E se Giulio Andreotti avesse avuto ragione nel dire che a pensar male si fa peccato ma spesso si indovina? Ne avevamo già scritto mesi fa, evidenziando che appena sei giorni dopo la nomina in pectore di Marcello Viola alla procura di Roma, la stampa dava notizia delle intercettazioni a carico del pm Luca Palamara, citando anche il nome del procuratore generale di Firenze. A carico di Viola non emergeva nulla di rilevante, anzi tutt’altro visto che lo stesso sarebbe stato parte lesa, ma di tutto questo nessuno ne parlava. Così come nessuno riportava le parole intercettate dalla guardia di finanza, pronunciate dal pm Luigi Spina, all’epoca consigliere del Csm, secondo il quale “l’unico che non è ricattabile è Viola Marcello”.
Ma la calunnia è un venticello, basta poco, qualche notizia frammentata, magari manipolata ad hoc, e il gioco è fatto. Marcello Viola, che il 23 maggio 2019 aveva ottenuto dalla V Commissione del Csm quattro voti favorevoli per la nomina a capo della procura capitolina, contro un voto favorevole per Francesco Lo Voi e uno per Giuseppe Creazzo, rimane al palo. Fin quando il 14 gennaio 2020 la commissione formula tre nuove proposte: Lo Voi, Creazzo e Prestipino Giarritta, confermando quest’ultimo ai vertici della procura di Roma.
Tanto Lo Voi quanto Prestipino Giarritta, rappresentavano la continuità dell’uscente Giuseppe Pignatone.
Se già la macilenta credibilità della magistratura aveva subito un duro colpo con il caso Palamara, a demolirla completamente è il sospetto di un’inchiesta distrutta per bloccare la nomina di Viola, della quale ne scrive oggi il giornalista Giacomo Amadori in un articolo pubblicato da “La Verità”.
“Palamara – scrive Amadori – era accusato di corruzione: perciò poterono mettere il trojan nel suo cellulare. Appena si scoprì che Viola stava per diventare procuratore di Roma, iniziarono le fughe di notizie”
Un’attività d’indagine che sarebbe stata condotta anche nel caso delle intercettazioni all’hotel Champagne, per dimostrare che Palamara era in grado di decidere le carriere dei colleghi pur non essendo più al Csm.
“La saletta d’ascolto – prosegue l’articolo – non è a Perugia, ma a Roma, e a gestire le registrazioni non sono gli investigatori di Perugia, ma quelli di Roma, comandati da un colonnello che il procuratore, sempre di Roma, Giuseppe Pignatone, ha avuto alle sue dipendenze a Palermo, portandolo con sé anche a Reggio Calabria e nella capitale.”
Le intercettazioni rivelano l’interesse di Palamara a far accelerare l’iter di un esposto contro Pignatone e gli incontri relativi alla nomina alla procura di Roma, nel corso dei quali venivano intercettati parlamentari che non poteva essere intercettati. Di corruzione neppure l’ombra, ma emerge altro, qualcosa che per qualcuno sembra avere un interesse superiore alla stessa corruzione: la nomina a procuratore capo di Roma!
“I magistrati – scrive Amadori – sono intenzionati a capire se anche dietro a quella vicenda ci sia un patto scellerato. Ma per scoprirlo dovrebbero rimanere in attesa della nomina di Viola e delle successive mosse di Palamara per farsi promuovere procuratore aggiunto e smascherare i suoi addentellati dentro al Csm. E dovrebbero studiare le azioni di Lotti: davvero il deputato ha partecipato alla riunione dello Champagne per trovare una sponda in Procura in attesa dell’inizio del processo Consip?”
Basterebbe proseguire nell’indagine e verificare cosa accade nel corso del processo. Del resto le indagini non si avviano e si concludono in pochi giorni. Le ipotesi vanno avvalorate dai riscontri e se necessario da ulteriori attività investigative. Invece no, nonostante non ci sia uno straccio di prova di ipotetici reati l’indagine viene bruciata grazie alle fughe di notizie riportate dalla stampa.
Un autentico flop investigativo che però ottiene un altro risultato, forse quello realmente voluto: impedire la nomina di Viola!
“Sulla scena è rimasto solo il simulacro di un ipotetico traffico di influenze, fattispecie per cui non sono previste le intercettazioni. Ma chi ha deciso di mandare a monte l’accordo con le spifferate ai cronisti? Chi si è preso la responsabilità di mandare all’aria l’indagine per corruzione, come è effettivamente accaduto?” – si chiede il giornalista.
Domande destinate a rimanere senza risposta. A chi può interessare sapere chi ha bruciato un’indagine, chi ha commesso il reato di violazione di segreto d’ufficio, chi potrebbe aver commesso quello di favoreggiamento? A nessuno!
La violazione del segreto d’ufficio – con l’inesistente aggravante di aver favorito la mafia – la si addossa ai magistrati che collaborano nelle indagini in merito alla latitanza di boss del calibro di Matteo Messina Denaro, e ai loro collaboratori, come nel caso che vide coinvolti lo stesso Marcello Viola, Maria Teresa Principato e l’appuntato della guardia di finanza Calogero Pulici.
Anche in quella circostanza si mandarono a monte delle indagini, con l’aggravante di aver fatto sparire dall’ufficio dell’ex procuratore aggiunto di Palermo, Maria Teresa Principato, i supporti telematici del Pulici che contenevano anni di indagini sulla caccia al latitante castelvetranese.
Chi li fece sparire? Provate a chiederlo alla procura dove avvennero i fatti, Pulici, ad oggi, non ha ancora ottenuto alcuna risposta.
E Viola? Se tutto andrà bene e vincerà il ricorso al Tar – e quello che certamente seguirà al Consiglio di Stato – per chissà quanto tempo ancora rimarrà al palo in attesa di una giustizia sempre meno giusta…
Gian J. Morici
Messina Denaro – Assolto per la settima volta il finanziere Calogero Pulici
Matteo Messina Denaro – La caccia al boss che vede accusati i cacciatori
Mentre Matteo se la ride sotto i baffi…