Questo articolo, a firma di Gian Joseph Morici, è stato pubblicato in Francia nel mese di marzo, con il titolo “Djihad – De l’autoformation à Sharia4”. Con qualche piccolo aggiornamento, lo riproponiamo ai nostri lettori:
Se c’è un errore che commettiamo spesso, è quello di pensare allo Stato Islamico come un’organizzazione terroristica nata nel 2013, quando dopo aver conquistato parte del territorio siriano, quello che era nato come un ramo di al-Qaeda prese il nome Stato Islamico dell’Iraq e della Siria.
In realtà, per capire l’organizzazione che oggi l’occidente si trova a combattere, dobbiamo tornare indietro nel tempo, a quel lontano 1979, quando gli USA si trovarono a combattere in quella che fu una guerra anomala, le forze armate dell’ex Unione Sovietica che avevano invaso l’ Afghanistan.
In quella circostanza, gli Stati Uniti finanziarono la guerra asimmetrica dei mujaheddin perché potessero cacciare i russi dal paese, finendo con il rafforzare la fazione più estremista dalla quale nacque al-Qaeda.
È infatti da quegli anni che assistiamo al proliferare di un certo tipo di terrorismo, fino ad arrivare alla disgregazione dell’ex Jugoslavia, con gli sviluppi con i quali ci stiamo confrontando ai giorni nostri.
Un quadro ben delineato dalla recensione di Roberto Franco al nuovo romanzo di Antonio Evangelista, “Califfato d’Europa”. Gli Stati Uniti, infatti, a quello che poteva essere considerato un iniziale errore di percorso, aggiunsero quello ancor più grave di pensare al terrorismo islamico quale strumento utile per arginare le mire espansionistiche sovietiche. Ritenendo evidentemente accettabili, quelli che apparivano a quel momento gli effetti collaterali di una guerra, inizialmente combattuta per bloccare e respingere l’espansione sovietica sotto il profilo militare, successivamente l’espansione economica, in particolare nel settore dell’energia.
Teatro di questa nuova guerra furono i Balcani, dove l’accordo di pace di Dayton, nel 1995, nel porre fine ai combattimenti, creò due identità nazionali divise dalla religione e dove a guerra finita molti jihadisti, grazie a finanziamenti ottenuti dal governo saudita, costruirono centri di formazione religiosa, le “madrasse”, per promuovere l’Islam più violento, dando luogo anche alla nascita di mini Stati-Sharia come Gornja Maoca e Novi Pazar.
Un’interessante analisi e l’evoluzione del fenomeno terroristico di quegli anni, per comprendere quello che sta accadendo oggi in Europa, la si può trovare nei due libri “La Torre dei crani” e “Madrasse. Piccoli martiri crescono tra Balcani ed Europa”, definiti “profetici” da “L’Espresso”, a firma di Antonio Evangelista, ex comandante del contingente italiano presso la missione ONU in Kosovo (UNMIK), che si trovò alla guida della polizia criminale nei Balcani nelle indagini sui crimini di guerra.
Dopo gli attentati terroristici del 11 settembre 2001, gli Stati Uniti cambiarono politica, seppur con molte zone d’ombra, dichiarando guerra ai gruppi terroristici riconducibili al fondamentalismo islamico più oltranzista.
Purtroppo, l’ideologia jihadista ha sì trovato l’humus nell’interesse di grandi potenze, ma non possiamo prescindere da quella che è la componente più pericolosa nella quale affonda le proprie radici: la dottrina islamica tradizionale e l’interpretazione degli hadith da parte di falsi imam.
È infatti grazie ai processi di radicalizzazione che lo Stato Islamico ha portato migliaia di jihadisti occidentali a raggiungere le terre del cosiddetto “Califfato”, per combattere.
Come avviene la radicalizzazione
Diversamente da al Qaeda, lo Stato Islamico ha saputo sfruttare al massimo le moderne tecnologie e le nuove tecniche di comunicazione, ottenendo ampi consensi anche in Occidente, trasformando l’organizzazione terroristica in una struttura capace di programmare un’attività politica che attrae sempre più giovani, affidandosi ad un network comunicativo pari a quello di grandi aziende o partiti politici che mirano al governo di nazioni.
Uno degli strumenti principali della radicalizzazione e del successivo reclutamento, è internet. Un mondo che prolifera di contenuti illegali e pericolosi messaggi
Se in passato erano abili reclutatori ad attrarre i giovani utilizzando le loro capacità oratorie e sfruttando il Corano a loro piacimento per radicalizzare soggetti fragili e facilmente influenzabili, oggi la radicalizzazione raggiunge livelli impensabili in passato grazie al fatto che ogni singolo ragazzo, tramite internet, pur non avendo conoscenza diretta con i predicatori di odio, finisce con l’estremizzarsi da solo ascoltando e guardando le immagini di focosi predicatori e combattenti che inneggiano falsamente ad Allah, propagandando il loro messaggio di odio.
Grazie alla quantità di siti che disseminano la propaganda jihadista, permettendo ai simpatizzanti di comunicare tra loro in diverse lingue e non più solo in arabo, si passa alla fase vera e propria del reclutamento ad opera di facilitatori che grazie al loro passato di ex combattenti, hanno contatti con gruppi jihadisti e possono garantire in merito al background dei nuovi adepti.
Alla base del processo di radicalizzazione, il bisogno dei giovani di capire chi sono, la ricerca di una vendetta contro una società che non garantisce loro un futuro o che li ha emarginati, le comuni difficoltà che ogni giovane affronta e che vede nella società odierna la causa del proprio malessere. A differenza degli altri, il radicalizzato non è un ribelle che si oppone al proprio governo aderendo a gruppi politici d’opposizione o a movimenti separatisti.
Solo negli ultimi tempi l’attenzione dei media e degli investigatori si è concentrata su come si passa dal fenomeno di radicalizzazione e indottrinamento al collegamento tra cellule presenti sul nostro continente con i gruppi combattenti in Siria e in Iraq.
Oltre ai collegamenti personali con i facilitatori descritti precedentemente, uno dei network più utilizzati e meglio organizzati, è Sharia4, un insieme di cellule presenti in più nazioni.
Ogni singolo collettivo di Sharia4, al nome iniziale dell’organizzazione centrale, aggiunge quello della filiale della nazione nella quale opera. Sono nate così Sharia4UK, Sharia4Holland,Sharia4Belgium, Sharia4France, Sharia4Italy, quest’ultima subito sradicata con l’arresto del suo fondatore.
Gli appartenenti ai gruppi di Sharia4, si professano contrari al terrorismo, indossano ampie vesti, pantaloni a sbuffo e coltivano lunghe barbe, richiamando alla memoria quelli che furono i primi seguaci di Maometto. Approfondendo la loro contrarietà al terrorismo, si scopre che il “terrorismo” al quale fanno riferimento è quello messo in pratica dagli Stati Uniti e dai paesi che fanno parte delle coalizioni internazionali che contrastano il fondamentalismo islamico in Medio Oriente.
Si tratta di un’organizzazione di matrice wahhabita che si pone come obiettivo quello della creazione di Stati Sharia in Occidente, utilizzando il linguaggio violento del più becero terrorismo, supportando e presentando come eroi i mujaheddin, utilizzando nei loro messaggi, ora apocalittici, ora minacciosi, frasi ricche di termini in lingua araba e immagini che ritraggono i vertici dell’organizzazione accanto a bandiere di cellule terroristiche o monumenti europei sui quali svetta la shahada (vessillo di chi professa la fede musulmana),
Il punto di forza del gruppo, sta nell’ampliare le negatività dei paesi occidentali, sfruttando i casi di corruzione e tutti gli scandali, per indicare uno stato irreversibile di decadenza che può essere sconfitta soltanto facendo ricorso alla legge islamica.
La pericolosità di questo gruppo, non sta soltanto nella capacità di fare proselitismo, quanto nella capacità di raccogliere denaro per finanziare i combattenti e di mettere in collegamento i fondamentalisti islamici europei con i jihadisti mediorientali.
Gli attentati di Parigi
Quando arrivai a Parigi, quasi tre anni fa, mi meravigliai nel seguire una conferenza stampa del presidente Hollande, nel corso della quale annunciava l’espulsione di un algerino ritenuto vicino a gruppi terroristici.
Mi accorsi così di come fosse stata sottovalutata la presenza di Sharia4France, nonostante sulla pagina Facebook contasse più di 450 iscritti. L’organizzazione francese, aveva accentrato la propria attenzione principalmente sulle leggi dello Stato che impediscono le preghiere di strada e l’uso di abiti che coprono il viso, sfruttando le problematiche sociali per fare proselitismo. Per capire la pericolosità di molti appartenenti a Sharia4, basta pensare che sette anni fa, una persona su sette, arrestata in Inghilterra per terrorismo, era collegata al network.
I jihadisti francesi, così come quelli di altre nazioni europee, sono direttamente collegati alle cellule presenti negli altri stati. Prova ne siano i legami con il gruppo londinese di Anjem Choudary, e quelli con gli estremisti che dal Belgio hanno progettato e portato a temine gli attentati che hanno insanguinato Parigi.
Prendiamo il caso di Siddhartha Dhar, il londinese conosciuto come Abu Rumaysah. Siddhartha Dhar era stato un’importante pedina di al-Muhajiroun, il gruppo islamico che reclutava terroristi disposti a combattere in Siria e Iraq. Arrestato dagli agenti di Scotland Yard il 25 settembre 2014 insieme ad altri sospetti terroristi tra i quali il predicatore Anjem Choudary e Mizanur Rahman, fuggì da Londra e con la giovane moglie e i suoi quattro figli si diresse a Parigi, dove, secondo un testimone, venne visto alcuni giorni dopo la fuga.
Evidentemente, l’uomo nella capitale francese godeva della protezione di persone che lo hanno aiutato nella sua fuga, per raggiungere la Siria, da dove tornò a farsi vivo per prendere per i fondelli l’intelligence britannica che se lo era fatto sfuggire.
Di recente, dopo aver pubblicato articoli suoi su riviste jihadiste, Siddhartha Dhar è comparso in un video nella qualità di boia dello Stato Islamico ed è stato indicato come il nuovo Jihadi John.
Armi nucleari
Secondo le intelligence occidentali, i terroristi stavano preparando nuovi attentati, utilizzando esplosivi non convenzionali. La cosiddetta “bomba sporca”.
Quando parliamo di armi nucleari, la gente immagina le atomiche americane che colpirono il Giappone al termine della seconda guerra mondiale. In realtà, la “bomba sporca” è un ordigno realizzato con esplosivi convenzionali e materiale radioattivo, in grado di uccidere o far danni in una vasta aerea.
Già nel 2014, un cittadino inglese passato alle fila del ISIS, tale Hamayun Tariq, conosciuto con il nome di battaglia di Muslim-Al-Britani, morto poi a seguito dei bombardamenti da perte della coalizione internazionale, postava istruzioni per realizzare ordigni esplosivi, facendo anche riferimento ad “un dispositivo radioattivo entrato da qualche parte in Europa”.
Lupi solitari o organizzazione ben strutturata e ramificata in Occidente?
Il network jhadista è complesso. Esistono i “lupi solitari”, soggetti che agiscono su input ricevuti indirettamente, così come esiste un’organizzazione terroristica strutturata, che non lascia nulla al caso.
I più recenti fatti di Parigi e Bruxelles hanno messo in evidenza come ci si trovasse dinanzi cellule ben organizzate che hanno saputo unire a quello che sono le comuni tecniche terroristiche, strategie di tipo militare. Se a questo aggiungiamo il fatto che molti uomini si sono addestrati in Siria e Iraq per poi far ritorno in Europa e che dalle indagini emergono continui elementi di prova sui collegamenti internazionali che esistono tra i componenti delle cellule terroristiche, parlare di soli “lupi solitari”, che pure esistono, suona come un insulto alla nostra intelligenza.
Come avvengono i contatti e come nasce la rete
Se c’è un mondo senza frontiere, quello è internet. Terroristi, ribelli e anche appartenenti al crimine organizzato, hanno imparato a farne buon uso. Senza entrare nel DeepWeb, ovvero nel mondo sommerso, limitiamoci a quello che sono i social network, prendendo come esempio una singola persona, per rendere l’idea di quella che è una realtà che sfugge alla maggior parte di noi.
Il nostro uomo vive a Marsiglia, ha un profilo Facebook e si fa chiamare Claudus Delasvegus. Nel gennaio di quest’anno ha postato immagini e materiale preso da altri e da riviste jihadiste, che è stato commentato dai suoi amici che mettevano i “like” e si esaltavano per i commenti di altri personaggi che fanno il jihad in Siria e Iraq.
Questo profilo, che aveva collegamenti indiretti con alcune comunità islamiche italiane e direttamente con soggetti bosniaci e albanesi, oggi risulta bloccato, così come quelli di molti dei suoi amici.
Chi erano alcuni dei suoi amici francesi che avevano messo il like ad almeno due sue immagini e dei quali alla data del 18 Febbraio il profilo era ancora attivo?
A Parigi e dintorni c’erano: Tekbir, di Medina; Rah, originario di Al-Rakka, Ar Raqqah, Syria; Jamie; Tariq e Ninis, quest’ultimo di Aulnay-sous-Bois.
A Tolosa, Sylvie e Abou.
A Marsiglia, la sua città, Claudus poteva contare su Reda di Tlemcen; Hdj e Brahim, ma rete dei contatti si estendeva anche a Lione, con Rachid; a Bagnolet, con Rahma di Oudja, Morocco; a Lilla, dove poteva contare su Hind, e a Dauphine, con Kenza.
Non mancavano i collegamenti a Tulosa, Marsiglia, Nantes e in altre città francesi, per arrivare alla cittadina belga di Molenbeek-Saint-Jean, il cui nome è salito spesso alla ribalta delle cronache sul terrorismo, specie dopo gli attentati di Parigi. Lì vive Ilias, di Kenitra, i cui like sui post jihadisti di Claudus si sprecavano…
Questa è solo la punta dell’iceberg…
Nel corso degli attentati del mese di novembre a Parigi e nelle ore successive, arrivavano molte notizie da parte di persone che si trovavano nei pressi.
Come in altre circostanze, le nostre fonti d’informazione, più che dalle testimonianze, provenivano dal network jihadista. Fu da lì che apprendemmo di un’esplosione che pubblicammo come notizia in attesa di conferma. Poi la smentita, nessun attentato era avvenuto in quel arrondissement. Le recenti dichiarazioni di Salah Abdeslam, il terrorista arrestato a Bruxelles, hanno poi confermato come in realtà l’attentato fosse previsto esattamente nel luogo che avevamo indicato, ma che non avvenne, in quanto lo stesso Salah rinunciò a farsi esplodere.
Questo prova come ci fosse un collegamento tra la cellula franco-belga e l’organizzazione madre di al-Baghadi. Come facevano infatti i terroristi che combattevano in Siria a esultare per il “martirio” di uno di loro nell’arrondissement che avevamo indicato come luogo dell’attentato?
È evidente, come i jihadisti dell’ISIS, fossero a conoscenza del progetto e quando seppero dell’inizio degli attentati, inserirono anche quello che poi non arrivò a compimento, dando per scontato che sarebbe stato realizzato.
Italia
Il nostro paese può contare sulla validità delle sue strutture per contrastare il fenomeno. Le nostre forze dell’ordine, la nostra intelligence, sono in grado di svolgere bene i propri compiti, purtroppo quello che è venuta a mancare è stata la risposta politica.
Il ritardo nel promulgare leggi adeguate, il volersi nascondere dietro un dito negando i rischi ai quali va incontro il nostro paese, hanno fatto sì che oggi ci troviamo ad affrontare una situazione difficile, tanto sul piano della sicurezza interna, quanto sotto il profilo internazionale.
Le operazioni militari all’estero
L’Italia sta andando incontro ad un’avventura alla quale non siamo preparati. L’invio di truppe in Iraq, allo scopo di proteggere interessi commerciali, mi ricorda il tradimento in danno dei nostri Marò abbandonati in India.
L’avventura in Libia, rischia di trasformarsi in un Vietnam italiano.
Senza una preventiva attività d’intelligence, le operazioni belliche in territorio ostile, specie nel caso di una guerra asimmetrica, rischiano di trasformarsi in una carneficina. Già in passato troppe famiglie hanno pianto la perdita dei propri cari.
A causa della carenza di leggi adeguate in materia di terrorismo, l’Italia, fino a qualche mese fa, non era neppure nelle condizioni di effettuare un’azione di monitoraggio preventivo, di utilizzare agenti infiltrati o quanto altro avrebbe permesso di circoscrivere la minaccia e di eliminarla. Se a questo aggiungiamo l’insufficiente cooperazione a livello globale, ci rendiamo conto di come rischiamo di andare allo sbaraglio.