di Cinzia Craus
Farid Adly, giornalista libico: “La rivoluzione nata pacifica e diventata armata è stata condotta dall’opposizione e la scintilla è stata data dai familiari delle vittime dei 1200 detenuti assassinati in un solo giorno, il 26 Giugno 1996 nel carcere di Abu Selim (Tripoli). Questo regime da molto tempo non aveva legittimità né interna né internazionale. La rivoluzione del 17 febbraio lo ha travolto e lui ha represso nel sangue le sollevazioni e le zone che controlla sono sotto assedio delle sue truppe di sicurezze e mercenarie. Di fronte ai carri armati e alle rampe mobili dei lanciamissili della contraerea credo non si può fare le pulci alla richiesta del Consiglio Nazionale Transitorio Libico che ha chiesto l’intervento ONU per una No Fly Zone. Questo organismo dell’opposizione rappresenta la maggioranza della popolazione. Se non ci fosse stato l’intervento di sabato, ci sarebbero state migliaia di vittime sotto il tallone della vendetta gheddafiana. Io rispetto l’opinione di chi partendo da considerazioni diverse, conclude posizioni contrarie all’intervento. Ciò che chiedo è che si rispetti la scelta della mia gente che ha sofferto per 42 anni dalla dittatura. Grazie!”
Ho l’abitudine di non impegnarmi in discussioni il cui argomento ha radici in campi nei quali la mia conoscenza è limitata da lacune difficilmente sanabili. Non sono ferrata in storia e tanto meno in economia politica e il buon senso, le ideologie, la “passionalità” sono il facile terreno sul quale spesso si sviluppano processi ed opinioni ben lontane dalla razionalità e il realismo con il quale, per come sono abituata a ragionare, determinate situazioni andrebbero esaminate e affrontate. Sono consapevole che quando manca il supporto della conoscenza a farla da padrone nelle nostre idee sono i sentimenti; la rabbia, la paura, la vergogna, lo sdegno. E so quindi che il mio commento di oggi nasce da ben poco più di questo. Dalla vergogna profonda che ho provato per il “nostro” pezzo di mondo guardando Hotel Rwanda. Per esempio. Dalla rabbia che ho provato quando accanto agli studenti italiani in piazza per difendere le briciole di democrazia che sono rimaste in questo paese sono scese solo delle icone di pensiero piuttosto che tutti insieme quelli che ogni giorno inveiscono a parole contro un sistema che ci sta portando al collasso. Per esempio. So di filosofia però. E so che il concetto del principio di autodeterminazione dei popoli ha una valenza interna ed una esterna. Che nel suo aspetto “esterno”, riguarda il diritto di un popolo di scegliere lo status politico che autonomamente intende adottare, ossia il diritto all’indipendenza politica. In quello “interno” concerne invece il diritto di ogni popolo di scegliere liberamente la forma di governo sotto la quale desidera vivere e il diritto di questo stesso popolo di perseguire il proprio sviluppo economico, sociale e culturale.
“Il principio di autodeterminazione dei popoli, che affonda le sue radici nella Dichiarazione di Indipendenza Americana del 1776, venne proclamato per la prima volta da Lenin nel 1916, e successivamente dal presidente americano Wilson nel 1918. Inserito nella Carta delle Nazioni Unite dopo la Seconda Guerra Mondiale, incontrò vari ostacoli di natura ideologica e politica, prima che gli Stati Uniti e i paesi socialisti riuscissero a trasformarlo in un principio universale di effettiva applicazione, soprattutto in favore dei paesi ancora sotto dominio coloniale. Il principio divenne così applicabile ai popoli soggetti ad una potenza coloniale, al dominio straniero o a un regime razzista, ma non, per contro, ad una popolazione residente all’interno di uno Stato sovrano dotato di un governo oppressivo o autoritario: è il caso della complicata questione internazionale del diritto di autodeterminazione del popolo curdo…”
Questa lettura del principio é stata storicamente la spinta per i popoli colonizzati ad esprimere il proprio diritto ad affermarsi come stati indipendenti. Contrariamente alle proposizioni assunte in merito dall’Onu la decolonizzazione partì in realtà piuttosto autonomamente e più tardi verificandosi di fatto un passaggio dei territori dalle mani delle potenze colonizzatrici alle mani di elìte politiche dei paesi colonizzati. Anche queste sono cose che so. Perchè laddove è necessario lottare è inequivocabilmente necessario avere i mezzi per farlo. E dove occorrono mezzi occorrono capitali, e potere. E l’ideologia deve mettersi sotto braccio all’interesse, nell’illusione di poterlo poi disilludere.
So anche che avrei combattuto ideologicamente al fianco di Garibaldi nella guerra di secessione americana; mille volte sarei morta con il Che in Bolivia… eppure entrambi, che mi piaccia o no ammetterlo, hanno dovuto stringere patti e alleanze nei loro percorsi per affrontare le loro battaglie. Ogni paese, l’Italia per prima, per nascere e determinarsi, ha avuto bisogno di “svendere” parte della sua libertà. Che l’oppressore sia uno straniero o un dittatore io non riesco a vederci una grande differenza.
So che mi fa male ammettere tutto questo perchè sono un’atavica ribelle allergica ad ogni compromesso, specie quando son convinta della bontà e della giustezza delle mie convinzioni. Ma so che l’incapacità di accettarli raramente porta a raggiungere i propri obiettivi.
Contro l’esercito e le armi, che noi stessi gli abbiamo fornito, di Gheddafi il popolo libico non può che soccombere. Mi ripugna la guerra e mi ripugnano le motivazioni e gli interessi, indichiarati ma ovviamente palesi, per i quali solo oggi (e oggi lo fa) l’Occidente si muove contro l’oppressore. Ma non sono capace di vedere altre soluzioni. Per aiutare un popolo a non essere annientato adesso. Ciò che spero è che quel popolo abbia domani la forza di essere libero, di affrancarsi dalla “riconoscenza politica”, di autodeterminarsi nelle proprie scelte di governo… nessuna democrazia può essere “esportata” da un paese all’altro: il “governo del popolo” richiede che un popolo sia maturo per governarsi… è per questo che in Italia non c’è più una democrazia…
Cinzia Craus