Sta facendo molto discutere il libro “Il Sistema” edito da Rizzoli, che riporta la lunga intervista a Luca Palamara (ex membro del Csm, ex capo dell’Anm, radiato nell’ottobre 2020 dall’ordine giudiziario in seguito a un’indagine sul suo ruolo di mediatore del sistema delle correnti della magistratura) nel corso della quale l’ex pm spiega con dovizia di particolari come funzionano i giochi delle correnti nelle nomine dei magistrati e il potere di una certa magistratura che travalica il proprio ruolo istituzionale incidendo negativamente sul sistema democratico del Paese e sul corso della giustizia.
Un sistema, per l’appunto “Il Sistema”, che stando a quanto riportato nel libro-intervista si avvale di magistrati, giornalisti e appartenenti alle forze dell’ordine, condizionando pesantemente il potere legislativo e il potere esecutivo che rappresentano il vero potere democratico.
Palamara racconta episodi, cita nomi, narra di accordi correntizi e di interferenze sugli stessi da parte dello Stato, come nel caso della nomina del procuratore di Palermo Francesco Lo Voi, narrando dell’incontro dell’ex procuratore di Roma, Giuseppe Pignatone e il giudice del Consiglio di Stato Virgilio, avvenuto poco prima della bocciatura del ricorso di Guido Lo Forte contro la nomina di Lo Voi, che mandò in fumo il suo accordo con Lo Forte, il quale era inviso anche al Quirinale (Presidente Giorgio Napolitano – ndr).
La situazione stava sfuggendo di mano, anche alle correnti di sinistra – afferma Palamara, che sostiene di averne parlato con Piergiorgio Morosini, al quale avrebbe detto di tenere a bada i suoi, e che gli accordi su Lo Forte andavano mantenuti, fin quando non intervenne Pignatone, il quale, nonostante fosse amico di Lo Forte decise di puntare sulla nomina di Lo Voi, nonostante questi avesse meno titoli degli altri due candidati a procuratore di Palermo.
“In questo colpo di scena c’è stato lo zampino del Quirinale?” viene chiesto a Palamara.
“Su decisioni di questa portata il Quirinale è sempre in partita” – risponde l’ex pm.
Secondo quanto riportato nel libro-intervista, “Il Sistema” non si limiterebbe a governare le nomine dei magistrati, ma proprio grazie alle nomine sarebbe in grado di incidere sulla scelta delle indagini da condurre, arrivando finanche a determinare l’esito degli eventuali processi.
Un Sistema che dunque condizionerebbe la vita sociale e politica del Paese, gestendo le sorti di migliaia di cittadini la cui esistenza finisce con il dipendere da interessi che con la giustizia non hanno nulla a che vedere.
L’ultimo tassello di questo mosaico, costruito ad arte, sembra riguardare la nomina del nuovo procuratore di Roma, quando l’attuale procuratore generale di Firenze, Marcello Viola, venne silurato da una fuga di notizie ad orologeria, grazie a un’intercettazione illegale condotta dalla Guardia di Finanza nel corso della cena all’Hotel Champagne, quando Palamara e altri magistrati incontrarono Luca Lotti e Cosimo Ferri.
In qualsiasi paese democratico, le rivelazioni di Palamara, che coinvolgono molte decine di magistrati, e non solo loro, avrebbero rimesso in discussione gli assetti degli uffici coinvolti e sollevato il problema di come arginare un fenomeno che non può certamente essere accettato, né taciuto.
In Italia, paese di santi, poeti e navigatori, ma anche di spaghetti e mandolini, il rischio è che tutto finisca a tarallucci e vino, coprendo quella parte della magistratura coinvolta, in danno dei tanti magistrati – fortunatamente la maggior parte – che svolgono il loro lavoro con serietà e professionalità.
Nella migliore delle ipotesi c’è da aspettarsi il classico promosso e rimosso, con qualche incarico ministeriale fuori ruolo che metta al sicuro chi si è prestato a giochi che non possono appartenere a chi amministra la giustizia, trasformando questa in feudi e potentati in grado di condizionare i centri nevralgici dell’intero sistema giudiziario.
Dal Csm, alle procure che dovrebbero indagare su magistrati di altre procure e che, per ironia della sorte, potrebbero finire con l’essere rette proprio da magistrati provenienti da quelle procure sulle quali potrebbero trovarsi ad indagare.
Nulla di illecito, per carità, ma se fossimo in ambito politico o nel privato, assisteremmo a inchieste, urla e accuse, di pacifico conflitto d’interesse.
Tutto questo impone che si faccia la massima chiarezza su quanto è avvenuto e Palamara dichiara. Che la politica recuperi il proprio ruolo e dia il proprio contributo, in attesa che gli organi inquirenti accertino eventuali responsabilità penali.
È necessario restituire alla magistratura la fiducia che rischia di perdere e la sua indipendenza, e per far questo anche la classe politica deve intervenire.
Gli strumenti non mancano. Così come sancito dall’articolo 82 della Costituzione, e così come già avvenuto per vicende meno gravi, “Ciascuna Camera può disporre inchieste su materie di pubblico interesse. A tale scopo nomina fra i propri componenti una commissione formata in modo da rispecchiare la proporzione dei vari gruppi. La commissione di inchiesta procede alle indagini e agli esami con gli stessi poteri e le stesse limitazioni della Autorità giudiziaria”.
Il Parlamento non può, e non deve, sottrarsi a questo diritto-dovere, lasciando che vertici delle procure e dei tribunali, in parte nominati in modo illegale, continuino a gestire potere, anziché amministrare giustizia.
Se tutto ciò continuerà ad avvenire, in danno della democrazia, della giustizia e di ogni singolo cittadino, nel complice silenzio delle istituzioni preposte e dell’intera classe politica, l’Italia potrebbe, a buon titolo, essere annoverata tra le cosiddette “Repubbliche delle banane” latino-americane.
Gian J. Morici
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