Il tredici settembre il dott. Nino Di Matteo, Sostituto Procuratore Nazionale Antimafia, distaccato in trasferta per “bilocazione” a casa sua, a Palermo per seguire il processo c.d. della “Trattativa Stato-Mafia” ed alla importantissima indagine è stato ascoltato a sua richiesta dalla Commissione Parlamentare (che potremo, dopo il caso Giovanardi, chiamare più puntualmente “antiparlamentare”) presieduta da Rosy Bindi per “spiegare” come andarono le cose del depistaggio nel processo per l’assassinio di Borsellino e replicare alle accuse contro di lui ed altri magistrati lanciate da Fiammetta Borsellino in coincidenza con l’anniversario della morte del Padre.
Naturalmente il magistrato “bilocato”, il più scortato d’Italia e, soprattutto il più costoso, oltre che cittadino onorario di quasi cento città e villaggi (il più “cittadinato”), candidato Ministro della Giustizia in caso di vittoria dei Cinquestelle (facendo i debiti scongiuri) ha dichiarato che con il depistaggio delle indagini lui non c’entra. Ha però sorvolato, a quanto pare, sulla sua puntigliosa difesa del depistaggio in sede dibattimentale in base alle argomentazioni accolte dalla sentenza di condanna di innocenti, tale dichiarato in sede di revisione, che le ritrattazioni del pentito accusatore Scarantino erano, tutto sommato, una prova ulteriore della sua “attendibilità”, come “collaboratore di giustizia”, non come retrattore.
Di Matteo non era “imputato” né accusato. Era lì per replicare, con l’amplificazione dovuta alla sede così elevata, alle accuse della giovane Fiammetta, che gliele aveva cantate a piena voce. Avrebbe potuto rispondere che quello “passava il convento”.
Il sistema del pentitismo e della “attendibilità” dei pentiti intangibile ha già mandato all’ergastolo molta gente innocente, che non ha trovato nemmeno la fortuna alla possibilità di un giudizio di revisione. Mal comune mezzo gaudio. Ma questo per un Di Matteo, candidato Ministro, cittadino onorario di cento città, ovviamente non basta.
Non è questa però la sede in cui parliamo a fondo di tutto ciò. Quel che ci interessa è il “titolo” dell’intervento della Commissione Parlamentare Antimafia che non risulta abbia il compito, neppure tra quelli che si è attribuita da sé stessa, di “tutelare” l’illibatezza antimafia dei magistrati (non tutela nemmeno la libertà di esercizio della loro funzione dei suoi Membri).
Se, dunque, Di Matteo è andato lì a scaricare l’angoscia del suo cuore esacerbato dalle parole di Fiammetta Borsellino è stato per una sua particolare e personale fiducia nella funzione, nel caso, consolatoria dell’implicito (credo solo implicita, ma…) compiacimento della Bindi per il suo sproloquio autoincensatorio.
Una “procedura di tutela” di magistrati oggetto di azioni che ne potessero ledere la libertà e l’indipendenza, di attacchi calunniosi etc. era stata già inventata dal C.S.M. che si ritiene organo investito della funzione di garantire l’indipendenza dei magistrati. Tesi non proprio esatta, perché il C.S.M. è organo che ha specifiche funzioni amministrative strutturate in modo (che si ritiene) sia adatto a garantire tale indipendenza. Che è cosa diversa.
Ma, poiché la legge “impone” a chiunque certi obblighi e commina certe punizioni, c’è sempre, come diceva Alfredo Biondi, “chi è più chiunque degli altri”, così alla ordinaria difesa dell’indipendenza della libertà garantita dalla legge ed, a quanto pare, dal C.S.M., con le sue “procedure di tutela per i magistrati qualsiasi”, per un supermagistrato, “bilocato”, antimafia che più anti di così non si può, cittadino onorario di cento città c’è bisogno di una “supertutela”, assicurata da un organismo ad hoc, o che magari non c’entra proprio, che non debba curarsi di magistrati addetti a questioni edilizie e ad inchieste per reati comuni, ma dei magistrati antimafia ed, anzi di quelli superantimafia.
Qualcosa di speciale, una “supertutela” che, come la macchina superblindata antimina (a proposito, con la “bilocazione” quella costosissima macchina speciale la terrà a Roma o a Palermo?) lo distinguono dagli altri magistrati, non insigniti di onoranze e funzioni del genere. Chi meglio dell’Antimafia di Rosy Bindi? Quella che si è arrogata il compito di “censurare le liste elettorali”, al di sopra della legge e della sovranità popolare ben può confortare un supermagistrato e tutelarlo a dovere, in un momento di sconforto, da una Fiammetta Borsellino, la pettegola di Famiglia che gliele ha cantate come si deve.
Così la funzione crea l’organo e lo deforma. A fin di bene, naturalmente.
Mauro Mellini