Il tam tam dei pro-rivoluzionari e dei pro-Assad non accenna a diminuire. L’occidente e in particolare l’Italia, si trova a dividersi su quella che all’origine è una giusta causa: la ribellione ad un dittatore.
Scoppiata la guerra in Libia, si aprì il dibattito sui tanti perché, sui possibili interessi occidentali, sul coinvolgimento di servizi segreti (CIA) che avrebbero pilotato la rivolta. Vero o falso? Probabilmente tutto vero.
Volevamo meravigliarci del fatto che gli americani – così come i francesi, gli inglesi e altri -, si stessero curando solo dei loro affari, impedendo alla Russia di diventare la prima potenza al mondo nel settore dell’energia? C’eravamo forse meravigliati dell’aiuto russo a Gheddafi, nell’addestrare uomini, nel fornire armi e dei silenzi, se non della complicità, nell’eliminare fisicamente e in maniera crudele i dissidenti? Dimenticammo presto gli affari italiani nel campo dell’energia, al fianco di Putin e di Gheddafi, a partire dalla partecipazione di Gazprom in SeverEnergia (60% Eni e 40% Enel), che diventò così la prima società italo-russa ad operare nei giacimenti della Siberia occidentale, regione dove viene prodotto il 90% del gas. Dimenticavamo anche l’aggiudicazione da parte del gruppo italiano di alcuni assett della Yukos, che ci permise di entrare in gioco nella produzioni di idrocarburi nella penisola dello Yamal; l’accordo a doppio binario, quello con Putin, che andava dal contratto per la produzione di un super jet 100, alle commesse a favore di Finmeccanica nel settore delle ferrovie e degli elicotteri e nel settore delle comunicazioni, alla realizzazione del gasdotto South Strem, destinato a portare in Italia il gas dei giacimenti russi; per finire con l’ultimo affaire filorusso, l’accordo Eni, Gazprom, Gheddafi, stipulato pochi giorni prima della rivolta in Libia.
In nome di tutto ciò, chiudevamo gli occhi su quello che il dittatore libico faceva al suo popolo. Occhi che come per miracolo, si riaprirono immediatamente quando la rivolta del popolo libico – certamente aiutato da potenze straniere – rimise in discussione tutti gli accordi commerciali del dittatore. Ecco comparire l’ombra dei servizi segreti americani dietro i ribelli libici, gli interessi sul gas e tutto quello che non vedevamo quando gli interessi erano quelli russi e italiani. In nome di un antiamericanismo diffuso, si possono anche appoggiare dittatori che imprigionano, torturano e uccidono i figli della propria nazione. In nome degli interessi, noi, ex soci di Putin, che abbiamo tradito colui a cui il capo del governo baciò la mano (ricordate Giuda?), restammo i servi infedeli di quel colonialismo americano che in molti dicono di detestare..
Grecia e Italia si apprestano a rubare il gas naturale dalla Libia. L’esplorazione riguarda aree del mediterraneo al di fuori delle acque territoriali libiche, ma in almeno due casi le aree di perforazione si trovano all’interno delle acque libiche, come nel caso di quella individuata difronte Derna, a soli 6 chilometri dalla costa libica. I governi di Grecia e Italia hanno progettato un gasdotto per salvare l’Europa dalla pesante dipendenza dal gas russo (quello stesso gas russo al quale ci legava il governo Berlusconi, per salvarci dalla dipendenza della NATO). Un furto di risorse in danno dei paesi del Mediterraneo meridionale, che si vedranno sottratto così il petrolio di quell’enorme giacimento che si estende lungo la costa di un gran numero di nazioni come Turchia, Siria, Libano e Israele, Cipro, striscia di Gaza, Egitto, Tunisia e Libia. Una conferenza tripartita, alla quale nel prossimo mese di settembre parteciperanno Grecia, Cipro e Israele, affronterà il tema di come spostare enormi quantità di gas naturale dal sud del Mediterraneo all’Europa. Tra le opzioni, quella di stoccare il gas a Cipro prima di pomparlo in Europa e quella di creare enormi impianti per generare elettricità a Cipro e portare tramite cavidotti l’energia elettrica in Europa.
Le elezioni presidenziali in Libia hanno consegnato il governo ad un esponente del vecchio regime benvisto da Washington. Ma seppure la Libia non è governata da un rappresentante della “rivoluzione”, qualcosa comunque è cambiata. Se le rivoluzioni non cambiano nell’immediato il destino di un popolo, forse aiutano a risvegliare le coscienze e ad equilibrare i rapporti di forza tra classi sociali. In Libia è nata un’opposizione. Un’opposizione formata da quei giovani rivoluzionari che hanno combattuto contro il regime dittatoriale e che oggi non accettano un governo che, seppur senza la violenza applicata dal dittatore, continua a svendere il futuro di un popolo.
E in tutto questo, media, pacifisti e pseudo intellettuali italiani cosa fanno? Tacciono. Abbandonato a sé stesso il popolo libico, magari in attesa che si instauri una nuova dittatura, gli onanisti mentali compulsivi hanno già trovato il nuovo argomento al quale dedicarsi: la Siria.
Bashar al-Assad, diventa quasi un eroe e con lui tutto il branco di aguzzini che ha torturato e ucciso anche bambini. I giovani rivoluzionari, terroristi e tutti al soldo della CIA.
Emblema di questi “terroristi”, è Aya Homsi. 25enne, nata in Italia da genitori siriani. È lei il simbolo dell’attivismo siriano. Aya ha capito l’importanza che blog e social possono avere per diffondere notizie scavalcando i media tradizionali e sfuggendo alla censura di regime. Fondatrice del gruppo ‘Vogliamo la Siria libera’, ricercata in Siria per la sua attività in favore della democrazia contro il regime, Aya è diventata ben preso bersaglio di tutte le accuse mosse da quanti filo-Assad, e parafulmine sul quale scaricare tutte le responsabilità di eventuali atti di violenza commessi da altri.
La giovane siriana ha un grande sogno: una Siria che sia dei siriani e non una Siria di Assad. L’aver vissuto in Italia, ogniqualvolta tornava in Siria, la portava a fare continui paragoni tra il nostro Paese (che pure non è il paese di Bengodi) e quello dei suoi genitori, dove il pronunciare una sola parola, può fare la differenza tra l’essere vivo e l’essere morto. Quando è iniziata la Primavera araba, alla giovane Aya non ci volle molto per capire da quale parte stare e cosa avrebbe potuto fare per aiutare il suo popolo. Skype e Facebook, si trasformarono ben presto nelle armi che Aya poteva mettere in campo contro la dittatura nel suo Paese. Ogni singolo byte del suo pc, fa più danni al regime di quanti non ne farebbe una brigata armata di kalashnikov.
Impegnata quasi giorno e notte dinanzi al computer, dà voce a chi non ha voce, sostituendosi ai media e facendo in modo che le notizie riescano ad uscire dai confini siriani. Notizie che parlano di sangue, di stragi, di innocenti uccisi, ma anche di speranze e del sogno di una ragazza che vorrebbe la pace e la libertà nel suo paese. Per questo suo sogno, non ha avuto paura a metterci la faccia e rischiarne le conseguenze. Nessuno può far finta di non sapere cosa accadrebbe ad Aya se finisse nelle mani dei sostenitori di Assad. Eppure, nonostante ciò, per molti è diventata una sorta di terrorista alla quale addebitare tutto quello che succede. Oggetto di aggressioni da parte di blogger e giornalisti, che, con grande facilità, stando al sicuro dinanzi al loro pc in un paese che non vive una guerra civile, incitano i sostenitori di un dittatore contro la giovane siriana.
Di cosa meravigliarsi se poi da parte di chi ha vissuto la violenta repressione del regime ci siano delle reazioni anche se ingiuste o inadeguate? Nonostante ciò, a condannare eventuali illeciti o violenze attraverso la pagina del suo gruppo, è la stessa Aya, che commentando un video di accuse mosse a quanti vorrebbero una Siria libera, ha invitato gli autori dello stesso a denunciare eventuali fatti non accusando genericamente e in maniera strumentale tutto il movimento.
Ma quanti di coloro che puntano il dito contro la “terrorista” Aya, avrebbero avuto il coraggio di mettere in gioco la vita battendosi per i diritti del proprio popolo? Aya questo lo ha fatto e sta continuando a farlo. Comunque vada la rivolta, qualsiasi cosa accada dopo, noi non abbiamo alcun diritto nell’impedire che un popolo si ribelli ad un dittatore. Se è pur vero che in gioco ci sono grandi interessi di carattere internazionale e che la guerra nel mondo arabo vede opposte potenze che la stanno combattendo per interposta persona, altrettanto vero è che non possiamo accettare – o peggio renderci complici di costoro – dittatori che non si sono fatti scrupolo nel far torturare e uccidere ragazzini sol perché avevano avuto l’ardire di scrivere su un muro la parola “libertà”.
Se realmente avessimo a cuore la sorte di questi popoli, continueremmo a fare informazione e combattere al loro fianco contro gli interessi di quelle nazioni che oggi accusiamo di essere coinvolte nella Primavera araba. Purtroppo, quello che sta accadendo in Libia dimostra come la nostra attenzione sia solo strumentale o emotiva e limitata nel tempo. Diciamoci pure la verità, a noi italiani importa poco o nulla di quello che accade fuori dalla nostra porta di casa. Giochiamo a fare i contestatori antiamericani, antisionisti, anti tutto, ma poi…
Vogliamo togliere ad Aya la possibilità di coltivare un sogno, per questo nostro gioco?
Gian J. Morici
Io NO 🙂
Io NO.
Se Assad non fosse un dittatore e se il popolo fosse con lui, in Siria ci sarebbero democratiche elezioni e la stampa non verrebbe censurata. E’ facile fare le critiche e parlare di complotti quando si ha la pancia piena e all’appello non manca nessuno dei tuoi figli.
Un’altra che lavora per gli americani
La solita vecchia storia. Mentre c’è chi muore c’è chi continua ad arricchirsi. Il mondo gira sempre alla stessa maniera