Dopo la decisione della Corte d’appello di Milano di acquisire al processo documenti coperti dal Segreto di Stato da parte di tre diversi governi (Prodi, Berlusconi, Monti), gli imputati, cinque uomini o ex uomini del Sismi, rompono il silenzio e per potersi difendere dalle accuse iniziano a svelare quello che ormai anche per loro sembra non avere più carattere di segreto.
Per dovere di cronaca va anche detto che lo stesso governo Monti aveva già confermato la copertura del segreto di Stato sull’intera vicenda dando atto agli agenti del Sismi di aver operato per fini istituzionali nell’ambito della lotta al terrorismo islamico.
In pubblica udienza, vengono trattati temi riguardanti le intelligence (italiana e americana) e le normali forze di polizia del nostro paese coinvolte nel sequestro dell’imam estremista Abu Omar , della moschea di Milano, al di là di quella che potrebbe essere la verità taciuta.
Secondo la difesa degli imputati, in particolare di Niccolò Pollari – ex direttore del Sismi -, la Cia non aveva bisogno della collaborazione del Sismi per portare a termine il sequestro di Abu Omar, in quanto poteva già contare sull’aiuto di appartenenti alle forze di polizia italiane che già da tempo indagavano sull’imam in odore di terrorismo.
La vicenda, che risale al 2003, rientra nella cosiddetta “extraordinary rendition”, autorizzata dall’amministrazione del presidente americano George W. Bush dopo gli attacchi dell’11 settembre 2001.
Con l’ “extraordinary rendition” veniva autorizzato il trasferimento di persone senza che fossero state sottoposte ad alcun processo, per consentire degli Stati Uniti e alle agenzie di intelligence straniere di interrogare presunti estremisti al di fuori dalle protezioni assicurate sul suolo americano.
Un’operazione che a livello mondiale ha portato ad aspre critiche.
Mentre però a livello mondiale le accuse vengono principalmente rivolte a chi impartì gli ordini alla CIA di utilizzare sistemi illegali, che includevano duri interrogatori degli indagati, in Italia pare che, come quasi sempre accade, le responsabilità vengano fatte ricadere solo su chi gli ordini forse li ha soltanto eseguiti.
Il Segreto di Stato infatti sembra che finirà comunque con il tutelare le eventuali responsabilità dei vertici di quello Stato Italiano che troppo facilmente prende le distanze da chi si ritrova a dover rispondere di fatti per i quali si dà l’impressione di aver agito in piena autonomia. Una storia alla quale gli italiani sono da tempo abituati e che di recente si ripete nella cosiddetta “Trattativa Mafia-Stato” che ha visto la politica scaricare le eventuali responsabilità solo su appartenenti alle forze dell’ordine che avrebbero agito per proprio conto e senza alcun mandato da parte del governo.
Cosa avrebbe spinto gli appartenenti alle forze di polizia a macchiarsi di presunti crimini senza aver alcun interesse personale? E se anche si volesse ipotizzare che alcuni soggetti potessero deliberatamente scegliere di infrangere le leggi, commettendo reati per i quali rischiano pene superiori ai dieci anni, è credibile che in ben 54 paesi al mondo si sa verificata la stessa cosa?
Questo è infatti quanto risulta dalla relazione di Open Society Foundations che ha reso noto il più completo elenco di paesi che hanno aiutato gli Stati Uniti in quelli che furono visti come eccessi dell’amministrazione dell’allora presidente George W. Bush.
La Open Society Foundations avrebbe trovato le prove che 54 governi stranieri hanno sostenuto le operazioni della CIA, ospitando prigionieri, rendendo possibili gli interrogatori di sospetti, consentendo spazio aereo per i voli segreti o fornendo informazioni.
In molti casi si tratta di paesi che hanno combattuto militanti islamici sul loro territorio nazionale, come l’Afghanistan, l’Egitto, il Pakistan e l’Arabia Saudita, ma non mancano stretti alleati degli Stati Uniti come l’Australia, la Gran Bretagna, Canada, Danimarca, Finlandia, Germania, Irlanda, Italia, Polonia, Spagna, Svezia, Turchia e Thailandia.
Stando al report della Open Society Foundations, anche l’Iran – nonostante i cattivi rapporti con gli Stati Uniti – avrebbe indirettamente consegnato almeno 10 sospetti agli americani attraverso il governo di Kabul.
La fondazione, che accusa l’amministrazione Bush di aver autorizzato le violazioni dei diritti umani, ha reso pubblici i nomi di 136persone oggetto di detenzione straordinaria a fronte di operazioni segrete della CIA, che non rientrano tra quelli già conosciuti della controversa detenzione dei prigionieri a Guantanamo Bay, a Cuba
Nel rapporto vengono descritti i metodi di interrogatorio e le violenze subite dai detenuti che, come confermato dall’ex capo della CIA Michael Hayden, prevedevano anche il waterboarding, una simulazione di annegamento del prigioniero che i difensori dei diritti umani considerano tortura.
La commissione del Senato americano sui servizi segreti nel mese di dicembre ha approvato 6000 pagine del rapporto sulle tattiche della CIA, classificandone i contenuti e coprendoli con il segreto.
Legislatori e professionisti dell’intelligence hanno difeso con vigore le “tecniche di interrogatorio ” se rese necessarie dal dover combattere contro un nemico spietato.
Senza entrare nel merito dell’attività giudiziaria che vede alla sbarra gli ex 007 italiani, coinvolti nel “rapimento” organizzato dalla CIA, va ricordato come a Milano – città nella quale operava l’imam Abu Omar – venne inviato Abd el Kader Mahmoud Mohamed el Sayed con il compito di rivedere la cellula terroristica milanese.
In quella circostanza, il terrorista condannato per il suo ruolo nel massacro di Luxor nel 1997, venne monitorato da agenti dei servizi segreti locali.
Il suo nome, prima che secondo fonti dell’intelligence venisse ucciso nel maggio o giugno dello scorso anno, appariva sulla lista nera terrorismo degli Stati Uniti e delle Nazioni Unite dopo la condanna in contumacia per la strage di Luxor, quando 62 persone – per lo più turisti – vennero uccisi da uomini armati.
Mentre in Italia si processano i presunti responsabili del sequestro di Abu Omar, negli Stati Uniti, dove difficilmente si potrà assistere a processi contro chi ha commesso crimini in ottemperanza di ordini impartiti dal governo, si ricorre al collaudato metodo del disconoscimento o della mancata difesa di chi resta coinvolto all’estero nelle presunte operazioni sotto copertura.
È questo il caso di Sabrina De Sousa, implicata nel rapimento del religioso radicale musulmano Abu Omar, accusata dai pubblici ministeri italiani che hanno condannato 23agenti americani coinvolti nell’operazione illegale della CIA.
Sabrina De Sousa è stata condannata in contumacia a cinque anni di carcere dal tribunale italiano con l’accusa, nella qualità di agente della CIA, di aver aiutato a coordinare il rapimento del religioso.
La donna, che precisa di essere stata soltanto un “ufficiale del Dipartimento di Stato” presso il consolato degli Stati Uniti di Milano e di essere stata all’oscuro del rapimento di Omar, afferma che il giorno del sequestro lei si trovava sulle Alpi in gita con i figli.
La De Sousa, sul cui capo pende un mandato d’arresto europeo, ha lanciato una campagna pubblica chiedendo aiuto per uscire da questa sua insolita condizione di latitante internazionale .
L’ex presunto 007 non manca di polemizzare con il governo degli Stati Uniti che abbandona i dipendenti e il personale militare all’estero. “Quando le cose vanno male – dichiara la donna -, gli Stati Uniti gettano sotto il bus i propri uomini”.
“Sono un diplomatico accreditato – continua la De Sousa – ed è per questo che le persone devono sapere cosa sta succedendo: Washington sta andando a buttare sul campo di battaglia i propri uomini, senza più alcuna protezione”.
Una storia già conosciuta fin dai tempi in cui le agenzie paragovernative che operavano all’estero nell’interesse del governo americano e che non godevano di alcuna copertura per gli eventuali agenti esteri che fossero rimasti coinvolti nel corso delle loro missioni, anche in paesi laddove era prevista la pena capitale, e che dopo aver esperito – tramite le presunte agenzie private – tentativi di recupero trattando in termini di riscatto, venivano disconosciuti e abbandonati al loro destino.
Paradossalmente, mentre anche negli Stati Uniti tutti sono concordi nell’affermare che i responsabili di torture e altri crimini commessi contro il diritti dell’uomo devono risponderne, nessuno fino ad oggi è mai stato perseguito.
I governi europei e i procuratori non hanno avuto nessun successo nel perseguire i funzionari degli Stati Uniti responsabili per eventuali violazioni delle leggi internazionali e convenzioni di cui gli Stati Uniti sono firmatari.
“Per esempio – afferma la stessa De Sousa – gli spagnoli hanno aperto un’inchiesta contro sei alti funzionari dell’amministrazione Bush. Tale indagine è stata fatta insabbiare dall’amministrazione Obama. I giudici dovrebbero ormai rendersi conto che le accuse dei funzionari di livello più basso sono irrilevanti per l’agenda politica di Washington.
Se gli europei sono seri nel voler ottenere giustizia per le vittime della “extraordinary rendition”, hanno bisogno di intervenire su Washington, dato che la tendenza attuale sembra essere quella di non indagare o di perdonare le passate violazioni delle amministrazioni. I giudici europei dovrebbero ritenere i funzionari responsabili e non solo chi esegue gli ordini. Se non lo fanno, ogni amministrazione successiva continuerà quella che è ormai una tendenza…”.
Meglio essere abbandonati dal proprio governo come negli Stati Uniti, o finire sotto processo come in Italia?
Senza entrare nel merito dell’operato della magistratura, se nessun presidente, italiano o americano che sia, verrà chiamato a rispondere per crimini contro l’umanità, che senso ha perseguire chi gli ordini li ha solo rispettati?
Comunque vada, la vita di chi opera in determinati settori non sarà mai facile…
Gian J. Morici
Leggi il rapporto della Open Society Foundations:
Caro Dott. Morici,
la invito a leggere quanto riportato nella sentenza della Cass. pen., sez. V, del 19 settembre 2012:
Accanto alle difficili questioni dei limiti della giurisdizione italiana e dell’immunità penale di agenti stranieri operanti in territorio italiano, pervenendo in sostanza alle medesime conclusioni già raggiunte dai giudici di merito -, uno dei nodi più delicati affrontati dalla sentenza concerne la rilevanza del segreto di Stato opposto da tutti gli imputati italiani, e in particolare dagli ex funzionari del SISMI, che erano stati prosciolti dai giudici di merito proprio in relazione all’impossibilità di accertare i fatti posti a fondamento delle accuse nei loro confronti, in quanto coperti dal segreto di Stato confermato dal Presidente del Consiglio dei Ministri.
La S.C., ricapitolati i principi enunciati dalla Corte costituzionale da ultimo nella sentenza n. 106/2009, che ha deciso i numerosi conflitti di attribuzione proposti proprio in relazione a questo processo dal governo, dalla Procura e dal GIP di Milano, ha riaffermato che il segreto di Stato inibisce all’autorità giudiziaria l’acquisizione e l’utilizzazione di notizie coperte da tale segreto, ma non preclude alla stessa l’accertamento per altra via di fatti costituenti reato (pag. 115). Nel caso di specie, d’altra parte, la stessa Corte costituzionale ha chiarito che il segreto di Stato non aveva mai avuto ad oggetto il sequestro di persona, pienamente accertabile dall’autorità giudiziaria nei modi ordinari, bensì esclusivamente i rapporti tra servizi segreti italiani e quelli stranieri, nonché gli assetti operativi e organizzativi del SISMI (i cd. interna corporis), con particolare riferimento agli ordini che sarebbero stati impartiti dal suo direttore.
Ad avviso della Cassazione, allora, i giudici di merito avrebbero dovuto depurare il materiale probatorio di tutti gli elementi di prova effettivamente non utilizzabili perché coperti da segreto, e compiere quindi una attenta valutazione delle fonti di prova residue, al fine di stabilire se esse fossero sufficienti per affermare la responsabilità degli imputati per il reato loro ascritto; ciò che essi in realtà non fecero, secondo la Cassazione, come se per effetto del segreto di Stato fosse calato sulle condotte degli imputati una sorta di “sipario nero” che avrebbe creato una “zona di indecidibilità” (pag. 118) su un fatto di reato che, pure, mai potrebbe essere considerato scriminato in relazione ad un preteso adempimento del dovere funzionale (pag. 120). Dal che la decisione di annullamento con rinvio del capo della sentenza relativo ai cinque agenti del SISMI.
Ribadito quindi che i giudici del rinvio non potranno utilizzare evidenze relative ai pretesi rapporti tra SISMI e CIA, la Corte osserva – quanto ai c.d. interna corporis del SISMI – che nel caso di specie il problema della tutela del segreto neppure ha ragione di porsi, dal momento che il governo italiano ha espressamente dichiarato, per bocca dello stesso Presidente del Consiglio all’epoca in carica (2005), l’estraneità del SISMI in quanto tale al sequestro di Abu Omar: dal che si deve necessariamente dedurre – non essendo lecito dubitare della veridicità di tali affermazioni – che l’eventuale partecipazione di agenti dello stesso SISMI a una operazione organizzata e gestita dalla CIA avvenne esclusivamente a titolo individuale, e che su tali condotte non sia stato apposto – né potesse essere apposto – alcun segreto di Stato.
3. Quanto poi al rapporto tra segreto di Stato – e correlativo divieto (penalmente sanzionato) a carico dell’indagato/imputato di riferire notizie coperte da tale segreto – e diritto di difesa dello stesso indagato/imputato, il quale in ipotesi potrebbe vedere menomata la propria possibilità di difendersi dalle accuse stante l’impossibilità di allegare fatti rilevanti ad escludere o diminuire la propria responsabilità in quanto coperti da segreto, la Cassazione prende atto che, secondo l’interpretazione della Corte costituzionale formulata nella sentenza n. 106/2009, l’art. 41 co. 1 l. 124/2007 vieta a tutti i pubblici ufficiali e funzionari – compresi gli indagati e gli imputati – di “riferire” su fatti coperti dal segreto di Stato; ma esclude che ciò possa comportare di per sé una violazione del diritto di difesa ex art. 24 Cost., il quale può soffrire limitazioni nel quadro di un ragionevole bilanciamento rispetto ad altri prevalenti valori di rango costituzionale quali, appunto, l’integrità della Repubblica e delle sue istituzioni, l’indipendenza dello Stato e la sua difesa militare, alla cui tutela è funzionale il segreto di Stato.
E’ una costante che paghino sempre i ppesci piccoli e mai i vertici politici sia per questo tipo di reati che per altri.
Letto quanto emesso in sentenza dalla S. C. c’è da chiedersi come i soggetti imputati potrebbero espletare il loro diritto alla difesa visto che il riferire notizie coperte da Segreto di Stato è penalmente sanzionato e d è fatto divieto a tutti i pubblici ufficiali e funzionari – compresi gli indagati e gli imputati – di “riferire” su fatti coperti dal segreto di Stato.
Seppur è vero che nel caso di specie il segreto di Stato non aveva mai avuto ad oggetto il sequestro di persona, è palese che il non poter riferire dei rapporti tra servizi segreti italiani e quelli stranieri (nonché gli assetti operativi e organizzativi del SISMI, con particolare riferimento agli ordini che sarebbero stati impartiti dal suo direttore), così come riportato in sentenza, porrà gli imputati nelle condizioni di non poter esercitare appieno il diritto alla difesa, lasciando ricadere sugli stessi la responsabilità delle condotte mantenute in quella che è ormai acclarato fu una operazione organizzata e gestita dalla CIA.
Il governo, non potendo dichiarare l’eventuale responsabilità dello Stato italiano nel sequestro di un religioso straniero, ha espressamente dichiarato l’estraneità del SISMI alla vicenda, lasciando così che a risponderne a titolo personale siano soltanto gli agenti che eventualmente presero parte a vario titolo all’azione.
Sarebbe però quanto mai opportuno che venissero spiegate le ragioni per le quali eventualmente gli agenti avrebbero agito esclusivamente a titolo individuale, posto che nessuno ha sollevato questioni di interessi personali da parte dei soggetti coinvolti.