
L’Italia è uno strano Paese nel quale parlare o scrivere di Giustizia, alla luce del passato diventa sempre più difficile.
Forse sarà questo il motivo per il quale sono nati nuovi tribunali, dai social al giornalismo orientato, per arrivare a quello più istituzionale rappresentato dalla Commissione antimafia.
Se da un canto si parla spesso di magistratura politicizzata, dall’altro è come se la Commissione fosse realmente rappresentata da soggetti avulsi dalla politica.
Eppure non ci vuole molto per comprendere come sia proprio l’orientamento politico a far sì che anche le audizioni seguano una linea tendente a sminuire – se non a ignorare – testimonianze che si potrebbero rivelare scomode, evitando domande ‘pericolose’ e trascurando precedenti dichiarazioni in sede giudiziaria rese dall’audito in commissione.
È questo il caso, per fare un esempio, del Tenente Colonnello Canale, il quale in Commissione dichiara che il giudice Paolo Borsellino era interessato all’indagine mafia-appalti – e che fu quel suo interesse causa della sua uccisione – dimenticando di avere detto, prima alla procura di Caltanissetta, in un verbale del 13 novembre 2012, e poi all’udienza del 6 maggio 2013 nel Borsellino quater, che Borsellino non aveva mai manifestato alcun interesse per l’indagine mafia appalti.
E così mentre le procure lavorano alacremente alla ricerca di possibili coinvolgimenti esterni a Cosa Nostra nelle stragi del ’92 e del ’93, c’è chi immediatamente si prodiga affinchè il tutto sia riconducibile alla sola mafia.
E se non può farlo dalle pagine di un giornale, ecco che i social diventano lo strumento con cui manipolare l’opinione pubblica postando fake news o più semplicemente stravolgendo fatti reali.
Il problema è che spesso tale opera di persuasione viene portata avanti da professionisti dell’informazione che nell’immaginario comune dell’italiano medio – dedito alla fruizione passiva di programmi tv o alla lettura di articoli trash – vengono ritenute figure rispettabili alle quali dare fiducia a priori in maniera acritica.
Un automatismo che è alla base della disinformazione anche da parte delle troll farms utilizzate per interferire nelle elezioni politiche in nazioni diverse da quelle da dove viene dato l’input.
Il meccanismo è sempre lo stesso, like e condivisioni fanno salire la presenza dei post sui social, in particolare Facebook, facendo sì che vengano letti da un numero sempre maggiore di utenti, a volte superiore a quello che verrebbe letto se la pseudo notizia fosse stata pubblicata su giornali poco diffusi, che ormai legge soltanto chi ne ha interesse.
Se fino a qualche anno fa erano le cosiddette teorie del complotto quelle più gettonate, adesso assistiamo a un sistema inverso che è l’anti complottismo per eccellenza a essere il più seguito, anche quando di complotto non si può parlare.
A fare gioco facile le dichiarazioni di qualche pentito che dopo oltre 25 anni si ricorda di aver preso parte alla strage di Via D’Amelio.
Ma perché Maurizio Avola, il pentito in questione, è così importante per gli anti complottisti?
La risposta è semplice, Avola riconduce tutto alla mafia escludendo qualsiasi forma di coinvolgimento tra mafia e apparati dello Stato (servizi segreti).
Sarà vero?
Assolutamente no, è vero solo per i fautori dell’anticomplottismo, visto che proprio Avola è il collaboratore di giustizia che ha dichiarato di aver commesso omicidi per conto dei servizi segreti nel 1993, oltre quello di Enrico De Pedis, uno dei boss più celebri della Banda della Magliana.
Una confessione questa che ancor più delle altre propalazioni mette in discussione l’attendibilità dell’ormai ex pentito, tanto da indurre la Procura di Caltanissetta a dover ritenere che se venisse dimostrata la falsità delle dichiarazioni ci si troverebbe di fronte a “una personalità incline alla calunnia”, mentre viceversa, se risultasse a verità quanto affermato, sarebbe la prova di contatti tra l’allora killer e appartenenti ai servizi segreti dopo le stragi che insanguinarono la Sicilia nel ‘92.
Aspetti che giornalisti come Damiano Aliprandi si guardano bene dal riportare nei propri articoli su “Il Dubbio” e nei post su Facebook.
Servizi segreti sì o no, l’importante che non ne compaia l’ombra nelle stragi di Capaci e via D’Amelio.
Tutto, purchè non rientri nella narrazione trentennale che ha visto protagonisti, in negativo, l’ex presidente del Consiglio Silvio Berlusconi e Marcello Dell’Utri.
E mentre la Procura di Firenze indaga sulla strage di via dei Georgofili nel ’93, mentre le indagini sui mandanti esterni coinvolgono Dell’Utri e altri – Berlusconi no perché nel frattempo è morto – viene fuori il dossieraggio e il materiale che Carmine Gallo aveva raccolto su Silvio Berlusconi.
Nessuno sembra chiedersi, oltre le copie di dossier e altri documenti sottratti, che fine ne sia stato degli originali che a suo tempo avrebbero potuto portare a inchieste serie in danno dell’ex premier.
I servizi segreti – dei quali Gallo sostiene di avere fatto parte – non hanno svolto alcuna attività informativa in merito?
Aliprandi non lesina critiche al giornalista Fabrizio Gatti, colpevole per aver scritto un articolo “sulla questione di Maurizio Avola, nel quale egli fa percepire al lettore che non solo si sarebbe verificato un depistaggio (ma questa bufala indimostrata viene propagata da cani e porci), bensì che, in qualche modo, una società israeliana ne sarebbe stata addirittura compartecipe. […] Una cosa è certa, sia da Fabrizio Gatti che da altre autorevoli firme, non ricordo nessuna inchiesta volta a smascherare, quella sì, la bufala di un Massimo Ciancimino, oppure altri improbabili pentiti tuttora presi in considerazione. Mai! Anzi, l’esatto contrario”.
Anche noi siamo in attesa che sul giornale per il quale scrive Aliprandi compaia qualche articolo che riguardi la vicenda dei dossier su Berlusconi, certi che – nonostante l’allora direttore Sansonetti si fosse rivolto alla “benevolenza” del Cav. Silvio Berlusconi” – da bravo giornalista, quale è non si sottrarrà al dovere di informare i suoi lettori.
Stendiamo un velo pietoso sui cani e porci sulla presunta bufala del depistaggio e atteniamoci ai fatti.
Cosa ha scritto Gatti tanto da fare infuriare Aliprandi?
Gatti ha scritto di un misterioso “Luttwak” che avrebbe fatto da mediatore con un’agenzia israeliana che ha messo a disposizione il test della macchina della verità sulla voce di Avola, per avvalorare la veridicità delle sue dichiarazioni.
Una vicenda che merita di essere chiarita, visto che oltre al misterioso “Luttwak” coinvolgerebbe un vicequestore di polizia, Angelo Casto, in contatto con un magistrato di Roma e una funzionaria di polizia distaccata alla Presidenza del consiglio.
L’articolo, che riporta l’annotazione degli investigatori della Dia, apre a seri dubbi che vanno approfonditi e verificati, a differenza delle certezze che ha il giornalista di una testata che si chiama “Il Dubbio” ma che talvolta pare abbia dubbi in un’unica direzione.
Sarà come scrive Aliprandi , sta però di fatto che la notizia di una società israeliana legata ai servizi di sicurezza di Israele che avrebbe messo a disposizione la macchina della verità l’ha confermata lo stesso Avola il 26 giugno 2024 innanzi al Gip di Caltanissetta, e lo ha ribadito Michele Santoro escusso in Commissione antimafia, rispondendo alla domanda posta da Costanzo Della Porta: “La mia è una domanda velocissima. Nella lettera al Presidente della Repubblica lei ha informato che vi siete rivolti a una grande agenzia internazionale specializzata per sottoporre – con il suo consenso, ovviamente – Maurizio Avola, che poi è l’oggetto della sua relazione di oggi, per ben due volte alla macchina della verità. Può dirci qual è stato l’esito? ”
Santoro: “C’è un’agenzia molto importante israeliana (secondo Avola il Mossad – ndr), perché loro sono i super specialisti riguardo a questo, che usa l’analisi meccanografica. Praticamente, uno dà loro la voce, loro la periziano e ti forniscono una loro analisi. Negli Stati Uniti questa non viene considerata una prova, ma viene considerato un indizio per poter portare avanti un’indagine. Questa ricerca – che poi è stata fatta sulla base di contatti con poliziotti che ci hanno indicato l’esistenza di questa agenzia israeliana – ha dato come esito che assolutamente Avola non mentiva, però non diceva tutta la verità. La sintesi estrema è questa. C’erano molte cose che lui nascondeva. Il suo era un racconto che loro non si sentivano di considerare falso. Questo è stato l’esito. Tuttavia, bisogna prenderlo con beneficio d’inventario. Ci potevano essere vari motivi per cui ho fatto questa cosa qui. Non è escluso anche il farne un uso magari più spettacolare, se vuole, che rientra comunque nel mio mestiere” – ascolta Santoro in Commissione antimafia dal 1:07:20.
Un attento giornalista dedito alle inchieste, più che fare il contropelo al collega che di importanti inchieste giornalistiche ne ha fatte tante, si sarebbe quantomeno accertato di ciò che Avola aveva riferito dinanzi al Gip e di quanto Santoro ha dichiarato in Commissione antimafia, ponendosi domande in merito al fatto che appartenenti alle nostre forze di polizia avrebbero fatto da apripista a contatti con servizi segreti stranieri che, bontà loro, si sarebbero prodigati nel venire in aiuto a un killer il quale in passato – secondo quanto dallo stesso dichiarato – avrebbe commesso omicidi per conto dei servizi segreti.
Epurate dalle parti che riguardano possibili coinvolgimenti di appartenenti ai servizi segreti, sembra che tutto il resto delle dichiarazioni di Avola, in particolare dove li nega, sia oro colato per gli anticomplottisti.
Com’era prevedibile, la claque delle casalinghe di Voghera plaude al prode giornalista, dando luogo a una shitstorm che finisce con l’adombrare a figura di magistrati quotidianamente impegnati nella ricerca della verità sulle stragi nelle quali morirono Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.
Non ci rimane che sperare che il novello Cesare Beccaria abbia quantomeno la bontà di verificare quanto i suoi idoli hanno dichiarato precedentemente nelle aule istituzionali preposte, prima di lasciarsi andare a voli pindarici lontani dall’informazione che si deve ai propri lettori.
Gian J. Morici