Come non essere d’accordo con quanto lamentato dal generale Mario Mori nella sua nota stampa?
Mori, dopo essere stato ascoltato dai pm fiorentini che indagano sulle stragi del ’93 ha visto pubblicati stralci dell’interrogatorio e della sua audizione dello scorso anno coperti da segreto investigativo.
“Il tutto -afferma Mori, il quale è indagato per concorso in strage – in aperta violazione di legge e delle disposizioni impartite dal procuratore”.
A giudicare però dalla foga di alcuni giornalisti e di tanti utenti dei social nel condannare un fatto grave, sembra quasi di trovarsi innanzi al primo caso di fughe di notizie da ambienti giudiziari o investigativi.
Si tratta, purtroppo, di fatti che accadono molto più spesso di quanto non si possa immaginare, ai quali il più delle volte non viene neppure dato risalto da parte della stampa.
Cosa cambia tra una vicenda e un’altra?
Saremmo tentati di dire che può cambiare la gravità dei fatti oggetto d’indagine, ma mentiremmo a noi stessi e a chi ne è stato vittima, talvolta non soltanto mediaticamente ma anche pagando con la propria vita fuga di notizie.
Come nel caso dell’omicidio di Luigi Ilardo, il quale con le sue rivelazioni portò i carabinieri del Ros a un passo dalla cattura di Bernardo Provenzano.
Ad attribuire a una fuga di notizie interna l’uccisione di Ilardo, è stato Pasquale Pacifico, procuratore aggiunto di Caltanissetta, che ha affermato:
“Ho sempre avuto la percezione che, in merito a questa vicenda, non tutto sia venuto fuori […] il collaboratore di giustizia Giuffré ci ha raccontato che c’era stata una fuga di notizie proveniente da ambienti giudiziari di Caltanissetta”.
Una fuga di notizie coperte dal massimo riserbo, rispetto la quale non si è mai individuato il colpevole.
In quel caso intervenne il Csm?
Tanta pressione mediatica fu fatta anche allora sul Consiglio Superiore della Magistratura?
Ma la storia di fughe di notizie è più vecchia del cucco.
Anche la Corte di Caltanissetta ne ebbe a dire richiamando la deposizione del giudice Borsellino dinanzi al Csm nel 1991, facendo riferimento ai verbali di Rosario Spatola, pubblicati sul settimanale Epoca, dei quali lo stesso Borsellino non era neppure a conoscenza pur avendo competenza per territorio su alcune dichiarazioni del collaborante.
Una fuga di notizie che avrebbe permesso a falsi collaboratori di giustizia di approfittarne per ottenere credibilità usata poi anche nel depistare le indagini sulle stragi – tra la quale quella di via D’Amelio -, senza che i tanto valorosi giornalisti pronti oggi a difendere il sacrosanto diritto di Mori – ma prima ancora del rispetto del segreto investigativo e della ricerca della verità – per decenni battessero ciglio.
Ancora una volta, dunque, con il caso Mori sembra di assistere più a interessi di schieramenti contrapposti che non al rispetto delle norme, dei diritti dell’indagato e dell’interesse della giustizia.
La critica – specie sui social – e l’invito al Csm a volere intervenire, riguarda soltanto la vicenda che vede coinvolto il generale Mori, o ce ne ricorderemo anche quando non si tratterà di difendere i nostri piccoli “affarucci di bottega”?
Gian J. Morici
P.S. Generale Mori, cosa significa “Avevo altro da fare in quel periodo” in merito alla mancata comunicazione dell’allerta da Lei ricevuta sui possibili attentati?