
Tra templi millenari, erbacce, spazzatura e marciapiedi in rifacimento eterno, sorge l’Ospedale San Giovanni di Dio, autentico monumento alla pazienza.
Tra scale, ascensori e corridoi in cui è facile perdersi più che in un labirinto di Cnosso, il San Giovanni di Dio regala un viaggio sereno e tranquillo, con tempi d’attesa che permettono al paziente di dedicarsi alla lettura di un libro, fare amicizia con altri pazienti, festeggiare il proprio compleanno sul lettino. Un’esperienza di vita ricca che non vi farà dimenticare alcuni medici e infermieri capaci di operare in condizioni estreme in questa baracca che sfida la fisica, la logica, la santità e la pazienza biblica di Giobbe.
Varcare la soglia del San Giovanni di Dio è un’esperienza unica che promette un percorso religioso al termine del quale chi entra ateo esce con la fede.
Alcuni giurano anche di aver visto San Giovanni apparire nelle corsie, ma era solo un medico molto stanco alla fine turno.
C’è infatti anche chi persino lavora e ci sono reparti che sembrano funzionare, come nel caso della pediatria.
Al nome dei Santi si associano i miracoli.
Ospedale “San Giovanni di Dio”: dove la speranza è in lista d’attesa, a volte tre mesi, altre volte anche un anno, in quello che è il vero fiore all’occhiello, il reparto Miracoli con il suo Ufficio Pizzo.
È qui che la sanità incontra la creatività fiscale, trovando nuovi e inaspettati modi per stare al passo coi tempi.
È il caso di un medico e di un reparto ospedaliero (di cui non faremo il nome per non turbare i pazienti… e gli inquirenti), che ha pensato bene di rivedere il concetto di “visita privata” in chiave artistico-finanziaria.
La storia inizia ieri (15 aprile 2025), quando una paziente in attesa da quasi tre mesi per un intervento in hospital day, riceve una telefonata dal nosocomio cittadino con la quale la si avvisa che l’intervento previsto per il giorno successivo verrà rinviato a data da destinarsi.
Un ritardo di qualche settimana, niente di grave, se non fosse che la strumentazione necessaria è migrante.
Si tratta infatti di macchinari che al San Giovanni di Dio arrivano da altre parti, un po’ come la fauna migratoria stagionale.
Se un medico è un medico, un genitore è un genitore. Ecco dunque un padre che con calma serafica chiama il reparto in questione e chiede con massimo garbo al povero operatore che si trova a rispondere, di poter conoscere dall’illustre imbecille, cretino e farabutto responsabile (che sicuramente non querelerà il nostro uomo), le motivazioni del rinvio.
È qui avviene il primo miracolo. Nemmeno 15 minuti dopo la paziente – figlia del meno paziente genitore – riceve una seconda telefonata con la quale viene confermato l’appuntamento per il giorno successivo. Già, quell’appuntamento che doveva slittare di alcune settimane fino ad arrivare al mese di giugno. Potenza della Pasqua.
Ospedale San Giovanni di Dio, 16 aprile 2015.
Nonostante le tante difficoltà, compreso un macchinario che si dice non funzioni e per il quale deve intervenire un tecnico proveniente da un’altra città, pare che l’intervento oggi si farà.
Una mezza dozzina di pazienti sono in attesa e chiacchierano tra loro.
E tra una chiacchiera e l’altra, una donna racconta la propria storia. Dopo un anno di attesa per esami che potevano essere effettuati nella stessa struttura ospedaliera, qualcuno all’interno del nosocomio le suggerisce di effettuare gli esami da privato. Ovviamente a pagamento. Un mese dopo la visita, la paziente accede al reparto per un intervento in hospital day.
Inutile dire che noi non ci crediamo, nonostante la stessa affermi che un noto medico del reparto abbia ideato un sistema che potremmo definire “pay-per-care”: un’elegante soluzione per chi desidera “facilitare” l’accesso a un esame diagnostico in ospedale.
La formula è semplice quanto geniale: ti riceve nel suo studio privato, ti ascolta con compassione, e infine ti presenta il tariffario, che sembra uscito da un menu degustazione stellato. Con un’unica differenza: il pagamento è solo in contanti, e possibilmente con banconote non tracciabili, ché il POS “fa interferenza con il macchinario della TAC” che nello studio non c’è.
Ma torniamo all’ospedale. Qualcuno in corridoio, in attesa del proprio turno, definisce la “visita da privato”, ovviamente ospedaliero, “ufficio pizzo”, un’entità mitologica interna all’ospedale, dove le liste d’attesa vengono gestite come un maître con la sala piena: “Ah, lei è un amico del dottore? Bene, allora l’appuntamento si libera magicamente domani alle 8:15”.
Lungi dall’essere un caso isolato, il metodo pare stia ispirando una vera e propria corrente sanitaria alternativa, detta anche “sanità a carbone”, per via della natura un po’ fumosa dei suoi passaggi.
Ovviamente nessun medico per effettuare una visita da privato prende soldi in nero, si tratta di una donazione libera, meno di 200 euro rigorosamente senza fattura, un obolo…
Chissà, forse un giorno qualcosa cambierà. Forse qualcuno si accorgerà che la sanità pubblica è malata. O forse qualcuno, più probabilmente, continuerà a godersi il suo stato zen, lasciando che i cittadini si curino con l’omeopatia dell’indifferenza istituzionale.
Ma hey, almeno il parcheggio davanti all’ospedale, se si trova posto, è gratuito. Per ora.
La nostra inchiesta giornalistica è all’inizio.
Un suggerimento ai medici del reparto in questione: avete mai valutato la possibilità di aprire una succursale dell’Ufficio Pizzo anche nel reparto di cardiologia? Del resto, si sa: col cuore non si scherza. Ma col portafoglio, sì…
gjm
P.S. Un arredamento design e un grazioso laghetto dorato, completano il quadro di questa modernissima struttura, fiore all’occhiello della capitale della cultura italiana.
Lasciate ogni speranza o voi che entrate…

