«O Critone, noi siamo debitori di un gallo ad Asclepio: dateglielo e non dimenticatevene!»
Non era ancora notte, e la stanza accoglieva la luce di un crepuscolo lento.
Gli amici non si erano trattenuti. Neppure la donna. Si erano stretti le mani, e brevemente, guardati negli occhi. Non c’era nessuna bellezza, neppure nelle loro mani, che si erano intrecciate e sciolte come se nulla fosse.
I figli gli erano apparsi in una luce benigna, i loro abbracci ruvidi, sfuggenti, inconsapevoli, gente giovane che non sa ancora cosa pensare. E’ tutto nuovo, gesti e pensieri da inventare, provare, eppure quello che avviene non si era studiato, né previsto.
C’erano stati dei lunghi giorni di lotta, di rivolta perfino. Momenti di fragilità, lo riconosceva.
Ma ora poteva dirsi di essere in pace. Davvero. Sarà stato il lungo lavaggio che si era concesso. Almeno mezz’ora nella vasca, abbandonato nell’acqua calda, la testa pesante appena emersa,gli occhi socchiusi verso la piccola finestra in alto: c’era il cielo, e qualche ramo, e il fumo sospeso della nebbia. Purtroppo sentiva che nessuna curiosità si era assopita. Cos’era questa? L’ora che giungeva e anche se vicina, si mostra solo nelle vesti di una estranea, seduta contro la parete, in ombra? Aspetta. Era difficile, da nudi, da esposti, non perdere la propria dignità. Si era avvolto negli asciugamani che gli aveva gentilmente lasciato sua moglie, sullo sgabello. L’aria era ancora fredda. Cos’era questa? Una rinascita? Gli sembrò ingenua, come risposta. Eppure così avevano rabbrividito i suoi figli, nascendo.
Sarà stato che era pulito, e che sedeva da solo, di fronte alla finestra, e vedeva il giorno, quel bel giorno sorto dai monti divini, lì fuori, da qualche parte. La bevanda è pronta. La ciotola posa sul tavolo,sulle venature del legno, i nodi aperti dell’albero vivo che era stato. Cos’è questo? Sarò mai utile così, dopo? Come questo albero silenzioso, caduto con fragore, in qualche bosco qui intorno, e poi affidato al fiume, assieme ad altri tronchi morti. L’ho pensato. Ho pensato la parola. Cos’è mai una parola. Aveva cercato di lottare contro una certa tristezza, la nostalgia di quello che avrebbe lasciato, a cui non riusciva ad opporre nessun ragionamento. Se ne separava con così tanto rimpianto perché aveva ricevuto un dono superiore alle sue aspettative.
Cercò di occupare del tempo. Fece dei conti, scrisse con precisione alcune disposizioni, quel che aveva dimenticato, quello che era sfuggito al suo controllo. Lasciò del denaro. Mucchietti di carta e ferro. Infine scese la notte. Accese una candela. E bevve. Si abbandonò sulla sua poltrona e pensò che era inutile piangere. Neppure rovistare ancora tra i ricordi. Era in fondo andata bene. Quando però gli uomini intrappolano la preda, non serve forzare la trappola. Cos’è questo? Il Tempo che si conclude, il Tempo che si trasforma?