Se c’è una differenza della quale ci si accorge subito nella storia delle latitanza di Totò Riina e Bernardo Provenzano, con quella di Matteo Messina Denaro, è il livello qualitativo di chi ha coperto e continua a coprire “u siccu”. Non che Riina e Provenzano non godessero di coperture “altolocate” anche all’interno delle istituzioni, ma erano meno evidenti e certamente meno ramificate.
Matteo Messina Denaro, è ormai chiaro, gode di una diversa rete di fiancheggiatori e di coperture, quasi certamente per il ruolo che ha avuto nelle stragi del ’92 e per i tanti segreti che, se rivelati, potrebbero dar luogo a un terremoto giudiziario senza precedenti.
Alle collusioni che a tutti i livelli hanno facilitato la latitanza del boss, si aggiungono una serie di circostanze, certamente fortuite, che hanno avvantaggiato “u siccu” quasi quanto, non se non più, di chi artatamente lo ha protetto. È come se attorno al mantello che copre il latitante si fosse creata una ragnatela di fili che impedisce a chiunque di avvicinarsi senza bruciarsi. Fili che una volta toccati, danno luogo a fughe di notizie o doverose attività giudiziarie che comunque permettono al boss di correre ai ripari prima di finire nelle maglie della giustizia.
Una circostanza che ancora una volta trova riscontro negli arresti avvenuti nel mese di aprile, quando in manette finirono l’ex sindaco di Castelvetrano Antonio Vaccarino, il tenente colonnello dei carabinieri Alfio Marco Zappalà, in servizio presso la D.I.A. di Caltanissetta, e l’appuntato dei carabinieri in servizio a Castelvetrano Giuseppe Barcellona.
Secondo l’accusa, l’appuntato Barcellona ha inviato a Zappalà, alcuni “screenshot” di conversazioni captate in un’intercettazione ambientale tra due soggetti i quali parlavano tra loro del funerale di Lorenzo Cimarosa. Zappalà, a sua volta, avrebbe inviato via mail la trascrizione a Vaccarino, che secondo l’accusa, avrebbe informato Vincenzo Santangelo, titolare dell’agenzia funebre che si era occupato del funerale.
Una vicenda nata nell’ambito di indagini sul coinvolgimento di Matteo Messina Denaro nelle stragi e finalizzate alla cattura del boss. Apparentemente, da tutta questa storia il latitante non avrebbe potuto trarre vantaggio alcuno dalle notizie trapelate ma la macchina giudiziaria si è mossa contestando ai tre reati che vanno dall’accesso abusivo a sistema informatico (Barcellona) all’aver violato i doveri inerenti alla loro funzione per entrambi i carabinieri, al favoreggiamento personale, con l’aggravante di aver favorito l’organizzazione mafiosa per Vaccarino. Sarà poi il tempo a chiarire cosa sia realmente accaduto, quali gli eventuali reati e le responsabilità.
Ciò che invece stupisce, quanto apparso sulla stampa a seguito dell’udienza preliminare tenutasi a Palermo il 3 ottobre, quando sono stati resi noti atti che, questi sì, contenevano indicazioni utili ad avviare o approfondire indagini sulle abitudini del ricercato, su possibili suoi collegamenti, sulla sua presenza nel territorio e sui suoi spostamenti all’interno del paese di Castelvetrano. Atto certamente, si suppone, legittimo quello della divulgazione della nota consegnata da Barcellona al capitano dei Ros, ma come non chiedersi dell’opportunità di portare a conoscenza dell’opinione pubblica – e certamente di Matteo Messina Denaro – quelle informazioni ricche di così tanti dettagli?
Barcellona aveva mostrato al capitano dei Ros una nota nella quale aveva riportato informazioni acquisite prima del suo arresto, che non aveva fatto in tempo a consegnare ai suoi superiori. L’appuntato aveva messo nero su bianco le informazioni ottenute da una fonte confidenziale descritta come una persona onesta di Castelvetrano che conosce il latitante sin da giovane.
Nella nota veniva inoltre descritta la tecnica di smistamento di pizzini ad opera di un postino del boss, il luogo e le modalità dello smistamento, l’identikit del latitante, l’abbigliamento comunemente indossato da Messine Denaro, i negozi presso i quali si forniva (ovvio che non possiamo più scriverne al presente visto ciò che è successo), i cunicoli sotterranei di Castelvetrano che avrebbe utilizzato per i suoi spostamenti. Tutti particolari doviziosamente riportati dalla stampa con tanto di nomi dei negozi, le marche dell’abbigliamento utilizzato, le indicazioni sui cunicoli.
Una vicenda che ricorda quella di Antonio Vaccarino quando collaborando con il Sisde, avviò, con lo pseudonimo di Svetonio, uno scambio di pizzini con il latitante, al fine di arrivare alla cattura dello stesso. Anche in quella circostanza i dettagli e il fine della collaborazione vennero portati a conoscenza della stampa mandando in fumo ogni progetto di cattura del boss e la mappatura delle famiglie mafiose siciliane, mettendo a rischio lo stesso Vaccarino e quanti altri impegnati nell’operazione.
Legittima la divulgazione di quelle notizie? E se anche lo fosse stata, era opportuna? Ed è qui che ti chiedi se a prescindere da questi aspetti, Barcellona oggi, così come Vaccarino ieri (e forse anche oggi, viste alcune inquietanti vicende delle quali narriamo in questo articolo), non sia esposto a rischi che vanno ben oltre le vicende giudiziarie e che potrebbero vedere coinvolti suoi familiari. E la fonte? Anche la fonte anonima certamente non dorme sonni tranquilli. Come non avere il timore che il latitante cerchi di capire chi è? Quella ragnatela di fili che scottano, finisce con il far paura a chiunque per ragioni professionali, o per senso di giustizia, potrebbe fornire informazioni utili alla cattura di “u siccu”.
L’appuntato Barcellona, ancora scosso per quanto accadutogli ed evidentemente turbato anche per questi aspetti, ha preferito non rilasciare alcuna dichiarazione in merito.
Torniamo a Vaccarino e a una visita tanto inquietante quanto sgradita e inopportuna.
Il 3 ottobre, giorno dell’udienza preliminare, cosa andò a fare l’ex pentito Vincenzo Calcara (da sempre accusatore di Vaccarino che scontò anche lunghi anni di carcerazione a seguito delle propalazioni del pentito) nella strada dove l’ex sindaco di Castelvetrano ha la sua sala cinematografica? Avete letto bene. Calcara la sera del 3 ottobre, in compagnia della figlia, si è avvicinato a Vaccarino per parlargli. Dinanzi le rimostranze e l’invito ad allontanarsi da parte dell’avvocato Giovanna Angelo, difensore dell’ex sindaco che si trovava in strada con il suo assistito per parlare dell’udienza del mattino, Calcara ha insistito nei suoi comportamenti, costringendo l’avvocato Angelo a chiamare i carabinieri.
Giunti sul posto, i carabinieri identificavano il Calcara. A quel punto, veniva fuori il fatto che al mattino lo stesso si era presentato a Palermo in tribunale dove si sarebbe tenuta l’udienza preliminare del Vaccarino e degli altri indagati. Una vicenda prontamente smentita dalla figlia dell’ex pentito, la quale dichiarava che soltanto lei si era recata in tribunale a Palermo (a far cosa?) e non il padre. Eppure, diversi testimoni sarebbero pronti a dichiarare di aver visto entrambi sia in tribunale che poi all’uscita della Procura.
Perché la figlia ha ammesso la propria presenza a Palermo negando quella del padre? Inutile sottolineare come l’avvicinamento da parte di Calcara, visti i precedenti, abbia turbato non poco Vaccarino.
“Mi corre l’obbligo – dichiara Vaccarino in merito alla “visita” di Calcara – di sospettare che non sia frutto della sua ideazione. Mi stupisce come Calcara, che da una notifica ricevuta dal mio avvocato risulta sottoposto a detenzione domiciliare, per altra causa a Castelvetrano, si sia ritrovato nell’aula di giustizia in occasione dell’udienza dinanzi al Gup il 3 ottobre. Come mai era lì?” – si chiede Vaccarino che ha saputo della presenza dell’ex pentito in quanto lo stesso sarebbe stato fatto allontanare dal pubblico ministero d’udienza.
“Mi chiedo – prosegue l’ex sindaco di Castelvetrano – se il pm avesse saputo che Calcara risultava agli arresti domiciliari, non ci sarebbe stato l’obbligo di far procedere al suo arresto per evasione? Un arresto che non è avvenuto neppure la sera quando è venuto a trovarmi dopo trent’anni, dicendo di voler concordare qualcosa sul piano giudiziario e ottenendo in risposta che con lui non ho alcuna intenzione di parlare, se non attraverso l’Autorità Giudiziaria. Perché viene agli arresti domiciliari a non più da 150 metri da casa mia? È un assassino acclarato… un mentitore spudorato, così come sentenziato dai giudici della Corte d’Appello… ma è un malfattore della peggiore specie e mi stranizza e inquieta parecchio che me lo si sia portato nelle vicinanze di casa mia… e, indisturbato, nonostante risulti agli arresti domiciliari, sia potuto venire alla Procura di Palermo e a trovarmi per molestarmi dinanzi al cinema di mia proprietà…”
Una presenza angosciante quella di Calcara, che se confermato quanto risulta dalla notifica pervenuta all’avvocato Giovanna Angelo, dovrebbe trovarsi in stato di detenzione domiciliare e non libero di girovagare e avvicinare – non si sa per quale motivo e con quali intenzioni – persone dalle quali avrebbe tutti i motivi per star lontano.
Tante le domande ancora senza risposta, a partire dal ruolo dell’ex pentito che nel ’91 sembrava conoscere i mafiosi del suo paese – indicando tra questi persone poi risultate estranee alle consorterie mafiose – tranne quel Matteo Messina Denaro che programmava le stragi che poi avvennero, per proseguire poi con le tante vicende giudiziarie che hanno consegnato alla stampa notizie che forse, opportunamente, sarebbe stato meglio mantenere riservate.
Senza voler entrare nel merito dei pericoli ai quali si rischia di esporre quanti quelle notizie hanno prodotto agli inquirenti, evidentemente allo scopo di metter fine alla lunghissima latitanza di Matteo “u siccu”…
Gian J. Morici
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