Prima di passare al perchè della domanda di Vincenzo Calcara, è necessario spiegare cosa è accaduto e le ragioni che mi hanno portato a cercare il pentito.
Di Calcara ho scritto più volte, sia nel corso di interviste ad altri soggetti, sia valutando attentamente atti processuali, sue dichiarazioni e altri documenti. Il diritto alla libera manifestazione del pensiero è sancito dalla nostra Costituzione e tal proposito, nel corso degli anni, la giurisprudenza ha sancito come sia legittimo il rendere noti fatti di cronaca, esprimere opinioni, formulare commenti, purchè questo avvenga nel giusto bilanciamento del diritto all’onore e quello del pubblico all’informazione.
Uno degli strumenti utili a far valere il proprio diritto all’onore, da parte di chi viene citato in un articolo, è il diritto di replica che si può far valere facendone semplice richiesta all’autore dell’articolo. Vincenzo Calcara, non ha mai chiesto al sottoscritto – quantomeno non lui personalmente – di potersi avvalere di questo suo diritto. Orbene, a prescindere da diritti sanciti dalla vigente normativa o da principi stabiliti dalla giurisprudenza, ritengo che tale diritto non debba essere negato a nessuno, neppure a chi non ne faccia esplicita richiesta, poiché oltre al diritto dell’interessato, vi è anche il dovere da parte di chi scrive di cercare la verità. È secondo questo principio che ho deciso di cercare Vincenzo Calcara, al quale chiedere direttamente chiarimenti o considerazioni in merito a quello che finora ho pubblicato e che lo riguarda.
Avevo messo in conto la possibilità che volesse evitare questo confronto o che mi mandasse a quel paese in malo modo. Così non è stato.
Calcara, nonostante abbia sostenuto che io sia proclive a guardare a ciò che lo riguarda in maniera forse troppo critica, non ha mancato di sottolineare come io stessi solo assolvendo correttamente al mio ruolo e prova ne era il fatto che lo avessi cercato per ascoltare quanto avesse lui da dire. Dopo la sua prima domanda su come fossi riuscito a contattarlo (alla quale ho ritenuto di non rispondere) siamo entrati subito nell’argomento che stava a cuore a entrambi.
Vincenzo, come mi ha gentilmente invitato a chiamarlo, avendo letto il mio articolo sull’udienza tenutasi giorno 29 presso il Tribunale di Palermo, che lo vedeva imputato per diffamazione in danno di Antonio Vaccarino, si è detto dispiaciuto del fatto che io non fossi stato presente e che non avessi potuto narrare nella loro completezza gli oltre trenta minuti di dichiarazioni spontanee delle quali era stato protagonista.
Sulla sua credibilità, messa in dubbio da sentenze, dichiarazioni di pentiti, ma anche da contraddizioni emerse da talune sue stesse narrazioni, ha citato un lungo elenco di elementi che a suo dire sarebbero utili a dimostrare la sua attendibilità, a partire dai giudici che gli hanno creduto, precisando come molti nomi di soggetti legati a “cosa nostra”, prima ancora che da altri pentiti, fossero stati fatti da lui. Vincenzo inoltre mi precisa che a fronte delle sentenze e di altre accuse che portano a dubitare di lui, nei prossimi giorni sarà in grado si provarmi quel che dice in merito alla sua attendibilità.
“Come mai avrei fatto questi nomi di persone poi condannate, se non fosse stato vero che ero a conoscenza di alcuni segreti della famiglia mafiosa di Castelvetrano?” ha chiesto, continuando poi a spiegarmi come non si trattasse di notizie apprese de relato nel corso degli anni trascorsi in carcere (il che poteva essere un mio legittimo sospetto) bensì notizie apprese direttamente da boss di primo piano di “cosa nostra”, come Francesco Messina Denaro e altri. A questo proposito – per dovere e completezza di cronaca – va precisato che quando Calcara iniziò a collaborare, non c’erano altri collaboratori di giustizia attendibili come quelli che iniziarono successivamente a narrare i fatti di “cosa nostra” ,e quindi, a chi fosse stato a conoscenza di fatti veritieri, e a qualunque titolo lo fosse, indubbiamente gli consegnava una certa credibilità.
Ma Calcara, cosa ha da dire rispetto il fatto che una moltitudine di pentiti (quelli da lui definiti inattendibili) lo screditano definendolo “fradiciume” e falso pentito? Secondo Vincenzo, alcuni di loro realmente non sapevano della sua appartenenza a “cosa nostra” in quanto uomo d’onore riservato. Né tantomeno Matteo Messina Denaro o suo padre Francesco avevano interesse a dichiararne l’appartenenza dopo il suo pentimento, visto che si sarebbero vergognati del fatto di aver riposto in lui così tanta fiducia da aver messo a rischio la famiglia mafiosa.
Una chiave di lettura che potrebbe dunque avere una sua logica salvo il fatto che altri collaboratori narrano di come Matteo Messina Denaro non soltanto non fosse preoccupato delle propalazioni di Calcara, ma lasciasse intendere che la stessa organizzazione ne traesse beneficio. Nonostante queste, e altre, mie perplessità manifestate al mio interlocutore, Vincenzo Calcara in maniera molto tranquilla e pacata ha proseguito nel darmi spiegazioni sul perché non aveva parlato di Matteo Messina Denaro quando iniziò a collaborare, in quanto all’epoca il capomafia era il padre Francesco e lui era quindi soltanto una figura marginale. Tra le motivazioni delle sue propalazioni lacunose e imprecise per taluni aspetti, anche il legittimo timore di eventuali vendette in danno della sua famiglia.
“Perché questi pentiti, falsi, dei quali faccio i nomi, non mi querelano?”
Una domanda legittima, rispetto la quale ho fatto presente che qualcuno – che non appartiene alla schiera dei pentiti – c’è, invitandolo al contempo a spiegarmi perché mai se da altri non è stato oggetto di querele, questa persona oltre a smentirlo lo ha più volte costretto a frequentare le aule dei tribunali nella veste di imputato per calunnia e diffamazione. Calcara afferma di non riuscire a spiegarselo, ma ci tiene a sottolineare come non intenda ricorrere (almeno questa volta, visto che in altre circostanze è accaduto) alla prescrizione, e alla domanda sul perché nel corso di un’udienza avesse chiesto perdono a Vaccarino – accusato dal pentito – ha affermato di aver chiesto perdono poiché la filosofia buddista, che lui ha abbracciato, impone di chieder perdono a tutti coloro i quali soffrono a causa nostra e che ogni sera prega per tutte le persone che soffrono, compreso quelle che sono state da lui danneggiate.
Argomento della conversazione, com’è ovvio, il latitante Matteo Messina Denaro, rispetto al quale afferma di non sapere nulla dei fatti più recenti, non essendo più dentro “cosa nostra”, ma di poter solo fare alcune considerazioni in virtù del passato. Matteo Messina Denaro – secondo Calcara – ha il 60% di probabilità di morire da latitante di vecchiaia o malattia, come fu per suo padre, e il 40% di essere “fatto fuori” dalle stesse persone che attualmente ne curano la latitanza, escludendo la benchè minima possibilità che possa essere catturato vivo, visto il pericolo che rappresenta per tutti coloro che ne hanno favorito la carriera criminale e la latitanza. Sotto questo aspetto, non mi è stato difficile trovarmi d’accordo con lui.
“Cosa ne pensi dell’articolo di Lirio Abbate sul presunto incontro tra Messina Denaro e il signor Gino?”
“Un’invenzione. Matteo Messina Denaro non avrebbe mai e poi mai incontrato uno sconosciuto facendosi riconoscere. Matteo non è stupido… ha anche i mezzi che suo padre non aveva… ha pure studiato… no, non si può credere a quello che ha scritto nell’articolo…”
“Tra le cinque Entità (Cosa Nostra, la Ndrangheta, e pezzi deviati di Istituzioni, Massoneria e Vaticano) che tu citi, a mio parere ne manca una senza la quale non si sarebbero potuti favorire i depistaggi… il Potere Giudiziario…”
“Non l’ho escluso – precisa Calcara – è tra pezzi deviati di Istituzioni… ci sono giudici, pubblici ministeri…”
“E tu sai il nome di qualcuno di loro?”
“No, i nomi non li conosco…io ero un “soldato di cosa nostra”, conosco il sistema ma i nomi non mi furono detti, così come non ho mai saputo neppure quelli di almeno cinque appartenenti ai servizi segreti che ho incontrato…”
“Tu dici di essere protetto…”
“Sì, ci sono molte persone che mi sono vicine e mi proteggono, compresi alcuni giornalisti… e poi, pensa ai Borsellino…alla famiglia del Giudice che mi ha sempre creduto, al punto tale da farmi portare in spalla la bara della Signora Agnese, da aiutarmi nel corso di questi anni, da farmi riposare in casa loro, sul divano sul quale era solito riposare il Giudice… Credi che mi avrebbero accolto così se non avessi detto la verità? Tu pensi che mi avrebbero aiutato per tutto questo tempo? Tu hai letto sicuramente il mio libro. In quel libro c’è tutto quello che ti sto raccontando e come sai certamente anche Salvatore Borsellino e Manfredi Borsellino hanno avvalorato quello che ho detto finora… leggi la prefazione e tutta la narrazione dei fatti… e poi, perché se sono fuori dal programma di protezione, ancora mi scortano? Ogni volta ho almeno quattro… sei uomini di scorta…”
* (nota aggiornata a fine pagina) Non so se Vincenzo abbia letto di come Manfredi Borsellino, in merito ai suoi rapporti con lui, ha affermato che si era trattato di una continua e fastidiosa pressione fatta da Calcara tramite telefonate e invio di mail sempre più pressanti fino al punto da decidere di non rispondergli più, ma quello che mi ha più colpito è stato quando, nell’invitarmi a registrare la conversazione, mi ha chiesto: “ma chi sono io, uno che dice la verità, o un genio del male che è stato capace di prendere in giro tutti, dai magistrati a tutti gli altri che mi hanno creduto finora? E se sono un genio del male, voglio che tu lo scrivi…”
Ho sentito che all’udienza di giorno 29 a Palermo, Vincenzo Calcara ha chiesto di poter fare dichiarazioni spontanee visto che sarebbe stata l’ultima volta che sarebbe stato presente. Personalmente sono convinto, e ho le mie buone ragioni per esserlo, che sarà nuovamente presente in altre circostanze. Intanto questa è stata una prima occasione per sentire la sua versione su taluni fatti, in attesa che la prossima volta possa proporre nuove domande alle quali mi risponderà anche citando documenti che comproverebbero la veridicità delle sue dichiarazioni.
Un genio del male o no? Lo vedremo insieme nei giorni a venire…
Gian J. Morici
* Dopo aver letto l’articolo, Vincenzo Calcara mi ha chiamato per precisare come il rapporto tra lui e Manfredi Borsellino non si possa ridurre a quanto dichiarato dal primo durante l’incontro con Maurizio Franchina. A riprova di quanto riferitomi, Calcara, oltre a evidenziare come fu a lui chiesto di riposare a casa del Giudice dopo i funerali della Signora Agnese, della quale aveva portato in spalla la bara, mi ha invitato a cercare e pubblicare la lettera aperta che il Dott. Manfredi Borsellino inviò alla stampa nel gennaio 2011. Per dovere e completezza di cronaca, pubblichiamo la lettera alla quale potrebbe rispondere il Dott. Borsellino che troverebbe da parte nostra pronta accoglienza.
Questo il testo della lettera:
Lettera aperta di Manfredi Borsellino a Vincenzo Calcara
20 gennaio 2011. Caro Vincenzo, con questa lettera aperta desidero esprimerti tutta la mia solidarietà e il mio sostegno per quanto accaduto ieri mattina in quella Castelvetrano che è e rimane la tua città natale alla quale, so bene, nonostante tutto sei visceralmente legato.
Purtroppo quel preside che ha “boicottato” il tuo incontro con gli studenti della sua scuola decidendo per loro, poco o nulla conosce del tuo percorso di “redenzione”, iniziato oramai nel lontano 1991 e giunto oggi ad un punto di non ritorno.
Ti è stato impedito non certo di tenere una “lezione di legalità” agli studenti del tuo paese ma semplicemente di raccontare loro il tuo vissuto, perché ascoltassero dalle tue parole come sia stato possibile, come è possibile, che un uomo di Cosa Nostra che si è macchiato di gravi delitti possa uscire da qual tunnel, rivedere la luce, e ritornare ad essere e a vivere come un cittadino normale, a provare sentimenti di amore, a crescere quattro figlie, chiamate “Agnese” “Lucia” “Fiammetta” e “Beatrice” come la moglie e le figlie del tuo adorato giudice Paolo Borsellino, lontano da quel mondo di falsi valori in cui tu eri nato e cresciuto.
Non hai nulla da rimproverarti, i cittadini onesti di Castelvetrano e della Sicilia tutta sono con te; come bene ha detto il Procuratore Aggiunto Ingroia, la grandezza di mio padre stava proprio nella capacità e volontà di dare un’occasione di riscatto a tutti e tu, più di altri, l’hai colta mutando radicalmente la tua vita.
Chi dice che nel tuo caso Borsellino è stato fuorviato, che non era un dio e che avrà preso qualche granchio anche lui, rispondo che se mio padre certamente non era un dio e prendeva granchi, è anche vero che vi considerava persone come lui, con gli stessi suoi sentimenti ma con la sfortuna di non esservi mai imbattuti in chi vi aiutasse a uscirli fuori, ad averne consapevolezza.
Sono orgoglioso in tutti questi anni di esserti stato vicino, anche materialmente, e non rinnego nulla di ciò che ho fatto per te e la tua splendida famiglia, consapevole di avere solo continuato l’opera che aveva avviato mio padre il giorno in cui gli hai confessato che avresti dovuto ucciderlo.
Manfredi Borsellino
Fonte sito 19luglio1992