“Antimafia” a Palermo, lo abbiamo scritto ripetutamente, è terzo livello mafioso. Nella sua versione “industriale” e “confindustriale” (imprese che vivono da parassite della Regione etc.). Terzo livello mafioso, dunque delinquenza.
Ma ora a delinquere ci si mette anche l’Antimafia Istituzionale. Nientemeno l’Antimafia, la Commissione Antimafia del Parlamento, presieduta da Rosy Bindi, che, con un documento che la stessa definisce idoneo ad “informare gli elettori per il voto”, indica certi candidati alle elezioni di domenica prossima come “in odore di mafia” ed ha compiuto un reato espressamente previsto dalla legge elettorale (art. 98). Reato che, poi, non è troppo diverso per struttura e finalità repressiva, dal reato tipicamente mafioso, quello previsto dall’art. 416 ter c.p.
Ma torniamo alla Bindi, alla Commissione Antimafia ed all’incredibile reato da essa compiuto con l’atto in cui, abusivamente intervenendo nella competizione elettorale, ha redatto un elenco di candidati da non votare domenica prossima.
E’ un delitto, non perseguibile, forse, per l’immunità parlamentare di cui godono deputati e senatori (tanto vilipesa e maltrattata dalla magistratura, dagli “Arrabbiati” antiparlamentari e “antipolitici” in circolazione ed alla moda di questi tempi). Non perseguibile a carico della stessa Rosy Bindi e di tutti i componenti della Commissione Parlamentare cosiddetta Antimafia, ma reato a tutti gli altri effetti e per l’esistenza di tutti gli altri elementi oggettivi e soggettivi necessari per qualificare così l’atto gravissimo compiuto.
Per la prima volta nella Storia dell’Italia Repubblicana e Regia a compiere un simile reato è il Parlamento, una sua Commissione.
Quando Giolitti, certamente uno dei più grandi (sul serio) statisti che abbia avuto il nostro Paese, interveniva (non manifestamente: si dirà, per ipocrisia. Ma l’ipocrisia è “l’omaggio che il vizio rende alla virtù”!!!) attraverso i Prefetti (allora tra i pochi organi periferici del Governo) nella competizione elettorale a favore dei candidati della sua parte e contro quelli d’opposizione, si prese da Gaetano Salvemini il soprannome di “ministro della malavita”.
Ma era il Ministro, il Governo. Mai era accaduto che fosse il Parlamento, sia pure (e ci mancherebbe altro!) “a fin di bene” ad intervenire abusivamente contro alcuni candidati. Lo fa oggi Rosy Bindi. Che, ovviamente, non intendiamo paragonare a Giolitti (nemmeno per quel che riguarda la leggiadria delle sembianze) e con lei la Commissione da lei presieduta. Che potremo però chiamare, “Commissione della malavita”.
Siamo ad un punto di non ritorno.
Certo possiamo riconoscere personalmente a Rosy Bindi l’attenuante di una scarsissima (ed anche nulla) comprensione dei termini della questione. Ma ad un reato “proprio” del pubblico ufficiale non può applicarsi l’esimente del “difetto di dolo” per mancanza di comprensione di quella che è la funzione affidatagli ed i doveri che ne derivino. (A meno che non si debba parlare di “incapacità di intendere e di volere” che è ben altra cosa da quella del dolo).
C’è dunque il reato, anche se non perseguibile per l’immunità parlamentare. E c’è una spaventosa violazione dei limiti delle funzioni istituzionali, fondamento delle libere istituzioni.
Potremo comportarci (anche noi) come Rosy Bindi, scrivere i nomi di tutti i “colpevoli”.
Ma quello che ha fatto e sta facendo è addirittura incredibile.
Mauro Mellini – www.giustiziagiusta.info