Cantlie attacca USA e Regno Unito – « Il sangue della vergogna »
E’ appena uscito il numero 14 della pubblicazione dell’ISIS « Dabiq ». Lo Stato terrorista continua nella sua campagna di comunicazione. A parte gli articoli sugli attentati perpetrati a Bruxelles e di elogio a chi li ha portati a termine, ai fratelli musulmani ed altra propaganda ormai nota, riappare l’ostaggio britannico John Cantlie con una feroce tribuna dal titolo “Il sangue della vergogna”. E’ a firma sua ma non c’è nessuna immagine che mostri il reporter britannico rapito nel novembre 2012. Che lo stile sia il suo non è certo. Cantlie era già recentemente comparso in un ennesimo video come reporter da Mosul il 19 marzo scorso. Dimagrito, con lo stesso tono canzonatorio che non si può più interpretare dopo oltre 3 anni in mano ai terroristi.
Che l’abbia scritto lui o meno “Il sangue della vergogna” è un attacco agli Stati Uniti ed alla Gran Bretagna ed al loro rifiuto di trattare il rilascio dei prigionieri. “In una tardiva risposta alle esecuzioni dei miei ex compagni di prigionia l’anno scorso, l’America ha formalmente cambiato la sua politica riguardo ai riscatti per gli ostaggi”. Così inizia il testo firmato Cantlie che ricorda come la crisi degli ostaggi internazionali sia scoppiata sulle prime pagine dei giornali nel 2014.
Posto che sia Cantlie a scrivere, sostiene di saperne più di chiunque altro “su quanto successo dopo che l’ultimo europeo è tornato a casa”. Scrive di essere cambiato fisicamente e mentalmente e di aver cercato di buttarsi molte cose alle spalle “perché non si può vivere sempre nel passato”. Chi e come sia il “nuovo Cantlie” non possiamo saperlo. Di certo ci sono solo le linee scritte nell’articolo in cui l’America e la Gran Bretagna vengono accusate di cinismo perché lasciano morire i propri cittadini mentre “altri li riportano a casa”.
Foley ed altri ostaggi sarebbero stati decapitati perché le famiglie non hanno potuto trattare dimostrando una delle crisi più sanguinarie e peggio trattate dei tempi moderni e sempre Cantlie scrive che non si tratta solo di una sua impressione ma anche quella di altri giornalisti che avrebbero scritto in tal senso.
“Poiché la maggior parte dei paesi ha scelto di negoziare, ufficialmente o sotto banco, mantenere la linea dura che non accetta discussioni significa condannare i propri cittadini prigionieri alla morte”.
Secondo l’articolo i rapitori non controllano i passaporti per scegliere chi è meglio rapire ma catturano cittadini stranieri che si sono messi in posizioni difficili. L’ISIS non avrebbe bisogno dei soldi dei riscatti, anche se i mujahideen continuano a chiederli per rispettare un ordine dettato dal Corano.
Sembra che Cantlie abbia accesso ai media: “Qualche mese fa ho guardato con interesse un documentario di 27 minuti dal titolo ‘The Cost of Living’ – trasmesso lo scorso giungo su ABC Australia. Il presentatore del programma, Jonathan Holmes, intervistò uno dei miei ex compagni di prigionia, il francese Nicolas Henin. Nic era un tipo particolare ma apprezzai la sua compagnia perché era tranquillo e diceva cose bizzarre”.
Secondo Cantlie quando i quattro francesi sono rientrati sono stati accolti dai media come eroi di guerra. “Nic, come tutti gli altri prigionieri francesi, spagnoli, italiani, tedeschi e danesi sono tornati a casa grazie ad un po’ di moneta che il suo governo ha trovato nelle proprie tasche e che ha pagato tramite un ‘proxy’”.
Secondo quanto scritto, non ci sarebbe un contatto diretto tra il governo in questione e i rapitori ma il tutto passerebbe tramite un businessman. In questo modo, quando i paesi dichiarano di non aver pagato i ricattatori, non mentono. I prigionieri tornati in patria e riuniti alle famiglie in abbracci trasmessi dai media come piace al pubblico. “I governi pagano milioni società come Saatchi & Saatchi per ottenere un risultato di PR così positivo”. “Raffrontate tutto ciò alla rabbia ed all’amarezza pubbliche sgorgate alla scena dell’esecuzione di Foley il 18 agosto 2014”. Qualche riga sopra, l’articolo riporta la fallita trattativa di Diana Foley, fermata dalle autorità americane.
“Grande! Catturato il giorno di Thanksgiving, ucciso per il giorno di compleanno di mia mamma”, disse calmo poco prima di essere portato via. Il 94% degli americani seppe della morte di Foley. Secondo l’articolo la rabbia verso i mujahideen si è poi trasformata in rabbia verso i governi che non hanno trattato.
Gli omicidi sarebbero quindi la colpa dei politici britannici e americani che hanno risposto molto diversamente rispetto ai francesi e gli spagnoli, continua il testo che cita nuovamente la madre di Foley. “Ho visto alcuni e-mail tra i negoziatori dello Stato Islamico ed alcune famiglie americane all’epoca. La disperazione e le suppliche delle madri che chiedevano più tempo perché cercavano di facilitare la liberazione di prigionieri detenuti in “prigioni segrete” statunitensi in cambio dei loro figli erano terribili da leggere e dimostrano quanto poco abbia fatto o discusso il loro governo mentre le lancette dell’orologio giravano. Il giorno prima dell’uccisione di Steven Sotloff, sua madre stavano ancora cercando inutilmente di discutere con Obama della liberazione di Aafia Siddiqui in cambio della vita di Steven”.
Cantlie continua spiegando che le decisioni di Obama e Cameron di proibire alle famiglie di provare a discutere non ha impedito al Califfato di espandersi né a gruppi affiliati all’Isis nella Penisola del Sinai, in Afganistan, Pakistan, Yemen, Nigeria e Libia di dichiarare fedeltà al Califfato.
“Ricordo un’intervista che David Cameron ha rilasciato a Sky news in merito all’avvicinarsi della deadline per il britannico David Haines nell’agosto 2014. Sapeva, e lo sapeva al 100%, che David sarebbe stato decapitato come gli altri ma Cameron era così distaccato e fiero. ‘Non paghiamo alcun riscatto’ disse”.
Cita Philip Balboni, presidente del GlobalPost: “Abbiamo quattro giovani americani morti e tutti gli ostaggi europei sono vivi, tutti rientrati dalle loro famiglie. E’ una grande differenza. I governi USA e Britannico devono riflettere ai risultati e non soltanto alla semplice politica che possono mantenere e cercare di esserne fieri. Questo risultato non è buono e bisogna far meglio”.
“Il lavoro delle famiglie e dei sostenitori di Kassig, Sotloff, e Foley è stato inutile ma forse la mie parole indignate possono aiutare anche minimamente”. “Peter Kassig non era il tipo più facile col quale condividere la prigionia ma quando seppe che la sua ora stava arrivando diventò calmo e riflessivo. Pochi giorni prima della sua morte disse ‘Forse, dopo la mia morte, in qualche modo qualcosa di buono ne verrà fuori’. La sua morte e le morti degli altri hanno spinto l’America a cambiare. Ma lo spargimento del loro sangue avrebbe potuto essere così facilmente evitato”.
Così termina l’articolo del reporter britannico John Cantlie, ostaggio dell’Isis, del quale conosciamo così poco la vera sorte.
Si tratta ovviamente di un articolo di propaganda e che forse a riflettere sugli errori non dovrebbero essere le nazioni che hanno detto no ma tutti coloro che consentono ai propri concittadini di andare a rischiare la propria vita nel Califfato o in zone a rischio pagando poi riscatti che, nonostante ciò che dice Cantlie, finiscono con il finanziare il terrorismo.
Luisa Pace