All’alba di oggi, militari del Comando Provinciale della Guardia di Finanza di Reggio Calabria hanno eseguito, su disposizione della Direzione Distrettuale Antimafia di Reggio Calabria, nr. 07 provvedimenti di fermo di indiziati di delitto, nei confronti di imprenditori, professionisti, nonché nr. 30 perquisizioni locali nei confronti di soggetti operanti nel settore economico, imprenditoriale, politico e dirigenti pubblici, collegati, a vario titolo, ai predetti fermati, nonché il sequestro di patrimoni aziendali per un valore complessivo di circa €.34.000.000,00.
I provvedimenti, a firma del Proc. Capo Federico Cafiero De Raho e dei Sostituti Procuratori Rosario Ferracane, Giuseppe Lombardo, Luca Miceli e Stefano Musolino, hanno riguardato soggetti operanti nella cosiddetta “zona grigia”, a testimonianza dell’ormai assodata evoluzione dei sodalizi criminali che, utilizzando finemente ed in modo sistemico la fitta rete di entrature ed agganci anche nella P.A., sono in grado di condizionare l’economia e l’imprenditoria, già sofferenti per l’attuale congiuntura economica, tanto da far emergere un sistema criminale in grado di alterare gli equilibri della classe dirigente ed imprenditoriale della città.
La Procura reggina ha puntato la sua attenzione sulla redistribuzione dei punti vendita della grande distribuzione alimentare, all’esito dello stato di crisi della G. S.p.a. e del sequestro delle imprese riferibili agli imprenditori S. e C., concentrando, poi, l’indagine sulle attività coeve alla riapertura dell’importante centro commerciale villese. In particolare, è emerso come un connubio, strutturalmente organizzato, tra ndrangheta e professionisti, ha determinato le principali sorti dell’aggiudicazione dei predetti punti vendita, nonché la scelta dell’imprenditore della grande distribuzione alimentare che doveva avviare l’esercizio commerciale “food” nella Perla dello Stretto.
In particolare, le indagini eseguite dalle Fiamme Gialle reggine si sono soffermate, su due professionisti che, di fatto, hanno curato il riavviamento del centro commerciale villese e pilotato l’inserimento di una società, creata ad hoc e facente capo ad un noto imprenditore del settore, quale unico ipermercato destinato ad operarvi gettando le basi per una redistribuzione delle imprese del settore, dopo il vuoto lasciato dallo stato di crisi della G.D.M. S.p.a..
Fra questi, spicca il ruolo di noti professionisti reggini che, relazionandosi con una variegata platea di soggetti, hanno fattivamente contribuito alla riapertura della Perla dello Stretto, curandone anche gli aspetti prettamente autorizzativi, interagendo con esponenti della politica e della pubblica amministrazione.
Esemplificativo del potere intimidatorio – allo stesso tempo incontenibile e discreto – è la vicenda relativa all’imposizione ai commercianti “minori” della Perla dello Stretto di un contratto consortile deteriore dei loro interessi economici; ed infatti, mentre alcuni si sono piegati all’imposizione per evitare gravi conseguenze, l’unico commerciante che aveva osato opporsi aveva visto il suo esercizio commerciale distrutto dalle fiamme.
Ne è emersa una strutturata rete relazionale, governata da P. R., in grado di gestire un enorme potere di indirizzo sulle sorti delle principali attività economiche cittadine, enfatizzato dalla situazione di disoccupazione che emergenza è diventata cronico fattore di sottosviluppo. Un sistema asfissiante perché in grado di influenzare anche la pubblica amministrazione e la politica.
Le risultanze emerse dalle indagini hanno consentito di quantificare la mole dei capitali investiti nel presente “affare” che, solo per l’apertura dell’ipermercato presso il centro commerciale villese, si attestano sul valore di circa €.3.000.000,00. Le accuse contestate, a vario titolo, sono di associazione a delinquere di stampo mafioso, finalizzata anche all’intestazione fittizia ed all’estorsione.
Le aziende colpite dalla contestuali misure ablative del sequestro preventivo – fra cui anche l’applicazione di quanto previsto dall’art.12 quinquies della Legge 356 del 1992, in tema di intestazione fraudolenta di beni per eludere le disposizioni in materia di prevenzione patrimoniale – in quanto riconducibili alla diretta o indiretta gestione dei soggetti colpiti dal provvedimento restrittivo e pertanto “inquinate” dalla connivenza con gli interessi della criminalità organizzata.