Quando imperversava la tempesta di “Mani Pulite” tra gli altri osannati particolari della vita e della concezione della propria funzione dei protagonisti di quella, (ora dobbiamo dirlo), sciagurata operazione, del cosiddetto “pool” milanese, propalato dalla stampa “fiancheggiatrice” (quella i cui direttori si consultavano quotidianamente per discutere degli “sviluppi” che avrebbe dovuto avere) venne anche fuori, senza che nessuno ne rivelasse tutta l’enormità, tracotante ed invasiva, che nella stanza di uno di quei “super magistrati” era appeso al muro un manifesto del film americano “Gli Intoccabili”, nome che fu dato (o che su diedero) gli Agenti dell’F.B.I. che “incastrarono” Al Capone. Che cosa significasse quella scelta dell’iconografia pubblicitaria cinematografica si poteva dedurre dall’orgoglio con il quale quell’”Intoccabile” mostrava uno scaffale pieno di fascicoli, spiegando: “Questo è il pane della nostra vecchiaia…” “sono tutte querele per diffamazione nei confronti di giornali “impertinenti”.
Non si poteva ancora dire con certezza che il “Partito dei Magistrati” raccogliesse, di fatto, il consenso dell’intera categoria. Non per nulla in quel quadriennio (scaduto nel ’94) nel C.S.M. si era scatenata quella che io (che di quel Consiglio feci parte nell’ultimo anno) definii la “pulizia etnica”, con la quale (oltre 180 procedimenti) furono rimossi, per presunte “incompatibilità ambientali”, un numero di magistrati pari a venti volte quelle di tutte le rimozioni allo stesso titolo da quando la legge sulle “guarentigie della magistratura” era entrata in vigore nell’immediato dopoguerra.
Io stesso, che evidentemente allora contavo qualcosa, fui oggetto di diversi procedimenti per presunte diffamazioni, dai quali riuscii indenne, credo, più che per abilità mia nello scrivere e nel parlare e di quella dei miei difensori (il caro, indimenticabile Antonio Viviani!) per la sopravvenuta conflittualità di taluni dei querelati con il Partito e la Corporazione dei magistrati.
Anche allora, come oggi, di fronte, ad esempio, al caso Ostellino o a quello dell’A.N.M. che incita la giudicessa che ha condannato il gioielliere che si è difeso sparando a querelare il Vescovo che l’ha criticata, si poté rilevare che le stesse statistiche delle querele e richieste di risarcimento accolte e dell’entità delle pene e delle somme accreditate alle “vittime” di più o meno inesistenti diffamazioni di persone che avevano la qualifica di magistrati, era di gran lunga superiore a quelle relative ai comuni mortali.
Vi fu addirittura un convegno con ampie e qualificate partecipazioni che affrontò tale questione indetto dalla Federazione Nazionale della Stampa che analizzò e denunziò tale fenomeno.
Non so se per questa reazione ancora abbastanza risentita e ferma o se, invece, perché oramai i magistrati non sentivano più in pericolo la loro strapotenza e potevano infischiarsene dei sempre meno numerosi e più affievoliti e meno pubblicizzati casi di critiche al loro operato, quell’ondata di reazioni giudiziarie (di una giurisdizione che mai più appropriatamente è definibile come “domestica”) sono diminuite, e meno sproporzionate sono diventate per qualche tempo le entità dei risarcimenti liquidati.
C’è però, negli ultimi tempi una ripresa delle abitudini e degli affari degli “Intoccabili”, oramai, del resto, divenuti più intoccabili che in ogni altro luogo ed epoca.
Ciò è forse legato al fatto che tali e tante sono le enormità commesse “in nome del Popolo Italiano”, che anche l’assuefazione alle malefatte giudiziarie ed il timore reverenziale per i loro autori non è più sufficiente e tende a rompersi e lasciare trapelare qualche sprazzo di quella oramai aperta sfiducia nella giustizia e nei giudici, attestata anche dalle statistiche dei risultati di sondaggi di opinione.
Ma credo che un altro fattore sia ancor più rilevante: il Partito dei Magistrati comincia a sentir aria di sfiducia che gli sta crescendo attorno. La popolarità conquistata con lo squillar delle trombe della stampa leccapiedi del tempo di “Mani Pulite” e della Crociata Antiberlusconi si sta sgretolando. La gente ha capito che se la giustizia si modella sulla funzione di “lotta”, se la magistratura diventa partito, è inutile sperare che, poi, funzioni in modo accettabile nelle cose ordinarie, cioè nei limiti che le sono propri e nel campo e per le finalità che sono leciti.
Così si torna alla persecuzione diretta del dissenso, alla criminalizzazione della critica.
Invece di preoccuparsi se i pentiti non continuino a fare gli assassini ed a rendere dichiarazioni in funzione delle guerra interne di mafia (nella migliore delle ipotesi) il partito giustizialista, contorno di quello dei magistrati, si preoccupa che non siano “delegittimati” (come direbbe il P.D. Ciottiano, Mattiello). Così, invece di preoccuparsi se in mezzo a loro ci sono somari, fannulloni ed un pochetto affaristi, i magistrati tornano a fare quadrato per impedire che anche quelli di loro che farebbero bene a caccia via, non siano “delegittimati”.
Il ritorno alle querele è segno di debolezza.
Se non c’è consenso bisogna reprimere il dissenso e la critica.
Una sfida che converrebbe accettare. Nell’interesse del Paese.
Mauro Mellini