Il signor ESSE trovò, salendo sull’ascensore e girandosi a controllare la sua faccia nello specchio, un foglio incollato con lo scotch e scritto in stampatello. Inforcò gli occhiali e si avvicinò allo scritto:
QUESTA E’ LA PRIMA DI UNA LUNGA SERIE DI LETTERE COMPROMETTENTI. FIRMATO IL CORVO DI EDGAR ALLAN POE.
Sotto, il disegno di una testa di corvo, nero e con l’occhio piuttosto espressivo.
Il signor ESSE era un ex carabiniere, sapeva bene quale fosse il suo dovere. Staccò il foglio dal vetro, e senza ripiegarlo, brandendolo come una bandierina, lo portò seco alla caserma dei carabinieri di zona.
Si presentò, si qualificò, si fece ricevere dal maresciallo, chiamarono gli altri, fecero una ricerca, ma di Allan Poe non ne risultavano a Roma, né tra i ricercati, né tra i maniaci..Si poteva chiedere all’estero…A quel punto il signor ESSE si rassegnò. Se avesse trovato altre inquietanti missive li avrebbe informati. E se ne tornò rigidamente verso casa sua. Il foglio no. Lo aveva consegnato. Ora se ne stava addormentato in una diligente cartellina grigia, nell’archivio dei carabinieri, tra i casi sospetti.
ELLE lavorava ai compiti al tavolo tondo della sua camera da letto/ pranzo/ soggiorno. In realtà passavano i secondi, si raggruppavano in minuti, si aggregavano inesorabilmente nella congiura delle ore, e lui non ne veniva a capo. Gli occhi si dirigevano costantemente alla finestra, e più in alto, verso il cielo bianco che spuntava dalle cime dei palazzi che stringevano la sua casa. Così i pensieri di ELLE cercavano una via d’uscita, si arrampicavano sui balconi fin verso quel pennacchio di cielo stinto. Gli erano venute tante idee: come registrare i rumori interni della nonna, che stava accucciata nella brandina vicino al muro, piantandole il microfono del registratore sulla pancia, zona intestini; come registrare la sua voce che faceva domande alla nonna, osservando le pause in cui lei avrebbe risposto, fino a quando non si fosse accorta che arrivava la voce ma lui stava con le labbra immobili; oppure infilarsi un ferro da calza nel calzino e rotolarsi per terra chiamando sua madre e urlando che si era trapassato il polpaccio..Tante idee, ma non certo quella giusta per risolvere il problema che aveva davanti. A scuoterlo fu il dlin dlon sdolcinato del campanello d’ingresso. Tese le orecchie. Riconobbe il passo veloce di sua madre che si dirigeva dalla cucina alla porta, il rumore del catenaccio che avrebbe dovuto difenderli dai ladri e dagli assassini, (dei disperati più di loro in fondo), e riconobbe la voce del signor ESSE. Sua madre lo faceva accomodare nella cucina/tinello/dispensa.
Allora lui scivolò via dalla sedia e si appalesò. Era veramente molto incuriosito, e lo fu di più quando sentì il signor ESSE riferire di una certa lettera minatoria appiccicata allo specchio dell’ascensore.
Il signor ESSE era l’emblema dello sdegno, ma solo se lo conoscevi bene te ne accorgevi. ELLE notò un bella linea dritta che solcava la fronte bassa del signor ESSE, e gli occhi, solitamente torpidi, ritratti e come addormentati, erano due pallini da biliardino, che inseguivano le mosse di sua madre, che intanto si muoveva senza sosta nella cucina..pranzo ecc. aprendo e chiudendo il frigo, scartocciando involti destinati alla cena, facendo apparire e sparire coltelli, baluginare forchette, infiocinando arrosti e rimestando peperonate.
-Capisce signora mia, qui potrebbero pure arrivare all’attentato, magari diretto alla mia persona, non per niente sono un ex funzionario a riposo-
ELLE indovinò, nonostante sua madre gli desse le spalle, l’espressione della sua faccia: oh sicuramente aveva rivolto gli occhi al soffitto con iraconda rassegnazione.
-Insomma questo…aspetti che me lo sono segnato..questo Elgar Alan ..non capisco..è una PI questa?- strizzava gli occhi, si infilava gli occhiali cerchiati di una plastica nera –mi sembra Coe, –
poi soddisfatto declamava: -Elgar Alan Coe, uno straniero forse, ma potrebbe essere anche un nome falso, una sigla, qualcosa vorrà dire..ah ma!..-e annuiva con vigore, avendo cura di rimettere il foglietto nel taschino-Ah ma! la Benemerita indagherà, ah, se indagherà. Lei non è preoccupata signora?-
Per risposta arrivò il colpo netto del pestacarne sul tagliere di legno. Il signor ESSE sembrò rabbrividire, si strinse nelle spalle, come se avesse avuto freddo all’improvviso. E così si accorse di ELLE:
-Hai capito cosa accade in questo condominio? Potremmo essere al centro di intrighi internazionali. Ma tu sei un bambino ancora..è giusto però che anche i bambini sappiano del pericolo che si può correre..Il mondo è pieno di facinorosi, malpensanti, criminali, gente apparentemente inoffensiva..ne so qualcosa io..Quando ero ancora nell’Arma..-
Sua madre azionò tempestivamente il frullatore. Ed anche la lavatrice diede il suo contributo sparando la centrifuga al momento giusto. Quando tutto si tacque, il signor ESSE non ne aveva ancora avuto abbastanza. Si alzò, e borbottò tra sé e sé:-Ellar Alan Coe, ma chi può essere, che può mai significare. Comunque, attenzione, attenzione. Casomai si dovessero ancora verificare questi episodi, avvertitemi, che ogni elemento nuovo può essere utile.- e intanto si avviava verso la porta d’ingresso. ELLE prontamente gliela aprì e lo vide scomparire per le scale.
Poi tornò in cucina, dove sua madre raccoglieva acqua: durante la centrifuga si era staccato il contropeso. Pensò di aiutarla, ma lei gli gridò contro con tutto il fiato che aveva: -HAI FINITO I COMPITI!!!??-
ELLE scappò via con le pantofole zuppe.
FUGGI PIU PRESTO CHE PUOI O TI UCCIDERANNO DOMANI NOTTE E AVVERTI TUTTI GLI ALTRI INQUILINI E LA PORTIERA DI SCAPPARE. NON SONO PAZZO. MISTERO.
La signora EMME andò a chiamare sua sorella, la signora ERRE. Era un po’ agitata. Aveva trovato quel biglietto sotto la porta, e non era sicura di aver capito cosa c’era scritto. Doveva cercare gli occhiali, ma non ricordava dove li aveva riposti, per cui attraversò tutto il corridoio della sua casa per andare a bussare alla porta della stanza di sua sorella. Trovatala le consegnò il biglietto con mano tremante. Anche la signora ERRE non riusciva a leggere, e neppure a trovare gli occhiali. Si consultarono con lo sguardo e andarono a cercare il temibile marito della signora ERRE.
Il SOR GI lo trovarono sul terrazzino, intento ad irrorare le sua amatissime piante. Tra le labbra stringeva un bocchino a molla di plastica nera con un cerchietto dorato da cui partiva una sigaretta, e ogni tanto biascicava qualche complimento alla gatta che gli si strusciava tra le gambe. Era seduto di spalle alla porta finestra, e non vide subito le due sorelle, addossate l’una all’altra, con quel foglio in mano, che non osavano disturbarlo. Finalmente la moglie, la signora ERRE, si schiarì un po’ la voce e debolmente lo chiamò:
-GI?-
Il SOR GI si voltò seccato, e le squadrò annoiato:-Che c’è?- le ringhiò contro.
-Ecco, sotto la porta c’era questa- rispose ERRE, e gli sottopose il foglio bianco vergato dalla mano anonima. Il SOR GI si alzò dalla sediolina di legno dove stava rannicchiato, a contatto stretto con le sue amate fioriture. Era un uomo corpulento, con una capigliatura cortissima, e grossi occhiali da miope. Lesse. S’incupì. Tenne il foglio con la sinistra e con la destra mollò un ceffone alla signora ERRE. Un ceffone sonoro, che udì anche il piccolo ELLE, e sua madre, e la nonna di ELLE, la signora DI, visto che i due appartamenti avevano le cucine confinanti.
Seguì del silenzio. Altro non si avvertì che il puff puff dell’aggeggio irrorante che il SOR GI aveva tranquillamente continuato ad azionare sui suoi adoratissimi, amatissimi, idolatratissimi vegetali.
Solo il piccolo ELLE fece una proposta, mentre svogliatamente mangiava la sua minestra con la razza, invenzione del suo papà:
-Perché non sfondiamo il muro della cucina e viviamo tutti insieme?-
-Tutti chi?- fece sua madre tirando su nervosamente con il naso.
-Noi, e la famiglia del SOR GI- rispose ELLE
-CE MANCA!- urlarono in coro la madre, il padre, la nonna.
Nel pomeriggio, mentre ELLE stava inchiodato al solito tavolo, con i soliti compiti, e con la solita testa tra le nuvole, la signora ERRE venne a casa loro. ELLE sentì che bisbigliava qualcosa a sua madre, e quindi sgattaiolò in cucina, e con aria flemmatica si acciambellò sulla poltrona di vimini della nonna.
La signora ERRE riferiva del sonoro schiaffone ricevuto all’ora di pranzo:
-Tu capisci, gli dò il foglio, che ora ti faccio vedere. Lo legge, e senza dire una parola, pronunciare un parere, lui che fa, mi dà uno ceffone!-
La madre di ELLE la squadra e poi chiede:- E tu? Che hai fatto?-
-Ah- rispose ERRE, facendo contemporaneamente un largo gesto con le braccia che ruotarono ognuna in direzione opposta all’altra, creando un bel cerchio nell’aria:- Ah io, DIPLOMATICA!-
La madre di ELLE scosse il capo nervosamente, tirò su con il naso, e le rispose che non le sembrava che fosse stata tanto diplomatica, quanto una emerita cretina. Contemporaneamente strattonò il figlio, cercando di rimandarlo in sala a studiare. Accortasi di una macchia sul pulloverino lo redarguì con parole irriferibili, e il piccolo ELLE fu costretto a scendere dalla sua comoda postazione per sottrarsi all’oltraggio. Ma rimase presso la porta ad ascoltare ancora.
ERRE leggeva la lettera minatoria. Lui sapeva bene quel che vi era scritto, come conosceva perfettamente il testo del Corvo, perché il Corvo modestamente era lui.
-Ma che dobbiamo fare, qui dice che dobbiamo scappare, che ci ammazza..-
Dietro le spalle di ELLE sopraggiungeva la nonna DI. Era piccolina, tondina, e con la crocchia bianca. La nonna DI piangeva sempre quando pensava al suo figliolo che non c’era più, e se cedeva al nipote un bocconcino di carne, proferiva:-Me ne privo!- con accenti piuttosto dimessi, che piombavano nel cuore di ELLE come tanti macigni, e ad ELLE sembrava che tutte le pareti intorno portassero la scritta: INGRATO!
Nonna DI lo vide che ascoltava i discorsi che si andavano tenendo in cucina. Non disse nulla, lo superò e si presentò alle signore che confabulavano.
-Guardi SORA DI, guardi anche lei- disse la signora ERRE. E mostrò la lettera a nonna DI.
Era bella la calligrafia in stampatello di ELLE, così come era magnifica la testa di corvo che aveva disegnata sul foglietto dell’ascensore.
-Che dice, ci dobbiamo preoccupare? Il signor ESSE ne ha trovata una che ha portato ai carabinieri. Ma sono seccature.-
Nonna DI sorrise, prese la lettera e se la mise nella tasca del grembiule da casa che portava per preservare gli abiti.
-Ma no- fece – Sono stupidaggini, cose da ragazzini, non vedete che è la scrittura di un ragazzino?-
ELLE si sentì arrossire. Tornò al tavolo, a studiare, e lo fece con profitto per almeno mezz’ora. Intanto il cielo volgeva alla sera, la stanza si oscurava, e dovette accendere la lampada. Sua madre dalla cucina gli gridò, una volta uscita la signora ERRE, che se non la smetteva, finiva al riformatorio e che l’avrebbe detto a suo padre, e al brigadiere che abitava sul loro pianerottolo, e al signor ESSE che l’avrebbe riferito ai carabinieri. Non nominò la guardia del Presidente, perché ne ignorava l’esistenza.
Allora ELLE, con i suoi begli occhi sognanti, scuri, così ben disegnati e malinconici, le guance con le fossette, i capelli biondi con la frangetta, e le sue abili mani creative, sfilò un foglio dal suo quadernone. Prese il pennarello a punta fine, e cominciò a scrivere:
NON E’ UNO SCHERZO, NON E UN GIOCO DA BAMBINI…fai i bagagli, prendi il treno, vai lontano…
Ehi, questa donna è amica mia. Almeno così credo …