“Delle buone intenzioni è lastricata la via dell’Inferno”. Ed anche quella della devastazione del diritto.
Ed è una via tutt’altro che rettilinea, piena di giravolte, di inversioni di marcia, di trabocchetti e, quel che, in fondo, è il peggio, di divieti di sosta.
Doveva essere piena di buone intenzioni la G.I.P. di Catania, Gaetana Bernabò Distefano, che, messa di fronte ad una imputazione per “concorso esterno in associazione mafiosa” (a carico dell’editore Mario Ciancio Sanfilippo) ha pensato bene che fosse ora di piantarla con quella ipotesi di reato “giurisprudenziale” fondato sul concorso nongià di persone nel reato, ma di una persona con una figura di reato. Un concorso che, se c’è, dovrebbe comportare che si vada a far parte di una associazione e che, invece, si vuole consista in un fantomatico “concorso non partecipativo ad una compartecipazione”.
La brava giovane magistrata (che se, poi, tanto giovane non è non si adonterà se vogliamo immaginarla giovane) ha assolto il pervenuto perché il fatto (qualificato, appunto, come “concorso esterno”) “non è previsto dalla legge come reato”.
Insomma il “concorso esterno” non c’è, non nella condotta del Sig. Ciancio Sanfilippo, ma nel codice ed in nessuna altra legge dello Stato.
E’ quello che tanti (quanti ritengono che i principi del diritto sono una cosa seria) pensano, ma che quasi nessuno ha il coraggio di dire apertamente, a voce alta e, tanto più, in una sentenza. A rischio di essere considerato, appunto, “concorrente esterno”.
Ora la dott. Bernabò Distefano ha mostrato un certo coraggio ed ottime intenzioni (quelle di evitare baggianate giuridiche, per quanto generalmente accettate) negando che la legge preveda come reato il “concorso esterno”. Ma, preoccupata di non “strafare”, ha ritenuto di dover affermare, in sostanza, che “non è più previsto come reato”. Parrebbe che, a suo giudizio, lo sia stato in passato, sempre prescindendo, però dal codice e da una qualche legge dello Stato, in quanto “reato di creazione” per “l’intuizione (sic!!!) di Giovanni Falcone”. Reato che “potesse colpire la zona grigia della collusione”.
Senonché, aggiunge la giudicessa Gaetano Distefano, “il fenomeno è più delicato di quanto non si pensi” ed inoltre “ha avuto un evoluzione in negativo” (!?!?) che negli anni Ottanta non si poteva neppure prevedere”.
Così “l’intuizione creativa di fattispecie di reato” di Falcone, ottima allora, però era non tale da prevedere “future evoluzioni in negativo”, che oggi non comportano più che i fatti siano previsti come reato.
Conclusione: “coprire la zona grigia è compito oggi demandato al legislatore”. Che deve rimediare quando l’”intuito creativo” dei magistrati fa cilecca.
In altre parole, l’”intuizione” che si sostituisce alla legge penale, causa la “mancata previsione dell’evoluzione in negativo” è sostituita da un precetto d’ordine paracostituzionale che impone al legislatore di “coprire” la zona grigia rimasta scoperta “sarà allora compito dell’interpetre capire (!!??) se il comportamento del singolo individuo vada compreso nella figura dell’associato mafioso o meno”.
Ed aggiunge la Dottoressa che la mancata certezza della definizione del concorso esterno (che nessuna legge prevede, n.d.r.) non consente di sostenere l’accusa. Credo voglia dire che la fattispecie del concorso esterno (che peraltro non c’è perché le intuizioni dei magistrati non dovrebbero creare i reti) è, oltre tutto, una “fattispecie penale apparente”, una “non previsione di reato” poiché non descrive e circoscrive la condotta incriminata con sufficiente chiarezza.
Ecco dunque che la buona volontà del G.I.P. Catanese l’ha portata a cumulare, nel tentativo di non contraddire personaggi vivi e morti che hanno fatto del “concorso esterno” un articolo di fede, un dogma indiscutibile della religione dell’antimafia, una quantità di violazioni del buon senso e di principi fondamentali del diritto, costituzionale e penale, che fa dimenticare il merito della suddetta di aver disapplicato, finalmente, il “concorso esterno”.
Del resto una topica simile l’ha presa anche la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo sul caso Contrada, quando ha riconosciuto che il “concorso esterno” è un “reato giurisprudenziale” e che però, nel caso, era stato applicato per fatti commessi anteriormente a siffatta “creazione giurisprudenziale del reato”.
La dott. Bernabò, invece l’ha presa un po’ più, come si vuol dire, alla larga e, volendo salvare capra e cavoli, ha dato la stura a discorsi che, come diceva Belli, “so’ come le cerase”, una tira l’altra. E, se i discorsi sono cavolate deriva una certa equiparazione tra cavoli e cerase. Una visione nuova della botanica.
Ed anche del diritto.
Mauro Mellini