Tieni bene quella tazza, no? Ti si versa tutto, ma non puoi stare attenta?
No, non ci riesco, è troppo caldo il brodo. Ma che fai?
E’ incredibile, non riesci nemmeno a tenere in maniera decente una tazza
Perché? era la mia cena, ho freddo
Potrebbe essere tutto diverso adesso, mentre sono qui alla stazione Westkreutz, e aspetto un treno, un convoglio che mi porti a questo appuntamento, dove esporrò le mie idee, altro che l’imbecille che rimane senza cena perché trema con una tazza di brodo fra le mani. Si morde il labbro. E’ scesa da quell’autobus con i mancorrenti gialli e le pareti grigie. Un fotografo seduto davanti a lei l’ha riempita di scatti, e sorrideva. Ma lei non ci riusciva, e allora è diventato serio, e le ha dato un biglietto e detto –Grazie- Bella la sua frangetta e i suoi occhi, e le labbra, ma non si sentiva contrariata, non erano complimenti ambigui, lei era un bello scatto.
Ma io ho fame
Hai fame? Che ne vuoi sapere della fame tu, mezza idiota come sei, nemmeno un bicchiere sai tenere senza tremare, fai due passi e inciampi, o urti qualcosa. Hai fame? Bene, pensaci la prossima volta, pensaci.
Bisognava pensarci, e a lungo. La metro correva all’interno di una città senza sole, con una luce fuligginosa. Per quanto fosse, Berlino le sembrava sempre una città bombardata, le rotaie correvano ai margini delle macerie, le pareva una lunga, frastagliata, rossa, ferita.
E’ che la tua vita è segnata.
Silenzio.
Si mi hai capito? La tua vita è segnata, come se tu avessi un labbro leporino anche se hai le labbra distese, ma non ridere, meglio che tu non rida, sembri un’ebete.
Silenzio.
Alza la testa, guardami.
(Tu hai le labbra sottili, la pelle butterata, gli occhi trasparenti, sei pieno di spigoli, e fai male, fai male.) Silenzio. (Prima o poi andrò via) Silenzio.
Esco, riordina qui, senza fare danni, se sei capace.
Questa città sembra che non abbia colori, che sia in bianco e nero, così l’ho fotografata, in bianco e nero, è un peccato per il colore dei suoi occhi. Ritroviamoci alla Ringbahn, anche se lei sicuramente non ha tempo da perdere.
Esatto.
Questa linea orbita intorno al centro di Berlino, è così antica. La sua bellezza, no, la sua bellezza è aspra, moderna, svelta. E’ simile a quei muri di mattoni rossi, il suo sguardo è un graffito distonico, disturbante, doloroso. Mi perdoni.
Va bene. Ora mi lasci andare. Ora lasciami andare, che te ne fai di una che è morta?(Ti voglio vedere sottoterra, ma anche se tu fossi sottoterra torneresti a guardarmi. Per cui resti qui, qui, che tanto non sai fare niente, niente, e tieni giù quelle mani, giù lungo i fianchi, dove ti aggrappi, dove ti aggrappi!)
Si tenga al bracciolo, c’è la curva. Caspita che equilibrio.
Al Wedding, dove scendo, è la Stettiner Bahn, il vecchio tracciato, conosce?
(Sei andata ancora verso la ferrovia? E quello è il tuo destino, sotto un treno, o a cercare lungo i binari qualcuno, nelle stazioni, con quella tua faccia, con quelle tue mani inutili. Devi stare qui, raccogli i cocci è meglio per te. Qui, vedi) i piedi strascinati sull’impiantito di legno fin verso la finestra, con la faccia pigiata sul vetro appannato, sul vetro freddo, le rotaie ingombre di neve, la prima neve, la gelida poesia di quella città celeste e abbattuta, la testa schiacciata contro il vetro dalla sua mano: La vedi da qui la vita, è meglio per te.
Ho fame.
Zitta, è meglio per te.
Ho fame. Ha fame? Possiamo scendere insieme, le offro la colazione, almeno per ripagarla di aver posato per me. Si, insomma, di averle rubato l’immagine. Ha del tempo per la colazione. Silenzio. Hai del tempo per la scuola, se hai del tempo per fare la scema della scuola, avrai pure del tempo per lavare la mia biancheria. Ti mando perché non voglio ficcanaso tra i piedi, che si chiedono perché stai qui in casa, cosa devo dire, che sei una ritardata?
Sulla stazione grava il temporale, la città è minacciosa, appena fuori c’è una fila di grattacieli dalle vetrate colorate, dall’umore del cielo, dalla luce della città.
Prego, una tazza di caffè. Un dolce? (Vacci piano, vacci piano, è solo un invito al cinema, e speriamo di non incontrare tuo padre. Vacci piano, fermati, non mangiare così in fretta che poi ti senti male. Ma da quant’è che non mangi?)Da poco, da poco ho finito di sognare coppe traboccanti di panna, e dolci meridionali, di marzapane.
Un dolce? Ne hanno di squisiti qui. No, grazie. (Dammi un pezzo del tuo panino. E tu che mi dai.) Forse è vero, forse sono imbecille. Rientrano in classe, non resisterò in questo gelo, con questa maglietta leggera, le calze di cotone, le scarpe di tela. Ho fame. Oggi consegnerò i vostri lavori. Vi avverto, qualcuno ha superato tutti voi, e anche se stesso.
Ha una riunione, ha poco tempo. Faremo in fretta, ho il mio studio qua vicino. Ma non mi fraintenda. Progettista. Lei è progettista e pianificatrice. Non si direbbe, cerchi di capirmi, lei ha un viso, come dire, lei ha una vita che sembra risorgere ad ogni sguardo, uno sforzo infinito per tenersi in contatto, una fame, direi una fame insensata.
Oggi Agathe ha consegnato un lavoro perfetto. Agathe ha superato tutti voi. E non c’è solo il lavoro, e l’impegno. C’è qualcosa di più. Non sto a fare prediche a voi studenti, sono inutili.
(Vorrei parlare con tuo padre, devi proseguire gli studi). Si sente il treno da qui, è talmente vicino alla stazione. Il parco ha dei disegni sotto delle brutte statue, li ho fotografati tante volte, contro questo cielo impossibile, drammatico.
(Ti avevo detto mi sembra, che non volevo ficcanaso tra i piedi, gente che mi dica cosa devo farne di te.) Il rumore continuo rumore di piatti rovesciati, di mobili mutilati. Voglio vedere la neve cadere di notte, quando tu dormi e taci, e le tue zanne sono riposte in quella bocca grigia e arsa, voglio la bellezza che ogni tua parola mi nega.
Vede, obiettivamente questo parco è squallido, ma socchiuda gli occhi, e cancelli per un attimo quelle sbarre, gli sovrapponga la forma tormentata dei fusti degli alberi, quelle foglie cadenti, e quei cumuli accanto alla panchina mangiata dal tempo e dalle mani degli amanti, si troverà all’interno di un quadro che è all’interno della sua mente, che è l’espressione della bellezza che muore dal desiderio di vedere. Questa è una foto.
E’ falso.
E’ vero.
E’ falso, ti vogliono illudere, fai pena e vogliono prenderti in giro.
(E’ vero, sono brava, sono la migliore, e andrò via da qui.)
Per lei non c’è bisogno di cercare una illusione, per lei è utile cercare di catturare una porzione per volta, una luce per volta, lei è troppo per il mio obiettivo. La dovrò scolorire, è abbagliante, c’è della rapina in ogni suo movimento, un gran dolore.
E’ tardi. (Ho un appuntamento e sono la migliore. E tu non risorgerai per schiacciarmi contro il muro e spezzarmi la schiena. Niente riduce la fame a cui mi hai obbligata.) Un pugno ha infranto il vetro della finestra, sulla neve c’erano le tracce del sangue, e le mie impronte, le scarpe di tela, che fuggivano.
Non la importunerò. Spero di incontrarla, per caso, di nuovo. Ha il mio biglietto.
No, andiamo. Fa freddo. Ho tempo.