La sentenza emessa dalla IV sezione della Corte d’appello del tribunale di Milano che ha condannato a dieci anni l’ex direttore del Sismi Nicolò Pollari, a nove anni Marco Mancini, ex numero due del servizio segreto, e a sei gli agenti Giuseppe Ciorra, Raffaele Di Troia e Luciano Di Gregori per la vicenda relativa al sequestro dell’ex imam di Milano Abu Omar, rischia di diventare il primo di una lunga serie di casi che vedrà il coinvolgimento di più nazioni, dei loro servizi segreti, ma anche delle comuni forze di polizia.
Come avevamo già anticipato con la pubblicazione dalla relazione di Open Society Foundations, 54 governi stranieri hanno sostenuto le operazioni della CIA, ospitando prigionieri, rendendo possibili gli interrogatori di sospetti, consentendo spazio aereo per i voli segreti o fornendo informazioni.
Mentre Pollari si chiede se i governi Prodi, Berlusconi e Monti, che hanno apposto invano il Segreto di Stato, sono stati suoi complici e se lo sono stati perché nessuno li interpella, tra le forze dell’ordine inglesi serpeggia già la paura di essere chiamati a rispondere di complicità in eventuali delitti commessi dalla CIA.
Un timore che in particolare riguarda l’utilizzo di droni per sferrare attacchi su presunti terroristi, grazie alle informazioni passate alla CIA da parte di servizi segreti di paesi alleati.
Qualora la cosiddetta “extraordinary rendition”, autorizzata dall’amministrazione del presidente americano George W. Bush dopo gli attacchi dell’11 settembre 2001, venisse letta come un atto criminale, i servizi dei 54 paesi coinvolti potrebbero essere chiamati a rispondere di complicità in omicidi, sequestri di persona e torture.
Il semplice fatto di aver fornito informazioni utili all’uccisione o al sequestro di una o più persone sospettate o accusate di terrorismo, potrebbe portare in un’aula di tribunale gli appartenenti alle forze dell’ordine che con i servizi segreti o con le agenzie americane hanno collaborato?
Un caso che verrà presto discusso in Gran Bretagna è quello di Noor Khan, cittadino britannico, il cui padre è stato ucciso in Pakistan a seguito di un attacco drone della CIA nel 2011.
Noor Khan sostiene che la CIA scambiò un raduno tribale del Consiglio per un summit tra terroristi, uccidendo civili innocenti. L’uomo ha già presentato formale denuncia chiedendo che vengano perseguiti penalmente anche gli appartenenti ai servizi inglesi che in qualche modo si fossero resi responsabili fornendo indicazioni utili all’attacco.
Considerato il fatto che la CIA e lo stesso presidente Obama continuano a mantenere la lista degli uomini (terroristi) che devono essere eliminati a qualunque costo, gli operatori delle agenzie di intelligence cominciano a chiedersi se il condividere le informazioni con la CIA, così come da accordi internazionali e da ordini ricevuti dall’esecutivo, può portarli in giudizio a rispondere di eventuali fatti criminosi.
Un funzionario inglese facendo riferimento a quanto accaduto in Italia, e a ciò che si prospetta in Inghilterra, ha sostenuto che i suoi uomini sarebbero pronti a dar la vita per il paese, ma non a finire in carcere per aver eseguito un ordine. “Se la spada di Damocle pende sulle teste dei nostri agenti dei servizi segreti, gli stessi non potranno fare il loro lavoro – ha affermato l’uomo – Dovrebbero andar via…”.
E cosa accadrebbe se in un contesto di lotta al terrorismo appartenenti alle normali forze di polizia passassero informazioni ai colleghi americani sugli spostamenti di un presunto terrorista? Qualora le informazioni dovessero risultare utili a una missione coperta della CIA, gli agenti che le avrebbero fornite sarebbero chiamati a rispondere degli eventuali crimini commessi?
Mentre i giudici inglesi devono ancora decidere se avviare l’azione giudiziaria, i poliziotti s’interrogano chiedendosi come comportarsi. Non rispettare gli accordi internazionali rifiutando gli ordini dell’esecutivo e rinunciando alle collaborazioni con altre forze di polizia straniere, o rischiare il carcere?
Di Guantanamo si è parlato e scritto a lungo. Eppure, di molti prigionieri interrogati non si sa nulla. Dove sono? Sono ancora vivi? La CIA non risponde e nessun agente della CIA è mai stato accusato per gli interrogatori segreti o per le sorti dei prigionieri.
Mentre sotto Obama continua il segreto delle consegne e la lista dei “ricercati vivi o morti” rimane in vigore, i cosiddetti “complici” – gli agenti di polizia di ben 54 paesi – si chiedono se non sarebbe più giusto accusare i “mandanti” dei presunti crimini, a partire da Bush e Cheney, per finire con Obama e i presidenti dei 54 stati che in accordo con le convenzioni internazionali ordinano ai propri uomini di collaborare con le altre forze di polizia e con i servizi segreti di altri paesi.
Dopo l’Italia toccherà all’Inghilterra?
Intanto, tra gli 007 serpeggia la paura…
Gian J. Morici