Il 14 dicembre i fanatici ultras “antimafia” di Palermo organizzarono a Roma una “oceanica” (100-120 persone) manifestazione di “sostegno” del P.M. Di Matteo e di “intimazione” al Presidente della Repubblica di andargli a “render omaggio” in quanto “condannato a morte” da Totò Riina o, forse, da Messina Denaro, con la famosissima “bomba comica” del bidone vuoto dell’esplosivo vagante per Palermo e dintorni. Carlo Caselli impossibilitato a presenziare, inviò un messaggio in cui definì “vergognosa” l’insinuazione di quelli che sostenevano che la storia dell’attentato fosse stata inventata per “puntellare” la baggianata giudiziaria del processo della c.d. “trattativa Stato-Mafia”.
Poiché mi risulta di essere stato il solo a scrivere a chiare lettere questa “insinuazione”, anche se condivisa da un po’ tutti gli Italiani di buon senso, avrei dovuto considerare rivolto a me personalmente l’invito a vergognarmi.
Pensavo a tutto ciò esaminando il materiale fornitomi per la battaglia, appena cominciata, sul caso del pentito Varacalli, assassino “delegato alle indagini” sul crimine da lui commesso e sul ruolo che in quella incredibile e vergognosa vicenda ha avuto anche lui, proprio Carlo Caselli.
L’esame di quella documentazione, ed in particolare le notizie di stampa, non smentite, sulla disinvolta “calata” a Cagliari di Caselli, che vi si era recato appositamente da Torino per “far fronte” al caso del “pentito” in forza della Procura Torinese, Rocco Varacalli scoperto assassino e calunniatore, mi avrebbe spinto, lì per lì, ricordando quell’anatema lanciatomi dall’illustre magistrato a dirgli: “dott. Caselli è lei che si dovrebbe vergognare”. Mi dispiaccio, di aver pensato ciò perché non si dovrebbe mai parlare a nessuno in questi termini.
Vergognarsi è, tutto sommato, un diritto personalissimo di chi, credente e non credente è capace di riconoscere i propri torti ed i propri peccati. Ed è una capacità che si ha o non si ha e che nessuno può imporci, costringendoci a farne professione, oppure negarcela anche solo facendo la voce grossa ed additandoci alla generale esecrazione.
Ma definire oggettivamente vergognoso l’intervento che allora Caselli ritenne di dover fare a Cagliari è indiscutibilmente lecito e, forse, doveroso. E, aggiungo io, se ho “insinuato” che a Palermo qualcuno abbia voluto “puntellare” un grottesco processo gridando all’imminente attentato dinamitardo al principale P.M. accusatore, ciò è avvenuto ed avviene perché troppo spesso ho dovuto prendere atto di comportamenti come quello allora tenuto da Carlo Caselli, preoccupato più dell’effetto “delegittimante” per un “pentito” la cui parola pare valesse la colpevolezza di circa centocinquanta suoi veri o presunti consociati a delinquere, che non di quella dell’esigenza che fosse fatta senza remore piena luce e severa giustizia su di un omicidio efferato e sui veri e propri delitti commessi da chi aveva delegato l’assassino a compiere le indagini sul suo crimine.
Si poteva leggere sui giornali dell’Isola di un “vertice” Caselli-Mura (Procuratore a Cagliari) e che il Magistrato Torinese “non aveva nascosto il proprio timore per il pentito nei guai a Cagliari” e che per Caselli “era indispensabile sapere che cosa stesse succedendo in Sardegna”.
Timore? Preoccupazione? Un magistrato, un P.M. onesto (si fa per dire: tutti i magistrati si presumono onesti) avrebbe dovuto compiacersi che un pentito, che non fosse tale e fosse invece un calunniatore, fosse stato scoperto e sbugiardato, così da poter evitare di concorrere, fidando sulle sue dichiarazioni, ad errori giudiziari. Preoccupato, semmai, che fosse veramente sbugiardato senza possibilità di equivoco. Questo, naturalmente, per la Giustizia, non per la “lotta”, o peggio.
Una prima domanda: Che cosa è andato a fare Caselli a Cagliari, che cosa è andato a dire al Procuratore Mura? Era suo dovere attendere l’esito del procedimento a carico del “collaboratore” senza interferire o lasciar intendere che avesse interferito. E ciò tanto più perché il Varacalli andava dichiarando che la Procura, per la quale aveva lavorato “lo aveva abbandonato”. Tipico modo mafioso di “invocare” aiuto dei boss.
Certo è che Varacalli da qualche Santo in Paradiso non deve essere stato del tutto dimenticato nelle sue intercessioni all’Altissimo, se, riconosciuto colpevole, se l’è cavata con il minimo della pena, malgrado l’efferatezza del delitto, i precedenti e la successiva, spregiudicata condotta. Ventidue anni per l’omicidio, il possesso ed il porto abusivo d’armi (di pistole). Andreotti, personaggio ben noto a Caselli, diceva che a pensar male si fa peccato, ma spesso ci si azzecca.
E, poi il fatto più incredibile: benché le sentenze nei due processi (quella a carico di Baldussu e quella a carico dello stesso Varacalli) hanno dato atto della falsificazione delle prove a carico dell’innocente Baldussu, nei confronti di Varacalli il P.M. ha omesso di procedere per calunnia. Questi era la principale e più grave preoccupazione di Caselli. E c’è, poi la mancata emissione di un mandato di cattura malgrado l’omicidio, i precedenti ed il comportamento callido e spregiudicato dopo l’assassinio affermati oramai da una sentenza.
Non c’è, per qualcuno da vergognarsi? Favorire a tal punto un assassino, dopo che era stato addirittura “delegato” a svolgere le indagini per il suo crimine e ne aveva approfittato per accusarne un innocente non è un tantino più vergognoso che sostenere che una bomba strombazzata per anni e mai esplosa, un esplosivo di cui tutti i pentiti parlano e di cui non c’è traccia, e un bidone irrimediabilmente vuoto siano stati sbandierati per puntellare una zoppicante, grottesca accusa sostenuta in un grottesco processo? E per farla passare per il più grave attacco alla mafia? E ciò quando per “puntellare” processi ed accuse fatte all’ingrosso i Procuratori corrono addirittura dai colleghi d’altre regioni!!
Caro dott. Caselli, io non ritengo davvero di aver ragione di vergognarmi. Veda Lei se può dire altrettanto. Vorrei, mi creda, poterglielo augurare.
Mauro Mellini