A lanciare l’allarme sul rischio di un’epidemia che dilaghi nelle carceri (così come in altri luoghi affollati dove non è possibile mantenere la cosiddetta “distanza sociale” (caserme, case di riposo ecc) oltre ad avvocati, qualche partito politico e sigla sindacale, anche magistrati, come nel caso dell’ex procuratore di Roma Giuseppe Cascini e il procuratore generale della Cassazione Giovanni Salvi, che non sottovalutando affatto il rischio che corrono agenti e detenuti chiedono che venga alleggerita la presenza della popolazione carceraria vista l’emergenza che si è venuta a creare a seguito dell’epidemia.
Il ministro Bonafede, dal canto suo, sembra deciso a non cedere in merito alla determinazione di concedere subito gli arresti domiciliari a chi deve scontare sei mesi, come stabilito dal decreto del 17 marzo, lasciando facoltà al magistrato di sorveglianza di valutare la concessione della misura per chi deve scontare dai 6 ai 12 mesi, anche nel caso in cui non fossero ancora disponibili i braccialetti elettronici, mentre oltre i 12 mesi il braccialetto diventa obbligatorio.
Una scelta che sembra dettata più da ragioni di opportunità politiche che altro, considerato che in quasi tutto il mondo (dall’Iran alla Turchia, alla Francia ecc) i governi, consapevoli del pericolo che corrono gli agenti e i detenuti e che focolai di questa portata farebbero dilagare ulteriormente all’esterno il virus, stanno procedendo a scarcerazioni massicce.
Mentre in Italia pare sia ormai regola il ricorso alle mezze misure anche per quanto riguarda gli operatori sanitari, in diversi paesi, quantomeno per questa categoria, sono state adottate misure drastiche. In Giordania, per esempio, il personale medico sarà diviso in due gruppi, ogni gruppo messo in quarantena per 14 giorni dopo aver fatto 14 giorni di lavoro presso l’ospedale e sottoposto ad esami prima di tornare in servizio dopo la quarantena, per assicurarsi che siano in buona salute. Ogni paese sta cercando di evitare che in comunità numerose il contagio dilaghi.
Da noi la vicenda delle scarcerazioni mantiene alto il dibattito politico – a volte solo strumentale – coinvolgendo anche molti utenti dei social. Tra chi sostiene la necessità della certezza della pena da scontare, c’è anche chi ne fa una questione di “giustizia”, non condividendo l’idea che ci sia chi possa beneficiare di una misura cautelare diversa dal carcere (detenuti il cui fine pena è prossimo) e chi, avendo riportato condanne a diversi anni, possa essere costretto a dover affrontare il rischio di contrarre il virus all’interno di un istituto penitenziario.
In linea di principio, e per una questione di umanità, l’osservazione potrebbe essere corretta, se non si valutasse la diversa pericolosità dei soggetti, il fatto che in stato di detenzione ci sono persone in attesa finanche del primo giudizio (che fine ha fatto il principio di innocenza secondo il quale non si è colpevoli fino a sentenza irrevocabile?) e che una misura di pena diversa renderebbe meno pericolosa la convivenza nelle carceri, che sono ad oggi sovraffollate, e più facile la messa in quarantena di soggetti che dovessero manifestare qualche sintomo.
Dinanzi queste precisazioni, la risposta è quella che per una questione di “giustizia”, anche nel caso di questa emergenza, le regole vanno applicate a tutti e non si possono fare distinzioni: Liberi tutti o nessuno!
Già, ma mentre ci sono giudici che accettano o respingono richieste di invio ai domiciliari per detenuti non accusati di fatti di sangue (sarebbe interessante conoscerne i criteri), di un argomento tanto complesso, in un momento così drammatico, se ne fa una questione di lana caprina. Se risponde a verità l’articolo di oggi, a firma di Paolo Borrometi, dovremmo riflettere sulla mancanza di coraggio di fare una scelta politica che potrebbe salvare molte vite e sui criteri che portano a stabilire chi può essere contaminato e chi no all’interno di un carcere.
L’articolo è quello sull’invio ai domiciliari di un ergastolano, condannato in via definitiva per associazione mafiosa, estorsione e omicidio.
“Esce dalla prigione non per curarsi – scrive Borrometi – in quel caso saremmo totalmente d’accordo, ma per il “pericolo di contagio” a causa delle sue patologie”.
L’ergastolano pare non abbia contratto il coronavirus, ma uscirebbe perché potrebbe contrarlo. “Come i poliziotti o i carabinieri nelle strade (anche se iperteso) – continua Borrometi – come le cassiere nei supermercati (anche se con il diabete), come gli agenti della Polizia penitenziaria (anche se con la gastrite)”, come chi deve scontare ancora una pena lieve o magari è innocente e ancora in attesa di giudizio – aggiungiamo noi.
Bene, secondo il principio “liberi tutti o nessuno”, nel momento in cui si può decidere la liberazione di un ergastolano, condannato in via definitiva per associazione mafiosa, estorsione e omicidio, la soluzione logica e consequenziale sarebbe: Liberi tutti! Iniziando dagli agenti di polizia penitenziaria che non devono essere costretti a contrarre il virus, da quanti in attesa di giudizio (magari innocenti) che non devono essere condannati a morte, continuando con chi ha pene irrisorie da scontare. Se poi vogliono i magistrati, che sembra possano decidere i casi di vita e di morte, proseguano pure con gli ergastolani, ma non prima…
Il governo non trova il coraggio di prendere una decisione, forse anche impopolare, e sa che dovrebbe affrontare l’opposizione (in particolare Matteo Salvini) che pur di raccattare una manciata di voti approfitterebbe della circostanza per attaccare con pesanti critiche.
Ad oggi, gli unici ad aver trovato il coraggio di esporsi, infischiandosene delle critiche, sono stati i Radicali.
Ma per un pugno di voti si può rischiare la vita di così tante persone?
Dum Romae consulitur, Saguntum expugnatur!
Gian J. Morici
https://infosannio.wordpress.com/2020/04/04/liberi-tutti/
“I dati ufficiali (che ignorano i contagiati asintomatici, inconsapevoli e non certificati dal tampone) dicono che il Covid-19 infetta lo 0,16% dei non detenuti e lo 0,05% dei detenuti – scrive Travaglio – e uccide (come causa o concausa) lo 0,02% dei non detenuti e lo 0,001% dei detenuti. Anche uno sciocco capisce che: a) oggi stare in carcere è molto più sicuro che stare fuori…dunque se i dati dei contagi intra-carcere si avvicinassero a quelli extra-carcere, sarebbe doveroso adottare misure di clemenza. Ma per ora i dati dicono che la situazione, almeno per i contagi, è sotto controllo: i detenuti contagiati sono in isolamento o in ospedale; gli agenti penitenziari contagiati (145 su 38mila) sono fuori servizio”
Anche chi è sciocco, termine usato dal geniale giornalista che sciocco non dovrebbe essere, capisce come il principio “travagliesco” (inteso come travaglio intellettuale di chi deve arrampicarsi sugli specchi) sia quello del “prima l’epidemia” e poi ne riparliamo. Già, poi, quando poi assume il significato di troppo tardi…
“Ma ai fautori del “liberi tutti” – continua Travaglio – non basta ancora e, siccome i dati sul Covid li smentiscono, fanno leva sull’impossibilità, per i detenuti, di rispettare il distanziamento di un metro nelle celle sovraffollate. Altra solenne sciocchezza: la regola del metro di distanza riguarda, per i non detenuti, i luoghi pubblici e non certo le abitazioni private. Altrimenti ogni giorno verrebbe violata dalle centinaia di migliaia di persone stipate in 4 o 5 in monolocali o bilocali; o lavorano nelle terapie intensive affollate di malati, infermieri e medici; o abitano in spazi più ampi, ma fanno vita famigliare e non passano certo le giornate a distanza di sicurezza”
Altra solenne sciocchezza quella d Travaglio, il quale dovrebbe dire a quale 0,000milioni di zero corrisponde la percentuale di persone che vivono in diverse centinaia o migliaia in una struttura. Secondo il travagliesco-pensiero, la distanza sociale di un metro vale soltanto per i locali pubblici e non va applicata altrove. Stesso pensiero del Pentagono che ha fatto rimuovere il comandante della Uss Theodore Roosevelt, colpevole di voler salvare i membri dell’equipaggio dopo che 114 di loro erano risultati positivi al Covid-19. Già, la portaerei americana pare non rientri tra i “locali pubblici”, quindi si può stare gomito a gomito senza correre alcun rischio https://video.lastampa.it/esteri/comandante-portaerei-usa-rimosso-dalla-marina-per-aver-denunciato-casi-di-covid-19-a-bordo-cosi-i-suoi-uomini-gli-sono-riconoscenti/112512/112524
“Ripetiamo – continua Travaglio – a scanso di equivoci e a prova di coglioni (che proliferano più del Covid: la vita di un detenuto vale tanto quella di un non detenuto. Ma non vale di più. A nessuno viene in mente di chiudere gli ospedali e mandare a spasso medici, infermieri e malati perché lì muoiono come le mosche, né di chiudere gli ospizi e mandare a spasso gli anziani perché lì ne muoiono migliaia”
Nessuna vita vale più o meno di un’altra e su una cosa Travaglio ha ragione, ovvero che i coglioni proliferano più del Covid, a volte anche ben pagati per dire o scrivere compendi di castronerie che per mole letteraria farebbero invidia alla divina commedia del sommo poeta.
Travaglio stesso scrive che “a nessuno viene in mente di chiudere gli ospedali e mandare a spasso medici, infermieri e malati perché lì muoiono come le mosche, né di chiudere gli ospizi e mandare a spasso gli anziani perché lì ne muoiono migliaia”
Cominci a chiedersi – sempre che sia in grado di collegare due neuroni – perchè in quei luoghi muoiono come le mosche. Forse perché la carica virale in alcuni ambienti è maggiore? Forse perchè in ambienti sovraffollati (come oltre le carceri sono anche il caserme) il contagio avviene più facilmente ed è più difficile da gestire?
Se Travaglio usasse il cervello, anziché come fa Salvini fare sterile propaganda parlando alla “pancia degli italiani”, si sarebbe reso conto di tutto questo. Ma chiedere a Travaglio di non fare il giustizialista sarebbe come chiedere a un asino di insegnare ingegneria al Massachusetts Institute of Technology negli Stati Uniti.
Un capitolo a parte meritano gli innocenti in carcere. Secondo lo stesso ministro Bonafede (rapporto presentato alla Camera ad aprile 2019)nel solo anno 2018, “257 volte è stata pronunciata una sentenza definitiva di assoluzione in procedimenti in cui era stata disposta la misura cautelare del carcere. Se includiamo anche le sentenze di assoluzione non definitiva e le altre sentenze di proscioglimento, il totale arriva a 1.355 custodie cautelari in carcere in un anno che hanno coinvolto soggetti poi scagionati dalle accuse”. Due giornalisti, Benedetto Lattanzi e Valentino Maimone, che hanno creato il progetto chiamato Errori giudiziari, che si definisce come “il primo archivio su errori giudiziari e ingiusta detenzione, hanno calcolato che “dal 1992 (anno da cui parte la contabilità ufficiale delle riparazioni per ingiusta detenzione presso il Ministero dell’Economia e delle Finanze) al 30 settembre 2018, si sono registrati oltre 27.200 casi: in media, 1.007 innocenti in custodia cautelare ogni anno (Fonte: https://www.agi.it/fact-checking/fact_checking-6963622/news/2020-01-29/ ) Considerato che nelle carceri super affollate finiscono una media di 1.007 persone innocenti l’anno, non sarebbe difficile trovare un altro posto in più nel quale alloggiare il bravo giornalista, che dovrebbe essere felice di poter stare in carcere, visto che è molto più sicuro che stare fuori. Chissà che non sia disposto a pagare anche una congrua retta per l’ospitalità in un ambiente sicuro.
Ha ragione Travaglio quando nel fare un’autoanalisi afferma che i coglioni proliferano più del Covid…
Gian J. Morici
altro che scarcerarli, dovrebbero condannarli a morte!
se le carceri sono troppo piccole, devono essere i condannati e i loro familiari a pagare per ampliarle, noi di certo non abbiamo soldi per gli onesti figurati per chi ci ha derubato
inoltre sono anni che si sa che le carceri sono sovraffollate e se non volevano finirci dentro avevano solo da non commettere reati!
Già 500 anni fa, un giurista di nome Antonio Gomez stigmatizzava luso improprio della pena per far pressioni su un cittadino ancora considerato innocente. Ancor prima di lui, il problema lo avevano sollevato i romani, padri del Diritto. Orbene, le vorrei ricordare come parte della popolazione carceraria sia formata da persone ancora in attesa di giudizio, considerate innocenti fino a condanna definitiva. E la storia ci insegna come quelluso improprio della pena non sia mai terminato…
Innocenti sospettati o addirittura arrestati, come Enzo Tortora (https://it.wikipedia.org/wiki/Enzo_Tortora#Il_%22caso_Tortora%22) Gigi Sabani (https://it.wikipedia.org/wiki/Gigi_Sabani#Guai_giudiziari_e_declino_professionale) Gino Girolimoni – Il mostro di Roma (https://it.wikipedia.org/wiki/Gino_Girolimoni#Il_mostro_di_Roma) Elvo Zornitta – Unabomber (https://it.wikipedia.org/wiki/Unabomber_(Italia)#Elvo_Zornitta) e tanti altri. Persone che secondo il suo pensiero forcaiolo (sempre che sia in grado di partorirne uno autonomo) avrebbero meritato di essere uccise. Un pensiero, quello suo, non molto diverso da quel lontano 1184, anno in cui Papa Lucio III e l’imperatore Federico Barbarossa diedero l’avvio alla Santa Inquisizione.
Potrei chiederle qual è il principio di giustizia, che a suo modesto parere – ma molto modesto sotto ogni profilo – dovrebbe prevedere una condanna a morte per qualsiasi reato. Non voglio perder tempo avventurandomi nell’universo delle nozioni di diritto – che tanto sono certo non capirebbe – limitandomi ai soli casi d’innocenza (oltre mille all’anno) per i quali dal ’92 lo Stato Italiano ha già speso oltre oltre 700 milioni di euro per risarcimenti (https://www.adnkronos.com/fatti/cronaca/2019/01/25/oltre-mille-risarciti-innocenti-carcere-sono-molti-piu_5dEGZvXosmAXAvhw8jsbQM.html)
27.000 persone che a suo modesto parere – torno a ripetermi, molto modesto – andavano uccise.
Voglio augurarle di non incappare mai in un errore giudiziario e di non commettere mai un reato neppure colposo, ma ancor più, le auguro di non trovare una persona come lei che la debba giudicare.
Gian J. Morici