Una volta che sia stato inventato un tipo di “scambio”, che sia possibile avere una determinata merce in cambio di un’altra, e, poi di una merce contro una moneta, in contanti o a credito, prima o poi si sviluppa un “sistema” di questi scambi. Nasce il “commercio”, l’insieme degli scambi, una delle basi dell’economia. Non esiste alcuna compravendita di merci più o meno essenziali e necessarie che non sia destinata a creare un “commercio”, con andamenti ascendenti e discendenti di valutazioni e di prezzi: il mercato.
Instaurato il sistema dello “scambio”, della compravendita, della “collaborazione” dei delinquenti con lo Stato (o ciò che tale si definisce) era inevitabile che si sviluppasse il “commercio” dei cosiddetti pentiti. Inizialmente la rarità del prodotto fece raggiungere prezzi elevatissimi delle “collaborazioni”.
Un cosiddetto “pentito”, collaboratore dell’operazione per la soppressione del personaggio politico Andreotti, fu “comprato”, cioè fu comprata la sua deposizione circa il famosissimo bacio tra Andreotti e Totò Riina, con la cifra (a credito) di tre miliardi. Tre miliardi, per fortuna non di euro (che ancora non c’erano) ma di lire non ancora troppo maltrattate dall’inflazione che, anche grazie a quelle operazioni, poi se ne “mangiò” un altro po’ di valore. Una bella sommetta, tuttavia. Ed un buon affare per l’”acquistato”, anche se, pare, al “pentito” fu versato un solo miliardo, rimanendo lo Stato “compratore” insolvente per due terzi del prezzo convenuto. “Patacca” contro “patacca”, “bufala contro bufala” si dirà.
Ma non si può dire che si trattasse di una vera truffa: “chi cerca trova”. Un magistrato “lottatore antimafia” trova sempre un pentito che faccia al suo caso. E quando la “bufala” (o “patacca”) è così evidente, non si può dire che “poi risultò” che c’era stata una truffa.
La singolarità del commercio dei pentiti (e di relativo “mercato”) sta in questo: si “prescinde” dalla qualità della merce. Anzi, a proclamarne e “dimostrarne” con mille artifizi (pseudo logico-giuridici) la qualità che non c’è, sono gli stessi acquirenti che si fanno in dovere di insorgere contro ogni tentativo di “delegittimazione” cioè di dimostrazione o semplice affermazione che hanno presa per buona della merce avariata. Così sono proprio dei magistrati a nascondere quello che in diritto commerciale si definisce il “vizio redibitorio”. Non si può dunque dire che i pentiti fasulli, ultrafasullissimi collaboratori di una presunta giustizia, siano dei truffatori, perché la gran parte di quell’attività, essenziale perché si possa parlare di truffa, l’”artificio ed il raggiro” non sono essi, ma sono proprio i magistrati, gli “acquirenti” che, altrimenti sarebbero i truffati, a porli in atto. Se ne dovrebbe dedurre, in verità, che tutto ciò non esclude la truffa, ma, semmai, comporti una diversa individuazione dei responsabili o corresponsabili (e delle parti lese). Ma non intendo affatto imbarcarmi in discettazioni giuridiche complesse e, soprattutto, pericolose.
Quel che però più specificamente viene fuori dal caso Salemi è la constatazione che, ogni volta che scambi e compravendite, divenute sistema, danno luogo ad un fenomeno da definire “commercio”, accanto ad esso se ne sviluppa uno illegale o, se vogliamo, ancora più illegale dell’altro.
Questo signor Salemi, un po’ grossolano come pentito, cioè abbastanza chiaramente falso (tranne che per chi si ostinò a volerlo a tutti i costi considerare “attendibile”) è uno che in affari ci sa fare benissimo. Quando era anche ufficialmente non ancora un pentito, riusciva a barcamenarsi, probabilmente facendo anche un po’ l’informatore, stando ai margini delle principali attività della mafia, facendo estorsioncelle (e queste anche durante il “pentimento”, ma i magistrati non ci trovarono nulla di male). Insomma nel campionario variegato e terribile di Cosa Nastra, Pasquale Salemi era l’esemplare magari non unico, ma raro, di uno “che si arrangiava”, che non godeva di alcun “rispetto” da parte dei sodali, continuamente “sotto accusa” perché non rispettava le regole.
Mafioso anomalo, è divenuto un pentito “esemplare” e tipico, nel senso che è l’esempio di quello che, quale che ne sia la “scorza”, è “dentro” un pentito.
Salemi è l’esempio di esercente di quel tipo di commercio abusivo che, in genere, si sviluppa a fianco di quello “ufficiale” che prospera legalmente: il commercio di quelli senza licenza, che non rilasciano ricevute, che vendono merce con i marchi contraffatti, che riescono a “piazzare” merce avariata, gli scarti.
Pentito “pataccaro” tuttavia “gradito” e “protetto” ed anche “legittimato”, proclamato (abbiamo visto con quali acrobazie) “attendibile” dei magistrati.
Apprendiamo oggi che dopo che la sua “collaborazione” era “esaurita” da decenni, continuava a fruire del “programma di protezione” e del relativo stipendio. Non quello pirandelliano e fasullo del suo concittadino regista “antimafia”, Musotto, ma di quello “vero”, se la verità può qualificare intrallazzi del genere. Per sé e per la famiglia ed anche per le “unioni di fatto”, magari false. Per le sue presunte “concubine”, che lo pagavano per essere fatte figurare tali.
C’era poi il traffico dei pentiti. Un traffico intenso e fiorente, se per esporne la situazione ad una sua complice (già rapinatrice…) c’era bisogno di un computer.
“Ci sono molti pentiti da vendere in Sardegna”. Sappiamo anche noi che la Sardegna viene designata come terra di “segrete” residenze di pentiti, magari calabro-piemontesi, come Varacalli. Ma che significa che i pentiti sono da vendere? E che significa che ce ne devono essere che “fruttino bei quattrini”?
Si tratta di “vendite” al solito “consumatore” di tali “merci”, cioè lo Stato? Lo Stato, per caso, si rivolge ad una specie di “appaltatore” o “mercante di carne umana” per reclutarne di nuovi? Ipotesi terribile, ma non da escludere senza i dovuti accertamenti. Oppure si parla di “vendite” a chi i pentiti li cerca per accopparli? O magari più che di “vendite” si tratta di ricatti ai pentiti di cui il gentiluomo può aver conosciuto la “segreta” residenza? Quale ricatto?
Sono interrogativi che definire “inquietanti” è un eufemismo. C’è da augurarsi che si tratti di ipotesi senza il minimo fondamento.
Potremmo vedere se qualche parlamentare meno distratto, magari il buon Capezzone, ne chieda conto ai Ministri. I quali, però non risponderebbero o risponderebbero ad altro che non a quel che loro venisse richiesto.
E si darebbe occasione all’on. Mattiello di protestare di nuovo perché certe curiosità “delegittimano” i pentiti. E, in realtà “delegittimano”, invece, i deputati demociotteschi che così dimostrano quello che sono.
Mauro Mellini