Oramai sembra diventato il fatto politico del giorno: la resa dei conti dei Cinquestelle con il loro stesso estremismo giustizialista.
Credo si debba affermare da parte di chi non intende utilizzare strumentalmente tale questione, che oggi i Cinquestelle stanno pagando un conto con la giustizia del nostro Paese e con la storia, che è un conto che dovrebbero pagare più o meno tutte le forze politiche (o quel che ne resta) senza nemmeno escludere la Destra e la stessa Forza Italia.
E’ il conto con la storia di chi ha fatto della giustizia, delle sue deviazioni, delle concezioni “di lotta” e della costituzione di un vero e proprio Partito dei magistrati, una sorta di “braccio secolare” per l’eliminazione degli avversari e per giustificare ed imporre la loro stessa esistenza.
La Sinistra Italiana, ma, con essa in modo più o meno esplicito e per volontà propria e, magari, per incapacità di opporsi a certi andazzi, anche altri settori della politica italiana, sono vissuti per lunghi anni “di rendita” o, per essere più precisi, da parassiti di un’azione sostanzialmente eversiva di “mattanza giudiziaria”, gabellando tale loro inerzia ed il sostanziale consenso alla mattanza stessa, con una supposta esigenza di rinnovamento, una ricerca del “nuovo”, che, in realtà, l’avvento di questo modo di far politica con le manette ha bloccato invece di favorirlo e promuoverlo.
Alla “politica” si è aggiunta l’”antipolitica”, di cui i Grillini sono l’espressione, che, più che un “parassitismo” ha messo in essere con la sua stessa esistenza, una identificazione con l’assalto del Partito dei Magistrati alla classe dirigente e, in buona sostanza, alle Istituzioni stesse.
Il Movimento di Grillo può considerarsi la claque della “giustizia di lotta” della magistratura. Un po’ come le folle che assistevano al frenetico tagliare di teste all’epoca del Terrore della Rivoluzione Francese. Con le popolane che facevano la calza all’ombra della ghigliottina.
L’”emergenza”, anzi, le “emergenze” che hanno giustificato questa “giustizia di lotta” sono state e sono reali. Ma, da una parte, occorre prendere atto che fenomeno analoghi si sono avuti e si hanno in un po’ tutti i Paesi e non è la gravità e la diffusione, ad esempio, della corruzione, che può giustificare il fatto obiettivo che da noi tutto il sistema giudiziario abbia finito per diventare una sorta di Tribunale Speciale, quello che erano i tribunali militari quando veniva proclamato lo “stato d’assedio”.
Per altro verso, invece, sarebbe ora di cominciare a riflettere sulle conseguenze negative, rappresentate da una più vasta ed incontrollata corruzione, che la “giustizia di lotta”, piaccia o non piaccia, ha finito col produrre, abolendo di fatto i partiti (che pure avevano creato un sistema semilegalizzato di “corruzione consociativa”). Una estensione, se non un aggravamento (che è cosa discutibile) del fenomeno della corruzione. La fine dei partiti, “ideologici”, con la loro “etica di partito” (ricordate il compagno Greganti?) che conduce un’obiettiva aleatorietà e strumentalità degli interventi giudiziari, ha fatto sì che a dedicarsi alla politica, ad entrare a far parte della classe che ne è espressione, siano oggi più facilmente persone che, in partenza, scelgono così di fare i propri affari o, magari, favorire quelli di famiglia.
Ora gli anni in cui la “giustizia di lotta” è stata “accettata” ed utilizzata come “normale”, in cui il fine di “far fuori Berlusconi” giustificava i mezzi ed era apertamente condiviso dalla Sinistra italiana (e, magari, da qualche “delfino” o sedicente tale del Cavaliere) hanno progressivamente visto aumentare, in pratica, la discrezionalità dei magistrati, nuove e quasi mai chiare figure di reato, sistemi probatori degni della Santa Inquisizione.
Ed hanno visto crescere, conseguenza soprattutto della sconsiderata partecipazione di gran parte della stampa ad operazioni e sistemi del genere, una sorta di nichilismo giustizialista.
Vasti settori della pubblica opinione, che pure avevano sopportato, come ineluttabili, le deformazioni dell’etica politica, si sono scatenati in un ideale (e non solo) linciaggio
L’oltranzismo giustizialista dei Grillini è manifestamente, ed in maniera rilevante, il frutto dell’atteggiamento delle forze politiche, ed in particolare del P.D. e dei suoi genitori ed antenati, di quel parassitismo, di quello sfruttamento dell’azione distruttiva del partito dei magistrati, che ha comportato una sorta di frenesia della claque popolare, di diffidenza, di sorde ostilità generalizzate e, di contro ne ha a caso pretese di imporre la “ghigliottina” a chiunque sia oggetto anche del sospetto (o peggio…) da parte delle Procure.
La “questione morale”, l’esclusione dalla politica attiva di chi sia oggetto di procedimenti penali è questione delicata che non si risolve con un minimo di giustizia se non si tiene conto dell’esistenza di autentiche forme di persecuzione giudiziarie e della possibilità di qualunque uomo politico o pubblico amministratore di rimanere vittima di certe “dilatazioni” della funzione giurisdizionale penale, frutto di una generalizzata, tra i magistrati, tendenza ad autentiche interferenze nei confronti del potere esecutivo e, persino, nei confronti di quello legislativo.
E’ chiaro che, mentre nei Paesi in cui l’imparzialità e l’osservanza dei limiti della propria funzione da parte dei magistrati, è un dato acquisito ed indiscusso, l’apertura di un procedimento penale a carico di un uomo politico comporta conseguenze che possono essere in qualche modo regolate dalle prassi, (pur rimanendo questo necessariamente una questione delicata con larghi margini di discrezionalità), in un Paese come il nostro in cui la parzialità dei magistrati non può considerarsi presunta (ad essere benevoli!!) ed in cui essi tendono a costituirsi in partito, le cose sono profondamente diverse. Ma non è solo, questione di magistrati: le nostre leggi penali e processuali sembrano fatte apposta per consentire disparità di trattamenti, quando non per mettere in atto vere e proprie persecuzioni.
Che un avviso di garanzia (ricordiamoci di “garanzia”!!!) debba comportare il dovere giuridico e morale di un Sindaco di dimettersi è da noi chiaramente, specie se si vuole farne una regola, una baggianata anche, per più versi, pericolosa oltre che assurda.
Che i “Cinquestelle”, che del loro bigottismo giustizialista hanno fatto una delle “idee portanti” del loro Movimento, si trovino, avendo oramai amministratori del loro partito, in difficoltà circa l’atteggiamento da assumere in tali casi, è quindi naturale, ma il fatto è che tutte le forze politiche, non avendo voluto affrontare convenientemente la questione del “Partito dei Magistrati” si trovano oggettivamente in tale situazione, benché in essi prevalga la tendenza a sostenere che il “rigore” e la severità debbono applicarsi solo ai loro concorrenti.
D’altra parte l’estremismo sciocco in fatto di “purezza” dei governanti e degli amministratori non è solo dei Cinquestelle.
L’hanno predicato (un po’ meno, però, praticato) i Comunisti e, poi quelli del Partito Democratico.
All’epoca di Mani Pulite, la “caccia all’inquisito” portò addirittura a fatti comici. Il Colonnello dei Carabinieri, Pappalardo, che i socialdemocratici avevano “imbarcato” nel loro partito, tra l’altro esponente del COCER, organismo semisindacale delle Forze Armate, nominato sottosegretario nel Governo Ciampi, fu fatto dimettere in quanto “inquisito”. Inquisito, cioè indagato, imputato, nientemeno che di “diffamazione militare”, reato previsto dal Codice Penale Militare, di cui anche ministri e deputati ignoravano ed ignorano l’esistenza. E da tale reato fu poi assolto (aveva semplicemente fatto il “sindacalista”).
Dobbiamo anche dire che, mentre i Cinquestelle sembrano fare di tutto e di più per dimostrarsi scioccamente divisi su tale “questione ideologica”, è evidente che le altre forze politiche, come si dice a Roma, “ci inzuppano il pane”.
Può dirsi che per i Cinquestelle la Nemesi sia arrivata, ma a ben vedere, essi non fanno che evidenziare l’assurdità di una situazione in cui la lotta politica la fanno i magistrati ed in cui i partiti di governo e di opposizione si mostrano incapaci di affrontare la questione della politicizzazione della giustizia, senza di che ogni possibilità di ricondurre il Paese e la classe politica entro limiti di moralità accettabile è puramente fantasiosa ed ipocrita.
Mauro Mellini