A lanciare l’allarme è la Uilpa che esprime preoccupazione per l’incremento dei casi di Covid 19 all’interno dell’Istituto Penitenziario di Siano, dopo che sono risultati positivi sia operatori della casa circondariale (9/10) che diversi detenuti (35/40).
“Nelle ultime ore – si legge nel comunicato del sindacato – sta incrementando il numero dei casi di positività accertati sia fra gli operatori sia fra i detenuti della Casa Circondariale di Catanzaro, tanto da far pensare a un vero e proprio cluster nell’Istituto. Si è appreso che sin da subito sono state poste in essere tutte le possibili misure, previste dai vari protocolli, tese ad arginare quella che sembra oramai un’ondata crescente”.
Una situazione che rischia di precipitare – com’era prevedibile e come da tempo avevamo scritto – a causa dell’indolenza di una classe politica troppo proclive a valutazioni di tipo mediatico che hanno portato le strutture penitenziarie sull’orlo del baratro, indipendentemente dal fatto che i soggetti a rischio siano pericolosi criminali, presunti innocenti in attesa di giudizio definitivo, poveri disgraziati incarcerati per reati lievi o agenti penitenziari.
Dopo l’abolizione della pena capitale nel 1948, a sostituire nelle carceri il boia sembrano essere le malattie in attesa che qualcuno si decida a emettere un parere che ne disponga il trattamento sanitario, o l’applicazione di pene alternative, e il Covid 19 che non fa alcuna distinzione tra detenuti e agenti.
Un alleggerimento della popolazione carceraria avrebbe potuto evitare l’esplodere di focolai in ambienti sovraffollati dove il contagio era fin troppo prevedibile.
Eppure sono state sufficienti le operazioni di sciacallaggio mediatico-politico per impedire una scelta di civiltà operata finanche in paesi (Iran, Turchia ecc) laddove i diritti umani vengono ignorati nella quasi totalità.
Un condannato, o anche chi in attesa di processo, in Italia, però, è un condannato, non un uomo qualsiasi, e poco o nulla importa che il diritto alla salute lo Stato debba garantirlo a tutti.
Persino per detenuti per reati comuni, i quali neppure prima dell’abolizione della pena capitale venivano mandati al patibolo, la dura lex sed lex della civilissima Italia, prevede che Boia Covid possa adempiere alla sua funzione rieducativa (tale è definita dalla nostra Costituzione la funzione del carcere).
È questo il caso di Seye Bathie, un senegalese condannato definitivamente per contraffazione a cinque mesi di reclusione, oltre la pena pecuniaria di soli 150 euro, la cui incredibile vicenda è narrata dal giornalista Damiano Aliprandi in un articolo pubblicato su Il Dubbio.
Seye è anche lui recluso nel carcere di Siano, a Catanzaro.
Dopo varie peripezie per ottenere la detenzione domiciliare, Seye, che ha ottenuto anche la disponibilità a essere ospitato da una sua parente che risiede a Napoli, continua a marcire in una cella di un penitenziario dove c’è in atto un pericoloso focolaio di Covid.
Perché?
L’ufficio di sorveglianza – scrive Aliprandi – ha comunicato che il fascicolo risulta essere tuttora in istruttoria in quanto la Questura di Catanzaro non ha trasmesso ancora alcuna informazione in merito alla pericolosità sociale di Seye.
«È inconcepibile – spiega a Il Dubbio l’avvocata Chiara Penna – che un essere umano che deve giustamente scontare una pena detentiva di soli cinque mesi, debba attendere altrettanti mesi in carcere per una decisione da parte dell’organo deputato ad applicare la legge». E aggiunge: «Tra l’altro in un momento in cui vi è la forte esigenza di evitare il sovraffollamento carcerario ed in una ipotesi in cui al soggetto interessato possono essere applicate misure alternative alla detenzione medesima».
Dura lex sed lex, lo Stato italiano sembra voler affidare a Boia Covid il compito di sfoltire la popolazione carceraria…
Il pericolosissimo Seye, forse neppure in Arabia Saudita, considerata la fogna mondiale dei diritti umani, avrebbe rischiato di essere affidato al boia…
Gian J. Morici
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