E’ ancora notte. Ed io ti scrivo.
Il cielo è freddo mentre le stelle sembrano fuochi incandescenti.
Ti scrivo Acmet, perché sei l’unico a cui vada il mio pensiero. Non a mia madre, non alle mie sorelle. Io penso a te, Acmet, e mi rendo conto solo ora di quanto onore tu mi abbia fatto nella nostra vita.
Appena la luna impallidirà verranno a prendermi. E io scrivo a te, al mio nemico.
Non ti meraviglierà questa espressione.
Tu sei nella tua bottega ad impastare acqua lievito e farina. Si solleva il profumo dalle tue mani, penetra nella bottega, e si libera per la strada.
Credono tutti tu sia un uomo semplice, forse lo credi anche tu, ed invece tu sei un uomo invincibile.
Sei il mio nemico.
Non è mai corsa una parola tra di noi, né un’offesa.
Eppure, la donna che amavo ti ha scelto, gli amici che volevo riempivano la tua casa colmi di gioia, ed entravano nella mia con soggezione.
E per questo io ti ringrazio: attraverso te ho conosciuto me stesso.
Non appena la luna impallidirà verranno a prendermi.
Contro di te ho dato fuoco alla miccia della mia rabbia. Ho parlato duro, ho denunciato la mia natura, ho spaventato gli uomini. Mi hanno rinchiuso, mi hanno giudicato.
Forse tu non mi hai mai osservato, ma io ti scrutavo.
Tu pregavi come pregavo io.
Fu allora che mi indebolii, e che gli uomini mi presero.
Fu quando, inginocchiandomi, gettai un occhio sulla tua stuoia. Un attimo prima di affidarmi a Dio io ti ho visto Acmet. Avevi il mio stesso sguardo, la stessa intensa gioia. Tu amavi Dio come lo amavo io, con un salto nel cuore ogni volta che lo incontravi, senza nessuna spiegazione, perchè l’amore non ne ha. Tu ti gettavi tra le sue braccia, come me, con che stanchezza, con che desiderio.
Tu sei il mio nemico Acmet, tu fai il pane, ami la donna che amo, la gente ti considera. Ti inginocchi e gli occhi ti ridono; hai tenuto in braccio tuo figlio. Su queste semplici cose io misuro il deserto della mia vita.
Avevo già compiuto ogni azione che avrebbe reso libero anche te Acmet. Mi sbagliavo. Tu già lo eri ed io con te, perché amavamo così profondamente il divino da passeggiargli accanto.
Ho visto un lembo dei tuoi occhi azzurri rivolto verso il cielo, prima che ambedue prostrassimo a terra la fronte.
Da qui, Acmet, di giorno vedo le colline più lontane, dai profili quasi azzurrini, ombre come di nebbia. Ed al tramonto, il sole nuota in fondo al mare, come una rossa sirena. Ora che indago parte del mondo da una fessura ferrata, ora lo riconosco.
Ecco, la luna non è che una pallida medusa, e il cielo avanza su di lei consumandola.
Vengono a prendermi.
Addio Acmet, mio nemico, mio fratello.
Bellissima lettera.
Mi ha fatto riflettere sulla futilita’ delll’ essere invidiosi, e la scelta mirata della appartenenza religiosa dei soggetti e’ attuale e ben descritta.
Brava Sara.
Vogliamo altre lettere cosi’