Se c’è una giustizia sospettosa e incline a non farsi scrupoli di “pastoie” garantiste, “lottatrice” e “sgominatrice” del male, preoccupata di mostrare sempre la sua severità e di non fare sconti a nessuno, nemmeno agli innocenti, ce ne è un’altra, cioè, c’è un altro modo di comportarsi dello stesso apparato giudiziario che nei confronti di qualcuno, ed in certe occasioni, diventa distratta ed indulgente. E vi sono persino individui che hanno sbraitato invocando i fulmini di una giustizia senza troppi scrupoli e le hanno fornito materia sulla quale dare sfogo agli andazzi delle crociate giudiziarie che hanno poi conosciuto e conoscono (e ne godono) più che un inconsueto garantismo, una “distrazione” ed una clamorosa inconcludenza che ne fa dei privilegiati praticamente invulnerabili.
E’ il caso Agrigento. O, per essere più chiari, il caso Arnone Giuseppe, di anni 57 di professione (ahimè) avvocato.
Mi ero riproposto di fornire una statistica esatta delle sentenze e delle pendenze giudiziarie di questo singolare personaggio. Ma mi sono accorto, forse perché l’aritmetica non è mai stata il mio forte, che bisogna accontentarsi di dati parziali e di notizie confuse. Ma da anni certificati penali e “carichi pendenti” di questo indiscusso protagonista delle più sbracate vicende della Città di Agrigento degli anni a cavallo dei due secoli, hanno cominciato a riempirsi di numeri, date e dati. Una valanga impressionante.
Non è lontano il tempo in cui questo signore era ad Agrigento il simbolo di una giustizia irrompente, demolitrice di posizioni di potere. Era il “laico” della Procura della Repubblica. Lo chiamavano “Pepé Corrimprocura” perché così marcava il suo territorio su amministratori, politici, funzionari. Aggrediva chiunque non si piegasse alla sua supponenza, con esposti e denunzie. E con manifesti, discorsi, libri, in cui accuse di terribili reati si accavallavano. Ed in cui figurava una manchette: “E’ inutile che mi querelate, tanto mi assolvono”.
Con questo metodo di intimazione ha paralizzato opere pubbliche (che giacciono inutilizzate, monumenti di uno sciagurato timore reverenziale nei confronti del minaccioso personaggio).
Avvocato “ecologista”, padre-padrone di Legambiente, parte civile in qualsiasi processo di qualche risonanza mediatica, aggrediva gli avvocati avversari, dileggiandoli indecorosamente (di me disse alla stampa che ero rimbambito e, forse alcolizzato!!!! Perché avevo dichiarato il mio compiacimento per una assoluzione di un mio cliente da lui perseguitato).
Ad un certo punto, cambiati gli uomini negli Uffici Giudiziari e venuto fuori in Città qualcuno non disposto a farsi intimidire, alle prime condanne, anzi, ai primi processi che egli dovette subire per diffamazione si scatenò contro i magistrati accusandoli di ogni nefandezza, dileggiandoli personalmente con manifesti, striscioni, libri. Etc.
Nel contempo le sue velleità politiche (si era proclamato “sindaco in prospettiva” di Agrigento per i prossimi dieci anni) si sgonfiarono miseramente.
Per farla breve oggi Giuseppe Arnone ha collezionato più condanne, processi, denunzie e persino una richiesta di misure di prevenzione, più di quante cittadinanze onorarie si sia fatto conferire Di Matteo.
Ed eccoci al dunque.
E’ stato condannato varie volte (almeno 7-8) con sentenze passate in giudicato per reati di diffamazione con e senza il mezzo della stampa, ma anche per calunnia. Ed a pena detentiva senza condizionale.
Ha pendenti più di una cinquantina di procedimenti penali. Se le diffamazioni si sono ripetute in modo monotono, non sono mancate denunzie, procedimenti, condanne per calunnia (7-8) di cui una alla pena (senza condizionale) di un anno e quattro mesi. Ma figurano nell’elenco (un po’ confuso, in verità, anche se ve ne è uno fino al giugno 2016 redatto dalla Questura di Agrigento) estorsioni, minacce, lesioni, etc. etc.
Ora Arnone Giuseppe dovrebbe stare in carcere per la condanna per calunnia sopra ricordata, ad un anno e quattro mesi di reclusione. In attesa di altre. Ma il tempo passa e la richiesta di “affidamento in prova ai Servizi Sociali” pendente avanti al Tribunale di Palermo (giudice dell’esecuzione trattandosi di condanna di quella Corte d’Appello) da più di un anno, almeno, giace nel cassetto della giustizia palermitana, impegnata in ben altre imprese di archeologia e di storiografia giudiziaria.
Tutte le condanne per diffamazione, salvo forse una, malgrado la recidiva ultrareiterata e l’inaudita gravità degli impropri da lui usati sono state a pene di una mitezza commovente. L’affidamento “in prova” è del tutto impensabile, perché “la prova” della sua pericolosità Arnone la fornisce continuando imperterrito ad aggredire, diffamare, calunniare cittadini qualsiasi, ma anche magistrati, persino con striscioni avanti all’edificio del Tribunale.
La Questura di Agrigento ha persino avanzato una proposta di applicazione di misure di prevenzione (giugno 2016) che, dato il tempo trascorso, ho ragione di credere sia stata respinta. Sono notoriamente contrario alle misure di prevenzione, la cui sola ipotesi, nel caso, è grottesca, perché non c’è nulla da prevenire, dato che la serie dei delitti della stessa indole è ininterrotta e, a quanto par, inestinguibile.
“Dulcis in fundo”: Arnone Giuseppe, pregiudicato, calunniatore, plurimputato autore di sceneggiate indecorose, in costume da sceriffo del West a condimento di qualche sua operazione esibizionistico-professionale divenute argomento di sollazzo in tutta Italia, continua a fare l’avvocato.
Il Foro fa concorrenza alla Curia in fatto di distrazione e di indulgenze per antiche e recenti offese a quella che una volta era la “dignità professionale”.
Arnone è un privilegiato? Oppure la Giustizia ad Agrigento (e magari anche a Palermo!!!!) ha cambiato strada ed è divenuta ultragarantista?
Credo che il garantismo c’entri ben poco. Né credo, come i cultori delle dietrologie non mancano di sussurrare, che “chi sa cosa c’è dietro” questa prudenza ed indulgenza dei magistrati.
Il fatto è che quando la Giustizia mette da parte la bilancia per impugnare a due mani il suo spadone, diventa giustizia di lotta, si finisce col perdere il senso delle proporzioni, anzi, il buon senso.
Colpevolezza ed innocenza, delinquenza abituale e magari professionale e mancanza di effettiva pericolosità sociale si confondono.
Restano amici e nemici. Arnone è stato un “amico”, un “famigliare dell’Inquisizione”. E’ passato molto tempo, è mutato il suo ruolo. Sono mutati i magistrati. Ma è pur sempre un “reduce”, magari un “invalido” come dicono i Francesi. E qualcuno, magari ragiona così: chi me lo fa fare?
Mauro Mellini