Dopo la sospensione del Reddito di cittadinanza per 159mila percettori che non avevano più titolo per riceverlo, sono oltre 30mila coloro i quali considerati occupabili (senza componenti familiari disabili, minori o over 60 e non presi in carico dai servizi sociali) lo perderanno dopo il 31 agosto, in attesa che il 1° settembre parta la nuova misura Supporto Formazione e Lavoro.
Nel frattempo, diversi Comuni hanno avviato progetti utili alla collettività (P.U.C.) che dovrebbero rappresentare per i percettori di reddito di cittadinanza un’occasione crescita personale e professionale.
Ne abbiamo parlato con S., consulente del lavoro, il quale ci ha chiesto per ragioni personali e professionali di non rendere note le proprie generalità.
- Buongiorno. Parliamo di Reddito di cittadinanza e…
- Mi perdoni se la interrompo. Diciamo subito che si tratta di una legge concepita male, applicata malissimo e che a seguito delle novità introdotte nella legge di Bilancio 2023, non poteva che peggiorare la situazione di molte famiglie italiane.
- D’accordo, ma la vicenda del Rdc ha suscitato non poche polemiche e accuse ai percettori di non voler lavorare, tant’è che quest’estate in molte località turistiche c’è stata una forte penuria di lavoratori stagionali con notevoli conseguenze economiche per le piccole aziende del settore.
- A tal proposito, ci sono aspetti che oltre al mondo del lavoro riguardano la politica, rispetto la quale non intendo entrare nel merito.
- Non posso che rispettare la sua decisione, ma mi vorrà anche dare atto che la legislazione sul reddito di cittadinanza prevedeva l’obbligo per i percettori di partecipare ai progetti utili alla collettività…
- Certamente… i P.U.C. dovevano rappresentare una misura di concreta utilità per la collettività, e al contempo un’occasione di crescita personale e professionale dei percettori di Rdc, in modo che gli stessi potessero poi meglio inserirsi nel mondo del lavoro. Così, però, non è stato…
- Perché dice questo?
- Cominciamo col dire che lo stesso quadro normativo inizialmente delineato non pareva consentire che i P.U.C. rappresentassero di fatto occasioni di concreta utilità per la collettività, né tantomeno un’occasione di crescita personale e professionale per i percettori di reddito di cittadinanza, che di fatto in più circostanze sono stati utilizzati in difformità da quelle che erano le prescrizioni di legge, trasformando i beneficiari – escluse le persone esonerate dagli obblighi connessi al Rdc – in “lavoratori” obbligati a prestare la propria opera per un numero di ore settimanali, da un minimo di 8 a un massimo di 16, in questo secondo caso con il consenso di entrambe le parti, pena la decadenza del beneficio.
- Qual è la situazione attuale?
- Se è possibile, peggiore di quella delineata dall’iniziale quadro normativo. Se infatti – così com’era fin da principio – le attività previste nell’ambito dei P.U.C. non sono assimilabili ad attività di lavoro subordinato e non determinano la instaurazione di un rapporto di lavoro per i percettori di Rdc inseriti in progetti a titolarità dei Comuni, si assiste oggi alle decisioni assunte da diverse Amministrazioni – in particolare del Sud – di adoperare i beneficiari di Rdc anche in attività che era già stabilito non avrebbero potuto svolgere. È il caso di sostituzioni di personale dipendente assente per malattia, ferie o congedo parentale, o per far fronte a esigenze di organico, questo anche nel caso in cui il Comune si avvalga della collaborazione di enti del terzo settore o di altri enti pubblici. Pare, inoltre, che alcuni Comuni non tengano conto del fatto che non possono essere oggetto dei suddetti progetti le attività già oggetto di appalto, finendo così per “beneficiare” quanti vincitori di gara si vedono assicurate le condizioni economiche stabilite in appalto, potendo però usufruire di questo bacino di manodopera messa a disposizione dal Comune, senza che si verifichi quella ulteriore “concreta utilità per la collettività” per la quale era stato progettato il P.U.C. Diversi Comuni hanno così obbligato i percettori di Rdc a svolgere attività per 16 ore settimanali… quelle che corrisponderebbero a un contratto part-time meglio remunerato e con garanzie che non vengono date a questi “lavoratori”… Provi a verificare lei stesso a quanto ammonta lo stipendio minimo per un part-time di 16 ore e se ne renderà conto… Senza considerare tredicesima, TFR, indennità di disoccupazione e quanto altro spetta normalmente a qualsiasi lavoratore… Tutti aspetti da approfondire e che se ad opera di un privato finirebbero certamente con l’essere trattati dinanzi a un Giudice del lavoro. Un bel risparmio per un’eventuale ditta appaltatrice che occupa un beneficiario di Rdc, poiché persino gli oneri per l’assicurazione infortuni, malattie e responsabilità civile verso terzi , sono a carico del fondo povertà e del PON inclusione. Ma al peggio non c’è mai fine…
- Cosa intende dire?
- Proprio in questi giorni leggo sulla stampa di Comuni che hanno avviato P.U.C. mettendo a progetto i percettori di Rdc. Considerato che per molti di loro è scaduta la settima mensilità e quindi il beneficio, – così come da Finanziaria – mi chiedo se non si stiano adoperando soggetti che non sarebbero più tenuti a prestare la loro opera in favore della collettività, a prescindere da eventuali qualifiche professionali possedute dal beneficiario. Nell’ipotesi in cui, ma è soltanto una mia ipotesi, siano stati chiamati, o verranno chiamati, a prendere parte a un P.U.C. soggetti non più beneficiari di Rdc, chi pagherà le loro prestazioni lavorative?
- Una bella domanda…
- Una domanda alla quale potrebbe esserci il concreto rischio che la risposta debba darla un eventuale giudice adito. Come ben comprenderà, vista la mia attività in favore di aziende e privati nella gestione del personale, ho preferito mantenere l’anonimato, ma le assicuro che non vorrei mai ritrovarmi ad assistere chicchessia che abbia usufruito di beneficiari di Rdc in difformità degli aspetti normativi vigenti. Rdc e P.U.C.? L’ennesimo pasticcio all’italiana…