Pescara, 6 novembre 2019: Dopo i recenti accadimenti al confine turco-siriano, il sito Pro\Versi pubblica un approfondimento dedicato a Recep Tayyip Erdoğan, primo ministro dal 2004 e presidente della Turchia dal 2014. Nel 2016 il suo governo viene fortemente minacciato da un golpe militare, che provoca centinaia di morti; Erdoğan ordina l’arresto di migliaia di persone. Il successo elettorale di Erdoğan subisce una forte battuta d’arresto con le elezioni amministrative del 31 marzo 2019, quando l’Akp, pur confermandosi prima forza del Paese, perde la capitale Ankara e Istanbul. In quest’ultima città, il partito di Erdoğan vince un ricorso per presunti brogli elettorali, ma il ritorno alle urne del 23 giugno conferma la sua sconfitta.
Tra le questioni che Erdoğan, secondo i suoi detrattori, affronterebbe in maniera non democratica c’è quella della minoranza curda. Più volte Erdoğan ha espresso la sua opinione sulle organizzazioni curde siriane e turche, ritenendo necessario un intervento militare contro i gruppi armati curdi in Siria poiché – in quanto legati al Pkk – rappresenterebbero una minaccia per la Turchia.
Il 9 ottobre 2019, a seguito dell’annuncio da parte del presidente Trump di voler ritirare le forze americane dalla Siria, il presidente turco ha iniziato l’azione “Fonte di pace”, un attacco contro le milizie curde dell’Unità di Protezione Popolare (YPG). Nonostante il parere contrario dell’ONU e della maggioranza dei Paesi occidentali, Erdoğan invade il nord-est della Siria, un’azione volta a contrastare – a detta del governo turco – la minaccia terroristica costituita dalle milizie curde in Siria. Dopo due tregue, concordate con Washington prima e con Mosca poi, il 28 ottobre le milizie curde lasciano la cosiddetta “safe zone”, una zona cuscinetto di circa 32 km oltre il confine siriano che resterà sotto il controllo congiunto di Ankara e Mosca.
Per molti, tuttavia, lo scopo principale dell’azione “Fonte di pace” è quello di impedire la creazione di una regione indipendente curda.
I curdi in Turchia, secondo un a recente stima, rappresenterebbero il 18,3% della popolazione turca, contando circa 14 milioni di persone. La situazione eccezionale creatasi dopo il fallito colpo di Stato del 2016 ha permesso al presidente turco di intraprendere azioni contro la minoranza curda, arrestando giornalisti, avvocati, attivisti, politici e oppositori di qualsiasi natura. Onur Erem, giornalista del quotidiano d’opposizione indipendente “Birgün”, si è occupato della questione curda in Turchia e ha sottolineato la grave manipolazione delle notizie e le pressioni del governo su giornali e operatori del settore.
Il presidente turco si è difeso dalle accuse di aver imprigionato centinaia di giornalisti per la loro attività, adducendo piuttosto al loro coinvolgimento con il tentato golpe o a legami con associazioni terroristiche.
Al di là dei proclami del governo turco, a Istanbul le manifestazioni per la libertà di stampa si sono moltiplicate. “La Repubblica”, il I marzo 2018, ha pubblicato una lettera firmata da 38 premi Nobel e indirizzata al presidente della Turchia Recep Tayyip Erdoğan . Nel testo si chiede al presidente uno sforzo per migliorare la situazione turca in merito alla libertà di stampa.
In riferimento all’attacco alla Siria da parte di Erdoğan del 9 ottobre 2019, esso non avrebbe nulla a che vedere con la lotta la terrorismo. Le ragioni sarebbero da ricercare nella volontà di impedire qualunque forma di autonomia della popolazione curda al confine con la Siria e nella necessità di aumentare i consensi interni, crollati anche a seguito della crisi economica, che ha portato a percepire come insostenibile l’ospitalità ai milioni di siriani rifugiati in Turchia. La zona cuscinetto che Erdoğan puntava ad ottenere – e ha ottenuto – avrebbe il duplice obiettivo di impedire che si creasse una regione autonoma a maggioranza curda e a creare un’area dove trasferire i profughi siriani presenti entro i confini turchi.
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