Gli antefatti della guerra di mafia nata dallo scontro tra la fazione che aveva a capo Badalamenti e comprendeva Bontate, Inzerillo, Pizzuto, Di Cristina e altri, contrapposta al gruppo di Riina e Provenzano, segnarono l’inizio della lunga scia di sangue che avrebbe visto cadere sotto il piombo mafioso non soltanto boss e gregari ma anche uomini delle Istituzioni.
Già nel 1970, il nome di Vito Ciancimino aveva un peso notevole, non soltanto nell’ambito della politica palermitana. I rapporti con esponenti di Cosa Nostra si rafforzarono quando nel 1976, abbandonata la corrente fanfaniana della Democrazia Cristiana, Ciancimino si avvicinò a Salvo Lima, della corrente andreottiana. Fu in quegli anni che diversi politici che ostacolavano gli interessi di Ciancimino vennero uccisi dalla mafia. La vittoria dei corleonesi, negli anni successivi, sembrava aver messo fine alla mattanza e agli omicidi eccellenti che avevano visto cadere uomini come Cesare Terranova, Pio La Torre, Michele Reina, Piersanti Mattarella, Boris Giuliano, Emanuele Basile, Gaetano Costa.
Nel 1983, al congresso regionale Democrazia Cristiana tenutosi ad Agrigento, venne deciso l’allontanamento di Ciancimino dal partito. Seguirono gli anni dell’apparente tranquillità della pax mafiosa, durante i quali Ciancimino continuò, seppur in ombra, a governare la scena politica e gli affari di mafia. La D.C. di Andreotti e il Partito Socialista, garantivano gli equilibri internazionali e quelli interni al Paese, compreso quelli di mafia.
Ma la tranquillità era destinata a dover durare poco. A dare l’avvio alla nuova guerra, più subdola e silenziosa di quella di mafia, fu la crisi tra il governo americano e quello italiano, a seguito della decisione di Bettino Craxi di sottrarre agli americani i terroristi che avevano sequestrato la nave da crociera italiana Achille Lauro, uccidendo il cittadino statunitense Leon Klinghoffer, favorendo così la fuga di Abu Abbas, il loro capo.
Il colpo di mano voluto da Craxi rischiò di portare a uno scontro armato nella base Nato di Sigonella, tra carabinieri e forze armate italiane, da una parte, e dall’altra i reparti speciali delle forze armate statunitensi. A complicare la situazione, il bombardamento statunitense di Tripoli del 1986, quando Craxi avrebbe avvertito in tempo utile Gheddafi, permettendogli di salvarsi la vita.
Le iniziative intraprese da Craxi e l’apparente accondiscendenza da parte di Giulio Andreotti, segnarono le sorti dei due partiti e della cosiddetta prima repubblica.
Ma per avere la certezza che la D.C. scomparisse dalla scena politica, era necessario che non si salvasse nessuna delle correnti interne al partito. Se è pur vero che la corrente andreottiana era quella più forte, è altrettanto vero che Andreotti e i suoi avevano nel rapporto con Cosa Nostra il loro tallone d’Achille. Rimaneva dunque da eliminare quell’ala della D.C. che aveva cercato di far pulizia all’interno del partito e che, una volta eliminato politicamente Andreotti, avrebbe potuto prendere in mano le redini della Democrazia Cristiana.
Quella del ’91, non fu soltanto la fase preliminare alle stragi, fu anche una guerra di carattere politico. Eliminata la corrente fanfaniana, non sarebbe stato difficile portare a termine l’operazione di annientamento del partito, colpendo Andreotti. La stessa sorte sarebbe toccata anche a Craxi.
Una coincidenza se mentre nel ’91 si progettavano le stragi dell’anno successivo, le delazioni di quattro presunti pentiti colpivano proprio quell’ala del partito?
Mentre l’astro nascente della D.C., Antonio Vaccarino, finiva nel tritacarne della giustizia a opera di pentiti, o pseudo tali, che lo accusarono di essere il capomafia di Castelvetrano e di essere coinvolto in un presunto traffico di droga, nel paese di Castelvetrano i Messina Denaro con i vertici regionali di Cosa Nostra organizzavano le stragi che sarebbero avvenute nei due anni successivi.
Agli incontri con i Messina Denaro, partecipavano anche imprenditori e soggetti politici.
Vaccarino dalle accuse di mafia venne assolto ma, nonostante in suo favore avrebbero testimoniato appartenenti alle forze dell’ordine la cui lealtà allo Stato non può essere messa in discussione, a seguito delle accuse di Vincenzo Calcara, pseudo pentito sconfessato da diverse sentenze, subì una condanna per traffico di stupefacenti.
Una condanna per un traffico di sostanze stupefacenti commesso con lo stesso Calcara, senza che nessuno si accorgesse – come riportato nella sentenza dell’omicidio del giornalista Rostagno – che il “pentito” aveva attribuito i medesimi fatti a tale Lucchese, lasciando del tutto estraneo Vaccarino. Ma non soltanto questo, quando Calcara patteggiò la propria pena, per quel traffico di droga, accusò altri soggetti ma non Vaccarino. Un caso di strabismo giudiziario?
E come considerare quanto dichiarato (all’udienza del 18/09/2017, a Caltanissetta, dove si tiene il processo che vede imputato Matteo Messina Denaro per le stragi del ‘92/93) dal luogotenente Di Pietro Giovanni, in servizio al Comando Provinciale Carabinieri, Nucleo Investigativo Trapani, che a proposito dell’appartenenza di Antonio Vaccarino a “Cosa Nostra”, precisava che ne prima ne dopo l’assoluzione di Vaccarino dal reato di mafia, risultò mai un suo inserimento organico o comunque sia a una vicinanza a “Cosa Nostra”?
Una relazione presentata a suo tempo, che avrebbe dovuto portare all’assoluzione di Vaccarino, il quale, invece, in primo grado venne condannato a 18 anni (l’accusa ne aveva chiesti 24). Proprio nei giorni scorsi la difesa di Vaccarino ha chiesto al Tribunale copia della relazione di Di Pietro che risultava depositata in udienza, ma che non essendo stata rinvenuta nel fascicolo ha portato il legale difensore dell’ex sindaco di Castelvetrano, avv. Giovanna Angelo, a farne richiesta alla Procura.
Ma non è soltanto la relazione del luogotenente Di Pietro a scagionare Vaccarino, come lui altri appartenenti alle forze dell’ordine avevano già affermato l’estraneità di Vaccarino a qualsiasi contesto criminale.
Intanto, due diversi pentiti,nel confermare l’estraneità di Vaccarino a qualsivoglia contesto criminale, narrano di incontri tra pentiti, nel corso dei quali si sarebbero dovuti raggiungere accordi per accusare ingiustamente, oltre a Vaccarino, l’allora Vicequestore Michele Messineo, l’allora Commissario Rino Germanà e altri.
Perché? Alcuni, come Germanà e Messineo, perché colpevoli di ostacolare i Messina Denaro, altri, come Vaccarino, forse perché rientravano anche in un più ampio disegno e perché nemici politici di quel Vito Ciancimino, il cui ruolo nei fatti di mafia andrebbe meglio rivisto e valutato.
Antonio Vaccarino, con il nome in codice Svetonio, collaborò anche con il Sisde per arrivare alla cattura di Matteo Messina Denaro. Il giorno successivo a quando i servizi segreti informarono gli inquirenti, tutto il mondo, tramite gli organi stampa, seppe di questo sindaco 007, mandando così in fumo quella che poteva essere un’operazione antimafia finalizzata alla cattura di Matteo Messina Denaro e alla conoscenza dell’organigramma mafioso dell’intera regione.
Perché non venne avviata alcuna inchiesta al fine di individuare e punire l’autore, o gli autori, della fuga di notizie?
E Vincenzo Calcara? Nonostante nel corso delle udienze del processo per l’omicidio del giornalista Rostagno avesse confessato un omicidio commesso e mai dichiarato prima, pare che non sia stato neppure indagato. O, quantomeno, da quanto riportato in sentenza non si evince neppure che gli atti siano stati inviati all’Ufficio del Pubblico Ministero, né risulta che il PM ne abbia fatto richiesta.
Né tantomeno ci risulta sia stato indagato per concorso in strage, nonostante nel suo libro dal titolo “Dai memoriali di Vincenzo Calcara. Le cinque entità rivelate a Paolo Borsellino”, narri del trasporto dell’esplosivo per uccidere il Giudice Paolo Borsellino.
Il pentito, giudicato credibile da chi chiese 24 anni di carcere per Vaccarino, non è forse credibile quando in udienza confessa un omicidio da lui commesso? Non è credibile quando narra del trasporto del tritolo destinato a Borsellino? E in ogni caso, dinanzi la confessione di un omicidio, non c’è l’obbligo di esercitare l’azione penale? Chi imbeccò Calcara, e perchè?
Forse per capire cosa accadde in quegli anni, sarà necessario dare una risposta al perché la relazione del luogotenente Di Pietro non venne tenuta in considerazione, al perché i pentiti parlino di incontri per concordare ingiuste accuse, al perché si narri di soggetti appartenenti alle Istituzioni, che avrebbero gestito un colossale depistaggio tirando le fila di pentiti che nulla sapevano di mafia.
In ultimo, e questo forse è il tassello più importante, trovare la risposta, e le responsabilità, del perché dopo la fuga di notizie su Vaccarino-Svetonio non ci fu alcuna inchiesta.
Dopo i fatti del ’91, la mafia, una volta sconfitta la corrente fanfaniana della D.C., colpì gli uomini di Andreotti in Sicilia (Lima e i cugini Salvo), dando il via alle stragi di Capaci e via D’Amelio, nelle quali persero la vita Falcone, Borsellino e le loro scorte.
Craxi affrontò i procedimenti giudiziari e fu costretto a fuggire dall’Italia.
Andreotti subì anche lui procedimenti penali.
Il magistrato che curò le indagini che portarono alla fine della cosiddetta Prima Repubblica, si narra fosse in contatto con uomini della CIA, il servizio segreto americano.
La D.C. moriva, mentre un nuovo soggetto ne ereditava il lascito. E l’America aveva un nuovo alleato (a volte un po’ traditore, ma questo gli americani lo avrebbero scoperto solo successivamente a proprie spese).
Un caso?
Gian J. Morici