il Procuratore, le stesse attenzioni non hanno avuto seguito in fase processuale?
Nonostante questo qualcosa cambia
Lo dimostra un’intervista rilasciata da Vincenzo Calcara, dal titolo “Vincenzo Calcara, ex killer di Cosa Nostra si racconta a Magazine Informare”, il cui contenuto non ci è dato conoscere, visto che la stessa è stata tolta dal sito. Non è difficile però immaginare che si sia trattato dell’ennesimo tentativo dell’ex “pentito” di continuare ad accreditarsi raccontando della sua vicinanza con i familiari del Giudice Borsellino, degli aiuti ricevuti da parte loro e di tutto ciò che solo fino a poco tempo fa faceva gioco a chi aveva dichiarato di aver trasportato il tritolo per un attentato al Giudice. Se non la giustizia delle aule dei tribunali, un primo passo avanti lo fa la giustizia di Facebook.
Prova ne sia l’intervento di Salvatore Borsellino, fratello del Giudice, che sul post nella pagina Facebook del direttore della testata, Tommaso Morlando, ritiene di dover fare delle precisazioni.
“L’intervista contiene delle informazioni parzialmente inesatte – commenta Salvatore Borsellino – E’ vero che in passato ho fatto qualche incontro in alcune scuole con Vincenzo Calcara ma nell’intervista ci si riferisce al presente mentre in realtà l’ultimo incontro che ho fatto in una scuola insieme con Vincenzo Calcara risale a qualche anno fa”
Al commento risponde Antonio Casaccio, autore dell’intervista:
“Precisazione più che dovuta, provvedo subito alla correzione”
Tranciante l’ultimo commento di Borsellino, che non necessità di ulteriori approfondimenti: “Più che una correzione dovresti inserire una nota dell’autore, l’affermazione è di Vincenzo Calcara, non tua, e la mia precisazione è stata riferita proprio all’affermazione di Vincenzo Calcara. E’ lui che parla al presente”
Poi il nulla. L’intervista viene tolta dal sito…
In attesa di un’audizione in Commissione Antimafia regionale, presso la quale ho chiesto di essere sentito in merito a fatti riguardanti gli incontri del ’91 (a tal fine mi corre l’obbligo di precisare come nonostante i contatti e lo scambio di mail affinchè si stabilisse una data, ad oggi attendo ancora…) non resta che sperare che zittitesi anche le Trombe di Gerico di quella giustizia che a suo tempo diede voce alla “bomba-Calcara”, la magistratura rivaluti quello che accadde prima delle stragi del ’92 e il ruolo di questo pentito.
O continueranno i silenzi e con gli stessi i depistaggi?
Gian J. Morici