Milly Giaccone è un chiaro esempio di abbandono da parte dello Stato.
Milly Giaccone è la figlia del professore Paolo Giaccone, ucciso dalla mafia per essersi rifiutato, nella qualità di esperto di medicina legale, di ‘aggiustare’ le conclusioni di una perizia dattiloscopica in riferimento ad un’impronta digitale lasciata da un killer della cosca di Corso dei Mille nel corso di una sparatoria tra le vie di Bagheria che provocò quattro vittime.
Ventidue anni di servizio come medico a Villa Sofia, poi, tre anni fa, in pensione privilegiata. Un pensionamento durato soltanto due mesi, visto che per ragioni di carattere burocratico, pensione e stipendio le vennero tagliati.
Dopo aver vinto in giudizio il diritto alla quiescenza, il 28 maggio scorso, la sentenza della Corte dei Conti che impone a Milly Giaccone di tornare al lavoro. Al danno si aggiunge la beffa. Milly, dopo aver perso il diritto alla pensione, deve adesso fare i conti con l’azienda ospedaliera presso la quale ha lavorato, che non ha più il posto in organico.
Una donna segnata più volte nella vita. Prima con la morte violenta del padre e, più di recente, con la perdita della figlia a seguito di una malattia. Grazie a una politica antimafia parolaia e di facciata, Milly è costretta a prendere atto di come lo Stato, tramite gli uomini che lo rappresentano, si ricordi di noi familiari di vittime di mafia sol quando c’è da partecipare ad inutili passerelle o per appuntamenti elettorali, quando fa trend accompagnarsi a chi con la propria storia, o con quella dei propri cari, dà lustro al politico di turno.
Passata la stagione della ricerca dei consensi, nessuno sembra più interessarsi di un sistema burocratico che penalizza e umilia chi ha già pagato un prezzo troppo elevato, rendendolo vittima due volte. Una volta della mafia, la seconda delle Istituzioni.
Alla base di tutto, la discriminazione delle vittime che avviene già con il riconoscimento dello status, il quale prevede un diverso trattamento nei diversi (ma analoghi) casi: vittime del cosiddetto “terrorismo mafioso” e “vittime della mafia”.
Una distinzione di non poco conto visto che diversi sono i benefici, quali l’anticipazione delle spese legali e l’aumento figurativo di 10 anni di anzianità contributiva utile ai fini del diritto e della misura della pensione per chi ha subito una riduzione permanente della capacità lavorativa di qualunque entità e grado, nonché ad eventuali familiari aventi diritto. Benefici previsti per quanti vittime di atti di terrorismo e di stragi di tale matrice, ma dai quali sono esclusi le “vittime di mafia”.
Una discriminazione contro la quale noi familiari di vittime di mafia ci siamo sempre ed invano battuti. Traditi ed abbandonati dallo Stato, a partire dal Governo centrale, per finire con i nostri rappresentanti regionali, ai quali in più circostanza abbiamo chiesto di attivarsi affinchè si potesse arrivare all’equiparazione delle vittime di mafia a quelle del terrorismo mafioso.
Forse stare fattivamente dalla parte della legalità e dell’antimafia non giova né alla salute, né alla carriera politica. Lo stesso presidente della Sicilia, Rosario Crocetta, nonostante i precedenti incontri nel corso della campagna elettorale regionale, intrisi di belle parole e speranze, sembra aver ignorato i nostri appelli, lasciando cadere nel vuoto richieste di incontri e lettere aperte con le quali si denunciavano le abnormità di una legge che ha creato “Vittime di serie A” e “Vittime di serie B”.
Come tutti i nostri cari politici del passato, anche quelli attuali hanno fatto presto ad adeguarsi a quel modo di fare politica che ha relegato la Sicilia e i siciliani a fanalino di coda della nazione.
A Milly Giaccone va la solidarietà di noi familiari di vittime innocenti di mafia, che, nel ricordo dei nostri cari, continueremo a trasmettere ai giovani i principii di onestà e quella cultura alla legalità che ci vennero lasciati in eredità da chi con la vita pagò il proprio coraggio o la beffa del destino che lo fece trovare nel posto sbagliato al momento sbagliato.
Sull’operato della nostra classe politica, meglio stendere un velo. Se aggettivato o meno, lo lasciamo decidere a chi la rappresenta.
A proposito di abbandono, mio fratello Vincenzo Li Muli morto nella strage di via D’Amelio è stato riconosciuto dal Ministero degli Interni vittima di mafia. Il giudice Borsellino morto nella stessa strage, il Ministero di Grazia e Giustizia lo ha riconosciuto vittima del terrorismo….eppure il tritolo era lo stesso……