Pescara, 20 novembre 2019: l’approfondimento di questa settimana del sito Pro\Versi riguarda il discusso DdL sul Salario minimo, promosso dal M5S durante il precedente governo gialloverde e ripreso dall’attuale governo giallorosso, all’interno del quale si cerca una sintesi tra le proposte del PD e quelle del M5S.
Secondo molti, il salario minimo rappresenterebbe un adeguamento ai canoni europei; un rafforzamento della tutela delle categorie non rappresentate e a rischio sfruttamento; un miglioramento della qualità del lavoro, soprattutto nel contrasto al lavoro nero o sottopagato; eviterebbe il cosiddetto dumping contrattuale e una serie di contenziosi tra aziende e lavoratori. Se questo provvedimento fosse stato introdotto già nei decenni passati il livello della diseguaglianza tra le fasce salariali sarebbe stato minore.
Secondo i dati di Inps e Istat, fissando la soglia del salario minimo a 9 euro lordi l’ora, il 21% dei lavoratori dipendenti avrebbero un incremento medio annuo di retribuzione.
Secondo il parere di altri, invece, l’Italia non ha bisogno di questo provvedimento, in quanto ha una realtà sindacale molto forte, che possiede già i mezzi per contrattare salari adeguati e migliorare la qualità del lavoro. Se viene introdotta una legge che fissa una paga oraria, le imprese non sono più costrette a trattare con i sindacati per fissare dei contratti collettivi e ciò potrebbe ridurre il valore reale delle retribuzioni e generare una fuoriuscita delle imprese dal sistema della contrattazione collettiva.
Il salario minimo aumenterebbe il costo del lavoro per le imprese e, di conseguenza, ridurrebbe l’occupazione, soprattutto al Sud, portando una nuova crisi della produttività industriale e un aumento del lavoro nero.
Suscita dibattito anche il tema degli effetti di un salario minimo unito al Reddito di cittadinanza: se per alcuni il reddito minimo favorisce la crescita dei salari (stabilendo una soglia sotto la quale non si potrebbe più andare) per altri il Rdc è solo un disincentivo al lavoro.
Per i primi, è opportuno che la formula del Reddito di cittadinanza venga accompagnata da quella del salario minimo, non troppo alto né troppo basso. L’unione di questi due provvedimenti produrrebbe un’occupazione dignitosa per tutti e a una distribuzione più equa dei benefici del progresso tecnico, prevedendo forme di reddito universale che emancipino l’uomo dall’obbligo lavorativo e lo aprano a una forma più libera di contributo alla società.
Per i secondi, c’è il rischio che il salario minimo entri in conflitto col Reddito di cittadinanza: si dovrebbe fissare una soglia molto alta della paga oraria, ma ciò è insostenibile per gran parte del mercato del lavoro; in caso contrario c’è il rischio che la soglia sia inferiore allo stesso Reddito di cittadinanza.
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