Alla fine ho visto la foto del bambino siriano morto.
Ho cercato di evitarla in tutti i modi, e considerate che lavoro in un’azienda dove queste immagini le produciamo e vendiamo, non è stato facile.
Non ho comprato il giornale, guardato siti web, evitato accuratamente twitter. Il telegiornale non lo guardo più da trent’anni.
E poi tac! un mio amico facebook la condivide e anche se l’ho vista per un millesimo di secondo ha bruciato la mia retina per sempre.
E anche il cuore.
Passato lo sgomento ho cercato di chiedermi cosa possiamo imparare da tutto questo.
Perché c’è sempre qualcosa da imparare, anche dalle tragedie.
E ho pensato: possiamo essere consapevoli.
Possiamo finalmente capire e far capire che a pochi metri da noi, praticamente nello stesso posto, c’è gente che combatte, muore, scappa, violenta, ha fame, e annega senza via di scampo come i topi.
Ho pensato che io, tu, i nostri vicini, il Governo, l’Europa, possiamo capire che tutto questo non è più possibile, e che dobbiamo fare qualcosa.
Qualsiasi cosa ma farla adesso. Subito. Ieri. Non domani.
Ho pensato che la morte così fotogenica di un piccolo bimbo possa essere la spinta per cambiare il nostro paradigma e riassegnare le priorità.
E poi, improvvisamente, mi sono reso conto che lo sapevamo anche prima.
Che di bambini morti ne abbiamo visti a milioni.
Che abbiamo continuato a mangiare e ruttare a tavola guardando distrattamente quello che passava perché, sticazzi, mica è un problema mio.
E non è cambiato niente.
Avrei fatto bene a non vederla, quella foto.
Rodocarda