Possono passare i secoli, financo i millenni, ma la storia si ripete. Ogni Cesare per governare ha bisogno dei suoi proconsoli. Che per diventare procuratore capo di Roma ci vogliono i voti delle correnti ma ci vogliono soprattutto i titoli, lo ha detto Ermini, Vicepresidente del CSM, aggiungendo, però, che “adesso purtroppo è stato fatto il contrario, si è scelto spesso quello che aveva il maggiore appoggio correntizio. Purtroppo questo è successo, è sotto gli occhi di tutti, e questa cosa qui deve finire”.
Già, deve finire. Come e quando però non si sa. Il Presidente Mattarella, dopo quanto emerso a seguito del Palamaragate, non poteva certo dire “signori magistrati, tutti a casa”. Non poteva ripercorrere gli scandali dei concorsi vinti con la minigonna, dei concorsi truccati. Avrebbe però potuto dare un segnale forte e chiaro facendo azzerare quantomeno recenti nomine di “pretori” (v. storia romana) senza titoli, ai quali è stato conferito l’imperium dall’assemblea. Un atto di coraggio in controtendenza con il passato. “Non ho paura dei malvagi, ma del silenzio degli onesti.” Così diceva Martin Luther King e sull’onestà di Sergio Mattarella non c’è alcun dubbio.
Ma ogni Cesare – anche quelli moderni – ha bisogno delle province, dei suoi proconsoli, e se non è possibile governare tanto vale distruggere le legioni. Questa è l’impressione che si ha guardando alla realtà siciliana. Se Palermo è la capitale, la vera posta in gioco oggi è Caltanissetta, sede di indagini e processi sulle stragi nelle quali morirono i giudici Falcone e Borsellino, nonchè quelle che vedono coinvolti i magistrati di Palermo. Una vera spada di Damocle.
È trascorso meno di un anno da quando il Vicepresidente del CSM aveva sostenuto che si doveva puntare a un rafforzamento della dotazione organica dei magistrati, dopo la riduzione dell’organico della Dda di Caltanissetta da 7 a 6 magistrati. Un’esigenza condivisa anche da Nino Di Matteo che aveva ricordato l’importanza della procura nissena vista la notevole complessità e gravità dei procedimenti di cui si occupa la Dda nissena anche in merito alle stragi. Tutto ciò, senza considerare i nuovi spunti investigativi da sviluppare a seguito di quanto emerso nel corso del processo, in dirittura d’arrivo, che vede imputato per le stragi Matteo Messina Denaro.
Affermazioni – quelle di Di Matteo – che oggi stridono con la resa dinanzi la scelta di depotenziare la Dda di Caltanissetta, che viene quasi giustificata dal fatto che la riduzione avveniva rispetto ad un numero originario di componenti della Dda che era stato predeterminato in misura superiore rispetto al 25% dell’organico della procura, mentre per Firenze, impegnata in indagini su cinque episodi di strage, e dove è previsto l’incremento di due sostituti procuratori ma solo uno destinato alla Dda, trova “singolare” ed “irrazionale” che venga destinato meno del 25% dei magistrati, rispetto all’organico totale.
Di Matteo forse dimentica che le indagini sugli attentati mafiosi del ’92 e ’93, condotte dalle procure di Milano, Firenze e Palermo, risultano collegate all’impresa titanica di quelle di Caltanissetta, dove sono emerse risultanze investigative e processuali che hanno permesso di rimediare a “errori” commessi in passato, alimentando la speranza di poter vedere la luce al di là del tunnel delle menzogne perpetrate per quasi trenta anni da chi, evidentemente, non ha mai voluto si arrivasse alla verità. Una verità forse troppo scomoda anche per quanti si sono gloriati di brillanti risultati, in verità mai raggiunti, che hanno fatto da specchietto per le allodole distogliendo le attenzioni dalla genesi delle stragi.
Dopo che Amedeo Bertone è andato in pensione lasciando reggere la procura nissena all’aggiunto Gabriele Paci, con un passato e un presente di magistrato di prima linea contro la mafia, si apre la corsa alla successione. Caltanissetta scotta, da Capaci e Via D’Amelio, al caso Saguto, con i riflettori puntati su Palermo.
Sarà un magistrato titolato l’erede alla successione di Bertone, o il solito gioco di correnti – anche dopo il Palamaragate – porterà un proconsole a governare una provincia che potrebbe rappresentare la spina nel fianco di più di un Cesare? La vicenda della mancata nomina di Marcello Viola a capo della procura di Roma, ci ha insegnato come le cose non accadano per caso.
Presidente Mattarella, gli italiani, quelli che ancora credono possa esistere la giustizia nel nostro Paese, le rivolgono un accorato appello: Mai più proconsoli, lo faccia in memoria di chi, ha pagato con la vita il proprio impegno contro la mafia. E se le è possibile, rimuova o faccia rimuovere quanti hanno occupato posti chiave che sono serviti – e servono tuttora – a mantenere in piedi un sistema che alla parola giustizia può essere associato solo come contrapposto.
Gian J. Morici
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