Si potrebbe racchiudere in queste poche parole la storia di molti imprenditori che in passato hanno denunciato illeciti, vessazioni ed estorsioni da parte non solo della criminalità organizzata ma anche da chi occupa ruoli all’interno della pubblica amministrazione.
Un quadro allarmante che vede il nostro paese ai vertici delle statistiche europee in materia di corruzione.
Una situazione, quella vissuta dall’imprenditoria, che finisce con l’aprire le porte alle infiltrazioni mafiose, agevolando il ricorso all’usura o alla complicità, al favoreggiamento, al riciclaggio.
Come ha affermato lo scorso mese il procuratore nazionale antimafia, Franco Roberti, sempre più imprenditori oggi fanno affari con i clan.
Non più vittime assoggettate, bensì uno scambio “paritetico tra mafia e imprenditoria molto simile a quello che avviene tra il politico e il mafioso nei casi di voto di scambio” – sostiene il procuratore antimafia, che sottolinea come “chi non denuncia, chi nega anche l’innegabile, è sicuramente complice”.
Possiamo relegare al ruolo di “complici” solo quegli imprenditori che non denunciano le mafie, o lo stesso ruolo assumono quegli amministratori che partecipano alla gestione del malaffare all’interno delle istituzioni, che altro non sono se non la “faccia pulita” di un cancro che comunemente definiamo “mafia”?
Forse dovremmo iniziare a chiederci cos’è oggi la mafia e come vorremmo definire quel “sistema” che adotta gli stessi criteri nella gestione della cosa pubblica, anche quando non si è in presenza di infiltrazioni da parte della criminalità organizzata.
La cronaca racconta di centinaia di storie di imprenditori che denunciano, che si battono per il ripristino di una legalità che sembra sia diventata solo appannaggio di bocche buone per parole sterili, di convegni inutili.
E poi? E poi c’è la storia vera di chi ha denunciato, di chi non può più lavorare, di chi subisce le vendette, di chi partendo da un generico caso di malaffare mette sotto la lente degli inquirenti il cancro celato tra le pieghe del malfunzionamento della cosa pubblica: la mafia, o meglio nel nostro caso, la ‘ndrangheta!
La storia di Rolando Roberto, imprenditore edile di Ceresole, inizia quando nel 2008 una valanga procura danni per circa 150mila euro alla sua azienda.
Così come accade in presenza di questo genere di eventi, Rolando presentò la domanda di risarcimento alla Regione, attraverso i moduli del Comune, ottenendo in risposta che non c’erano i fondi.
Da quel momento iniziarono i suoi problemi con l’amministrazione di Ceresole. Infatti, nel 2010, l’imprenditore cominciò a denunciare ai carabinieri del paese del Parco nazionale del Gran Paradiso, le storie di alcuni appalti sospetti, facendo i nomi di soggetti ritenuti coinvolti.
Presero l’avvio le indagini da parte del Nucleo operativo di Ivrea e della Direzione distrettuale antimafia, che hanno portato in tribunale, nel mese di gennaio di quest’anno, l’ex vicesindaco del Comune montano Tiziana Uggetti e l’ex segretario comunale Antonino Battaglia, accusati di minacce aggravate dal metodo mafioso.
Il nome di Battaglia, era già venuto fuori a nel corso di un’operazione contro la ’ndrangheta, quando, nel giugno del 2011, venne arrestato nel corso dell’operazione che portò in carcere 150 persone.
Le intimidazioni nei confronti di Roberto Rolando si sono trasformate in un incubo senza fine. Al danno, quello causato dalla valanga del 2008, la beffa. Oltre i “danni collaterali”… Minacce, danneggiamenti, vessazioni di ogni genere. Decine le denunce presentate dall’imprenditore.
Un imprenditore che – come lui stesso dichiara – da quel momento in poi non ha più potuto lavorare nel proprio paese.
Estromesso da ogni singolo appalto pubblico, grazie ad affidamenti diretti o tramite procedure negoziate alle quali la sua azienda non veniva mai invitata, Rolando Roberto è un uomo molto provato da quello che gli è successo, ma ciò nonostante non si arrende.
Anche la sua estromissione dagli appalti pubblici, è finita nero su bianco nelle denunce che ha continuato a presentare.
Tanto che a seguito di ulteriori indagini affidate alla Guardia di Finanza, emergono nuovi elementi penalmente rilevanti in merito all’affidamento di lavori da parte del Comune di Ceresole Reale, che nel corso degli anni avrebbe favorito una cerchia ristretta di imprenditori, escludendo Rolando.
Una gestione della cosa pubblica, che – stando alle risultanze investigative – favoriva talune imprese, determinando l’annichilimento economico del Rolando, contro cui continuavano minacce e avvertimenti, l’ultimo dei quali il giorno di Capodanno, quando una sua pala meccanica venne danneggiata.
Un evento che in altre circostanze poteva essere ascritto all’opera di vandali imbecilli che avevano sfondato i finestrini del mezzo, ma che nel caso del nostro imprenditore potrebbero trovare un’altra chiave di lettura.
Diverse le opinioni in merito al fattaccio. C’è chi ritiene possibile sia stata esplosa una fucilata contro i finestrini del mezzo, chi pensa a un petardo, chi ad un sasso lanciato o a un colpo di bastone.
Senza entrare nel merito di quale sia stata la causa del danno – unico dato certo ed evidente – non si può che rimanere basiti dinanzi a teorie supportate non già da prove, quanto da ipotesi più o meno fantasiose, i cui autori a volte meriterebbero un attento studio da parte di un professore di psichiatria, come nel caso di chi ha avanzato persino la tesi del tappo di una bottiglia di spumante che avrebbe sfondato i vetri dell’automezzo.
E già, i due finestrini di entrambi i lati di una pala meccanica, sono così fragili e sottili da poter essere attraversati dal tappo di una bottiglia di spumante, stappata in occasione del Capodanno.
Una tesi che se provata potrebbe essere utilizzata per spiegare la strage del Bataclan, del 13 novembre a Parigi, come una serata di festeggiamenti e brindisi a base di champagne.
Sta di fatto che Roberto Rolando, nonostante goda della stima e dell’amicizia delle persone del suo paese – oltre che da quella di altri venuti a conoscenza della sua storia – oggi è un uomo solo, stanco e preoccupato per il suo futuro e per la sicurezza e il benessere dei propri affetti.
Ha ragione il procuratore nazionale antimafia quando afferma che “chi non denuncia, chi nega anche l’innegabile, è sicuramente complice”. Complice, come coloro che di fatto favoriscono questo sistema marcio, penalizzando ed osteggiando quegli imprenditori onesti che denunciano…
Rolando docet!
Gian J. Morici