
Non so perché, ma lo sciopero dei magistrati e tutte le polemiche (con coccarde e senza) che ne sono seguite mi porta – nuovamente – alla memoria la frase del saggio Talleyrand: alla sua idea che vi sono cose più gravi dei delitti.
Queste cose più gravi dei delitti si chiamano errori e, a volte, orrori.
Nella loro tri-colorata protesta i magistrati hanno cercato di spiegare al Popolo Italiano che l’astensione era una dolorosa opzione a tutela dell’indipendenza del loro ruolo costituzionale e – per l’effetto – a tutela della Giustizia che è l’acqua pura di cui ogni Paese, civile e democratico, ha bisogno per dissetarsi e vivere una vita migliore.
Non è così.
Almeno, non è tutta racchiusa in quella protesta la Verità della storia giudiziaria e non è certo la separazione delle carriere, con una nuova organizzazione degli equilibri giurisdicenti, il grande problema della Giustizia in Italia.
Il primo, immenso, problema è nella sua lentezza, perché – come assumeva un grande processualista tedesco – “non c’è peggiore ingiustizia che la tardiva giustizia”.
Ricordo che, entrato in magistratura (era l’anno 1986), mi scontrai quasi subito con un presidente di tribunale che teorizzava l’idea che le carte giudiziarie trovavano una loro dimensione naturale nel riposo.
Me lo diceva in siciliano: “Tu un lu capisci, ma i carti hanno a duormiri”.
Quell’uomo, che rappresentava la Giustizia in una periferia Siciliana devastata dalla mafia, sorridendo assumeva che il metodo per sopravvivere al gioco giudiziario era quello di “fare poco e quel poco farlo fare agli altri”.
Non era da solo in questa idea che condivideva con il capo della Procura ed il Pretore dirigente (allora esisteva ancora il ruolo pretorile).
Livatino venne trucidato in un territorio in cui esistevano “colleghi” che la pensavano così.
Da allora qualcosa è cambiato, ma grandi aree di dormitori giudiziari ancora albergano nelle stanze dei tribunali.
Non mi sembra che per questo si sia proclamato sciopero…
Il secondo immenso problema è nella legislazione folle.
In Italia vi sono circa 160.000 norme, di cui poco più di 70.000 approvate a livello nazionale e 89.000 dalle Regioni e dagli Enti locali.
Dieci volte in più di quelle esistono in Francia, Germania e Gran Bretagna.
Pensare che una Giustizia ed una Magistratura possano gestire una situazione di tal fatta è più folle dello stesso numero delle leggi.
Non mi sembra che su questo si sia proclamato sciopero…
Il terzo immenso problema risiede nell’incapacità della magistratura di adattarsi all’evoluzione della società civile e alle sue istanze.
Da monolite autocratico, con le sue maleodoranti deviazioni correntizie, con i suoi riti auto-celebrativi, con il suo protezionismo di tipo parentale, la magistratura ha completamente perduto il contatto con la società civile con la quale più non dialoga.
E, così, la regola non scritta di certa parte della “magistratura militante” secondo cui “il Diritto nei confronti degli amici si interpreta e, nei confronti dei nemici, si applica” si è fatto abito morale con effetti devastanti.
Non mi sembra che su questo si sia proclamato sciopero.
Nessuno ha detto che la separazione delle carriere doveva essere fatta già dopo il giorno 24 ottobre 1989, allorché il Popolo Italiano decise che il processo sarebbe stato di tipo accusatorio alla maniera anglosassone, con un organo che investiga ed uno – completamente diverso – che giudica l’esito di quelle investigazioni.
Tanti invocano i nostri martiri e fanno parlare i morti (quanti “amici” di Falcone e Borsellino avete ascoltato parlare il televisione?..), ma nessuno dice che entrambi assumevano la necessità della separazione delle carriere.
Tanto altro vi sarebbe da dire e – ancor di più – tantissimo vi sarebbe da fare per riportare la Giustizia e la Magistratura all’idealità di coloro che vi hanno dedicato la vita sacrificandola nel martirio.
Li ho conosciuti entrambi e posso dirvi, con certezza, che loro avrebbero detto che la Giustizia non può, anzi non deve mai, astenersi – neppure per un giorno – dall’essere il punto di riferimento del Paese.
Con coccarde o senza coccarde tricolori sul petto…
Lorenzo Matassa