Secondo l’accusa iniziale i due ex sostituti procuratori di Caltanissetta, Annamaria Palma e Carmelo Petralia, avevano costruito ad arte il falso pentito Vincenzo Scarantino.
La richiesta di archiviazione, che era fondata sul fatto che non emergevano profili penali, risale al giugno dello scorso anno. Alla richiesta fece seguito una memoria integrativa presentata dai pubblici ministeri Vito Di Giorgio, procuratore aggiunto e Liliana Todaro, sostituto della Direzione distrettuale antimafia.
Il Gip, Simona Finocchiaro, del tribunale di Messina, a seguito dell’opposizione presentata dai legali delle parti offese si era riservato sui due magistrati accusati di calunnia aggravata.
Attualmente per la gestione del falso pentito Vincenzo Scarantino, e il depistaggio che ne scaturì, a Caltanissetta sono sotto processo tre poliziotti, il funzionario Mario Bò e gli ispettori in pensione Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo, imputati per lo stesso capo d’accusa che era stato mosso nei confronti dei due ex pm.
La giudice per le indagini preliminari, Simona Finocchiaro, ha sciolto la riserva accogliendo le argomentazioni della procura e rigettando le opposizioni presentate dagli avvocati Giuseppe Scozzola e Rosalba Di Gregorio, difensori legali di Gaetano Scotto, Giuseppe La Mattina, Gaetano Murana e Cosimo Vernengo, che da Scarantino erano stati accusati ingiustamente per il loro coinvolgimento nella strage di Via D’Amelio.
L’inchiesta, nata a seguito della trasmissione della sentenza “Borsellino quater”, ha visto i magistrati del pool coordinato dal procuratore di Messina Maurizio de Lucia, impegnati a riascoltare il falso pentito Scarantino e diversi testi, tra i quali il dott. Nino Di Matteo, quest’ultimo, in particolare in merito al confronto tra Francesco Marino Mannoia e lo Scarantino.
Marino Mannoia, a proposito di quell’incontro avvenuto il 12 gennaio del ’95, ha escluso di essere stato sollecitato a saggiare lo spessore mafioso dello Scarantino e ha respinto fermamente l’ipotesi che qualcuno gli avesse, in quella sede, chiesto se lo Scarantino fosse uomo d’onore.
Ha cosi ricordato che all’epoca gli vennero rivolte dal dott. Di Matteo domande generiche sulla conoscenza tra lui e lo Scarantino, soggetto che egli effettivamente conosceva perchè cognato di Profeta Salvatore, ed in quanto gravitante nella zona della Guadagna.
Ha ricordato di aver confermato quanto detto dallo Scarantino in merito alla loro conoscenza, ma ha escluso – contrariamente a quanto affermato dall’avv. Li Gozzi – che qualcuno gli avesse chiesto, in sede di confronto, il suo giudizio sulla caratura mafiosa dello Scarantino.
Stando a Marino Mannoia, paradossalmente, nessuno gli chiese quale fosse lo spessore mafioso di un collaboratore di giustizia che raccontava i retroscena della strage di Via D’Amelio nella quale era personalmente coinvolto (che quanto raccontato da Scarantino frottole, lo avevano capito alcuni avvocati, qualche magistrato e qualche giornalista, ma la conferma la si avrà solo con la collaborazione di Gaspare Spatuzza).
Mannoia, preso a sommarie informazioni testimoniali, il 9.07.2019, ricorda così il giorno del confronto con Scarantino:
“[Scarantino] io l’ho incontrato solo una volta con il dott. Di Matteo… il dott. Di Matteo, in base a cose che aveva dichiarato questo Scarantino [voleva] che avessi un confronto con questo ragazzo.. faccio presente che questo ragazzo è cognato di Salvatore Profeta. Salvatore Profeta era della stessa famiglia di mia appartenenza, la famiglia di Stefano Bontate. Io questo ragazzo… lo vedevo ogni tanto lì in piazza alla Guadagna, sono diversi fratelli… Il dott. Di Matteo voleva in quella circostanza che io avessi un confronto con questo ragazzo… il dott. Di Matteo, per motivi suoi, ci lascia qualche attimo nella stanza, non c’era nessuno e io ci ho detto: “Ma che fai? Che cosa è?” e lui mi racconta alcune situazioni di Guadagna: “Sai Pietro Aglieri se la faceva con la moglie di Calascibetta.. “… mi raccontava questi pettegolezzi di borgata… Poi e entrato il dott. Di Matteo e ha fatto come un’esclamazione di rimprovero: “Ma voi parlate in mia assenza?!” Io non ho voluto dire niente però mi veniva da dirci: “Ma dottore Di Matteo, mi perdoni ma lei ci lascia a noi soli qua e lei se n’è andato?” [.] II dott. Di Matteo ha verbalizzato la conoscenza di questo ragazzo .. gli ho detto “Si e vero”… alcune banalità. ma non fatti di criminalità … Il punto del dott. Di Matteo era vedere se c’erano riscontri in quelle sommarie cose … che questo ragazzo diceva, se era vero che mi conosceva.. se era vero che conosceva a Pietro Aglieri .. Ma non mi ha chiesto “lei ha mai sentito se e d’uomo d’onore? “… nessuno mi ha fatto la domanda, perchè se mi facevano la domanda: “Lei, questo, pensa che e inserito in Cosa Nostra?” “E’ uomo d’onore? “, questo e quell’altro.. poteva essere uno che può gravitare, che nell’assenza le cose sono cambiate e magari si mettono vicino un ragazzo, ma non che fosse uomo d’onore… gli avrei detto “voi siete tutti pazzi, quelli che lo sostenete che e un uomo d’onore”
Escusso sul medesimo episodio il dott. Di Matteo non ha ricordato di aver partecipato ad un confronto tra Scarantino Vincenzo e Marino Mannoia Francesco, pur non escludendo tale evento.
Sugli esiti del confronto sono stati escussi anche i due pm indagati e, mentre il dott. Petralia non ha ricordato di aver preso parte a un confronto tra Scarantino Vincenzo e Marino Mannoia Francesco, la dott.ssa Palma ha riferito – in linea con la lettera del verbale di confronto – che in esito a quel confronto lo Scarantino era risultato essere un soggetto ben inserito all’interno del quartiere della Guadagna, dedito al traffico di sostanze stupefacenti insieme al fratello Rosario e molto vicino a Profeta Salvatore, ma non ha mai parlato di uno Scarantino organicamente inserito in “Cosa Nostra” palermitana.
Se per il gip che ha archiviato le argomentazioni poste dai pm a fondamento della richiesta di archiviazione in merito all’insussistenza di elementi probatori certi e univoci tali da consentire la sostenibilità in un eventuale futuro dibattimento dell’accusa di calunnia a carico degli indagati, sotto il profilo soggettivo meritano accoglimento; ci sarebbe da chiedersi quali fossero i criteri investigativi di chi permise a quello che in gergo viene definito un “picciutteddu di sgarru” di attribuirsi un ruolo nella strage in cui persero la vita Paolo Borsellino e gli uomini della sua scorta, facendo condannare all’ergastolo degli innocenti e mettendo al riparo dai rigori della giustizia i veri colpevoli.
Possibile che non si chieda nulla a un collaboratore di giustizia come Marino Mannoia in merito all’appartenenza a “cosa nostra” di un uomo come Scarantino? Forse sarebbe stata sufficiente questa domanda per evitare decenni di depistaggi e la lunga detenzione di innocenti.
Le domande, sarebbero anche tante altre, come quelle riportate su Repubblica e poste da Fiammetta Borsellino, figlia del giudice ucciso:
“Perché i pm di Caltanissetta furono accomodanti con le continue ritrattazioni di Scarantino – si è chiesta ancora Fiammetta – e non fecero mai il confronto tra i falsi pentiti dell’inchiesta (Scarantino, Candura e Andriotta), dai cui interrogatori si evinceva un progressivo aggiustamento delle dichiarazioni, in modo da farle convergere verso l’unica versione? Perché non fu mai fatto un verbale del sopralluogo della polizia con Scarantino nel garage dove diceva di aver rubato la 126 poi trasformata in autobomba? Perché i pm non ne fecero mai richiesta? E perché nessun magistrato ritenne di presenziare al sopralluogo? Chi è davvero responsabile dei verbali con a margine delle annotazioni a penna consegnati dall’ispettore Mattei a Scarantino? Il poliziotto ha dichiarato che l’unico scopo era quello di aiutarlo a ripassare: com’è possibile che fino alla Cassazione i giudici abbiano ritenuto plausibile questa giustificazione?”. E ancora: “Perché furono autorizzati dieci colloqui investigativi della polizia con Scarantino, quando già era iniziata la collaborazione con i magistrati?”
L’archiviazione da parte del Gip Simona Finocchiaro, se da un lato “assolve” gli indagati, non emergendo a loro carico rilievi penali, dall’altro rappresenta una dura condanna di quei “PM sprovvedutelli e scarsamente aderenti ai criteri di valutazione della prova” – così come definiti sulla propria pagina Facebook dall’avvocato Di Gregorio – che non tennero conto neppure dell’instabilità psicologica di Scarantino.
Come afferma l’ex falso pentito: “Non ero una persona stabile e lo sapevano…la colpa e mia”
Ecco, forse una volta tanto, anche persone più psicologicamente stabili, con una diversa cultura e con un diverso ruolo nella società, potrebbero fare almeno un mea culpa, e non lasciare allo Scarantino di turno l’onere di attribuirsi una responsabilità morale – nel suo caso anche penale – che forse solo parzialmente gli appartiene.
Mi tornano in mente le parole che disse l’avvocato Rosalba Di Gregorio, quando la intervistai in occasione della pubblicazione del libro “Dalla parte sbagliata”:
“Sfatiamo un altro mito… Io non c’è l’ho con i pentiti. A me non hanno fatto nulla, non li odio. Addirittura, ricordo che Cangemi, il quale era stato pure mio cliente, quando si pentì, in un processo mi volle pure salutare. Io ho una pessima opinione – che è una cosa diversa – sia della normativa vigente sui pentiti, sia delle modalità in cui la normativa vigente si applica ai collaboratori di giustizia. A me fa schifo la risultante, non il fenomeno in sé o la possibilità che si usi un collaboratore di giustizia”.
Come darle torto?
Gian J. Morici
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