Non è stato necessario aspettare il referendum per decidere la secessione della Crimea dall’Ucraina. Né si dovrà aspettare che un nuovo parlamento della Crimea decida l’appartenenza della stessa alla Federazione Russa. A ridisegnare i confini delle nazioni europee ci hanno pensato i soldati russi.
Dopo aver invaso la Crimea per proteggerne gli abitanti di etnia russa da violenze da parte di manifestanti ucraini, mai verificatesi, i soldati di Putin non hanno perso tempo nel fortificare i nuovi confini di una inesistente nazione tracciandoli con le mine antiuomo in prossimità dei villaggi di Chongar e Nikolaevka.
La difesa della nuova nazione non sarebbe stata tale se dinanzi la penetrazione nel territorio da parte di “forze nemiche”, nella circostanza rappresentate da convoglio della Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (OSCE), i militari non avessero sparato in aria intimidatorie raffiche di mitra, costringendo gli osservatori europei a lasciare immediatamente il paese.
Con buona pace dei benpensanti come il giornalista Giulietto Chiesa che aveva visto, giustamente, una violazione di tutti i principi democratici dell’Unione Europea nell’abolizione del bilinguismo, ma che non si accorge della violazione di tutti i trattati internazionali nell’occupazione militare della Crimea da parte dei russi. Più che una strategia da parte dell’Europa e di Washington nel provocare una secessione per poi domarla con le armi, stiamo assistendo ad una secessione voluta da Putin e difesa con le armi prima ancora che popolo e parlamento si siano pronunciati.
Ma Giulietto Chiesa, parafrasando i suoi scritti, vergognosamente ha taciuto e tace. Tace, quando non applaude.
Da quanto accaduto dobbiamo attenderci sviluppi gravi? Sicuramente. A Putin non basta e non può bastare la presa in armi della Crimea. La mancanza di continuità del territorio per un’annessione fisica della regione alla Federazione Russa, imporrà a breve una sortita nell’Ucraina orientale. L’ennesimo atto di guerra da parte di Mosca sul quale un certo tipo d’informazione vergognosamente ha taciuto e tace. Tace, quando non applaude.
Mentre nelle città orientali dell’Ucraina, dominate da russofoni, centinaia di persone si sono riunite nelle piazze per chiedere – come è loro diritto, – una votazione sul loro status futuro e il rilascio del leader della protesta locale Pavel Gubarev (arrestato dopo essersi autoproclamato governatore del popolo), all’aggressione militare contro una nazione sovrana, tale è l’Ucraina, il Cremlino aggiunge la guerra cibernetica infettando decine di reti informatiche ucraine con il virus “Snake”, noto anche come “Ouroboros”.
Sul fronte interno ucraino, dopo le recenti manifestazioni che hanno dato luogo alla cacciata dell’ex presidente Viktor Yanukovich, la regione sembra si stia calmando, anche se sul piano politico la scelta da parte del nuovo governo di mettere uomini d’affari ai vertici del potere politico esecutivo non appare condivisa da tutti.
Alla guerra in armi e alla cyberwar condotte da Mosca si aggiunge il “conflitto” economico e quello del gas. La caduta libera del rublo, infatti, se da una parte indebolisce Mosca, dall’altra rappresenta un rischio per i mercati internazionali. A questo si aggiunge il problema delle forniture di gas in Europa, che ha portato gli ambasciatori di Ungheria , Polonia, Slovacchia e Repubblica Ceca a chiedere al Congresso americano di sostenere la rapida approvazione delle esportazioni di gas naturale, sottolineando che la “presenza di gas naturale degli Stati Uniti sarebbe benvenuta in Europa centrale e orientale”.
Il rischio è che si prospetti una situazione analoga a quella del 2009, quando la Russia tagliò le forniture di gas in Europa. L’Ucraina è attraversata dai gasdotti che portano l’80% del gas russo all’Europa e il cui eventuale blocco potrebbe mettere in crisi l’economia di Mosca, ma allo stesso tempo il paese dipende energeticamente da quello stesso gas. Un’arma a doppio taglio, tranne che, il governo americano – come chiesto dagli ambasciatori europei – non renda più facile l’importazione del gas dagli Stati Uniti rimpinguando le scorte che Polonia e Ungheria potrebbero fornire a Kiev, rassicurando i paesi europei del fatto di non correre il rischio di dover fare i conti con una imminente crisi energetica.
Questo potrebbe capovolgere le sorti di una guerra che con la conquista della Crimea sembra aver consegnato momentaneamente la vittoria militare a Putin, stravolgendo nuovamente quei confini disegnati con i campi minati del Cremlino.
Gian J. Morici