Matteo Messina Denaro per la giustizia è un fantasma, un ectoplasma che viene fuori soltanto dalle parole di quella cerchia di fedelissimi che lo proteggono e che intercettati finiscono con il tradire la presenza del super latitante dietro tutto ciò che riguarda le vicende di mafia del trapanese e, quantomeno in passato, anche a livello regionale, con particolare riferimento al 1991, periodo in cui con il gota di “cosa nostra” pianificò le stragi del ’92, per le quali è imputato nel processo attualmente in corso a Caltanissetta.
Uno dei punti di forza del fantasma, sembra essere la scaltrezza e la diffidenza che lo portano ad avvalersi di soggetti non legati da vincoli di appartenenza a “cosa nostra” o – quando non ne può fare a meno – limitandosi a quelli che da tantissimi anni hanno dimostrato di essere fedeli a lui, come in passato lo erano al padre. Non è infatti un caso se recenti operazioni antimafia hanno portato all’iscrizione al registro degli indagati di persone apparentemente al di fuori dell’organizzazione criminale. tolta la cerchia dei malavitosi fedelissimi, ecco che vengono fuori i nomi di medici, insegnanti, politici, imprenditori, che gli inquirenti legano a vario titolo al boss latitante.
Anche nell’ultima operazione portata a termine dai Carabinieri del Ros e del comando provinciale di Trapani, coordinati dalla DDA di Palermo, non sono mancate le sorprese. Tra i 25 indagati ritenuti, a vario titolo, fiancheggiatori e favoreggiatori della latitanza di Matteo Messina Denaro, oltre ad elementi di spicco di “cosa nostra”, parenti del boss e professionisti, le indagini hanno riguardato ex soggetti politici come l’ex consigliere comunale Franco Martino e l’ex deputato socialista all’Ars, Vincenzo Leone.
Fatti e nomi nuovi? Non tutti. È proprio leggendo qualche nome che ritorna in mente quello che un testimone raccontò agli inquirenti a proposito degli incontri tenutisi a Castelvetrano nell’autunno 1991, quando i vertici di “cosa nostra” e il suo gruppo criminale operativo che vedeva la presenza dei Graviano, dei Madonia, dei Lucchese etc, si riunivano per pianificare le stragi che l’anno successivo insanguinarono la Sicilia.
Un testimone che aveva dichiarato la propria disponibilità a raccontare degli incontri tenutisi a Castelvetrano, alla presenza di Matteo Messina Denaro, che avevano visto la partecipazione di soggetti politici. Un testimone che affermava di partecipato a quegli incontri e che sarebbe disposto a darne testimonianza. Un testimone che affermava che a Castelvetrano si erano tenuti i summit mafiosi, preludio delle stragi, con soggetti politici, confermando così quello che gridava Furnari Saverio a Pianosa prima di suicidarsi per essere stato tradito e abbandonato dai suoi sodali.
Chi erano questi soggetti politici? Qualche nome di quelli indicati dal nostro testimone risulta già dalle carte d’indagine ma tanti altri ancora mancano all’appello. Certo, allo stato si tratta d’indagini e non di prove di colpevolezza, ma la domanda viene spontanea: perché il nostro testimone, sentito dagli inquirenti, non è mai stato sentito dai magistrati di Caltanissetta, dove è in corso il processo a Matteo Messina Denaro? Fatti portati all’attenzione degli inquirenti ma che la magistratura non ha ritenuto di dover approfondire.
È un caso se le perquisizioni hanno riguardato anche quello che il testimone indicava come compartecipe degli incontri tenutisi a Castelvetrano dalla consorteria mafiosa di concerto con i politici? La pregevole attività ad oggi svolta dal Procuratore aggiunto Paolo Guido, potrebbe in futuro consentire una svolta alle indagini e, chissà, magari aggiungere alla già lunga lista degli indagati anche quei nomi che – già conosciuti dagli inquirenti che sentirono il testimone di quegli incontri – non sono stati attenzionati dalla magistratura nissena.
Gian J. Morici
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