– Intervista a cura di Luisa Pace –
– Considerazioni e precisazioni a cura di Gian J. Morici –
Dopo la prima parte, nel corso della quale abbiamo parlato della carcerazione e delle accuse mosse a Bruno Contrada da parte di alcuni pentiti, pubblichiamo la seconda parte dell’intervista che la giornalista Luisa Pace ha fatto all’ex funzionario del SISDE. L’intervista, nei prossimi giorni, verrà pubblicata anche sul giornale LaRegione Ticino.
Tornano di grande attualità gli anni bui della storia italiana che portarono a quella trattativa Mafia-Stato che giorno dopo giorno sembra riservare sorprese – o presunte tali – inaspettate.
Ultima, in ordine di tempo, quella relativa ai rapporti che avrebbero legato l’ex ministro Calogero Mannino, l’ex capo del Ros Antonio Subranni e il maresciallo dei carabinieri Giuliano Guazzelli, ucciso nel ’92 ad Agrigento. Un ”asse – così è stato definito – tra Mannino, Subranni e Guazzelli” che entra a far parte del processo al generale Mario Mori e al colonnello Mauro Obinu.
Secondo l’accusa, Mannino, dopo l’uccisione dell’eurodeputato Dc Salvo Lima, temendo per la propria incolumità, avrebbe dato l’input ad avviare la trattativa per fermare le stragi. Subranni, tra le altre cose, dichiarò che Mannino si sarebbe rivolto al Ros dei carabinieri affinchè fosse dimostrata l’infondatezza delle accuse a lui rivolte e che dell’argomento parlarono anche con il maresciallo dei carabinieri Giuliano Guazzelli.
Un ”asse Mannino, Subranni e Guazzelli” che fa molto discutere, specie ad Agrigento dove il maresciallo Guazzelli era molto conosciuto ed apprezzato per la sua attività di contrasto alla mafia. In attesa di nuovi sviluppi della vicenda, ritorniamo alla storia di Contrada e a quello che parrebbe essere un errore commesso da un Magistrato al di sopra di ogni sospetto e dalle elevate qualità morali e professionali (Giovanni Falcone), partendo dalla Svizzera, paese, specie in quegli anni, al centro dei grandi traffici di valuta e delle operazioni di riciclaggio.
Luisa Pace: Andando avanti, un commento sull’operazione antidroga Vito Roberto Palazzolo?
Bruno Contrada: Di questo Vito Palazzolo non ricordo assolutamente di essermene mai occupato. Tra le migliaia di persone di cui mi sono occupato non posso ricordarmi di tutti… Di droga me ne sono molto occupato, insomma, ed io sono stato con l’ufficio naturalmente perché io non ero un investigatore privato, ero il capo di un organismo di polizia che operava in equipe. E il primo a scoprire i laboratori di droga a Palermo, laboratori allestiti dai mafiosi palermitani con i francesi con i marsigliesi. Ecco i rapporti con i chimici di Marsiglia quindi avevamo rapporti con la polizia di Marsiglia e di Parigi. Quelli di Marsiglia dipendevano dalla direzione della Sûreté di Parigi. Erano collegati, però venivano da Marsiglia quelli…e arrestammo 3 chimici francesi e scoprimmo 2 laboratori di droga: 1 a Villagrazia di Carini e l’altro a Trabia che erano stati impiantati dai mafiosi, dai componenti della mafia palermitana capeggiati da Gerlando Alberti con i chimici perché allora i mafiosi non erano ancora preparati a confezionare l’eroina, a trasformare la morfina base in eroina e quindi, si avvalevano dei chimici francesi. E questo fu nell’agosto del 1980, quando, secondo l’indagine fatta a mio carico nel processo, avrei dato il maggior contributo alla mafia. Un bel contributo, visto che nell’agosto del 1980, come capo della Criminalpol di Palermo, scoprii questi laboratori di droga…
Signor Contrada, veniamo alle indagini sul riciclaggio del denaro sulla tratta Sicilia-Svizzera, ossia Pizza connection con il coinvolgimento di Oliviero Tognoli, interrogato in Svizzera.
Sì, dissero pure che io lo feci scappare. Tenga presente che io non l’ho mai conosciuto.
Il Tognoli interrogato in Svizzera a mezzo rogatoria internazionale dal giudice Falcone e alla presenza del giudice Carla Del Ponte aveva detto di essere sfuggito alla cattura nell’aprile del 1984 grazie al fatto che lei lo aveva informato del suo imminente arresto…
No. Lui fu interrogato a verbale del Dott. Falcone l’8 maggio del 1988 e dichiarò al Dott. Falcone, Giudice Istruttore, e al Dott. Giuseppe Ayala, pubblico Ministero Sostituto Procuratore della Repubblica di Palermo, che erano andati per la rogatoria in Svizzera alla presenza del giudice istruttore svizzero del Canton Ticino Claudio Lehmann e della Dott.ssa Carla Del Ponte, che era stato il fratello Mauro a telefonargli all’albergo “Ponte” a Palermo dove lui si trovava quella mattina, se ricordo bene il 12 aprile 1984, dicendogli: “è venuta la polizia a cercarti questa mattina alle 7:00, hanno perquisito la villa”.
Siccome sapeva per quale motivo erano andati a cercarlo, lasciò l’albergo e si dette alla latitanza. Questa è la dichiarazione che ha fatto.
La vicenda Tognoli è veramente assurda perché aveva detto al commissario della polizia svizzera di essere stato aiutato, informato da un carissimo amico, dal suo intimo amico che era funzionario di polizia a Palermo, un suo compagno di scuola a Cefalù.
Oliviero Tognoli è nato nel 1951 ed io sono nato nel 1931, 20 anni di differenza. Quindi le scuole elementari e le scuole medie di cui parlava… quando io ero all’università lui era appena nato. Però questo funzionario di polizia amico Tognoli è poi uscito fuori. Si trattava del Dott. Cosimo Di Paola, funzionario di polizia alla questura di Palermo che poi fece il concorso come giudice amministrativo al TAR. Al mio processo, lo stesso ha dichiarato: “Io ero l’amico di Oliviero Tognoli non il Dott. Contrada”. Ci fu questo equivoco. Il Tognoli, nell’interrogatorio per rogatoria, fattogli da Falcone l’8 maggio del 1988, disse: “il mio amico era il Dott. Cosimo Di Paola e lui mi aveva messo sull’avviso, nel senso che mi aveva detto: Stai attento a questa amicizia che hai con Leonardo Greco perché questo è un mafioso”. Non è che gli aveva detto scappa perché domani mattina vengono ad arrestarti, No! Non aveva detto questo. L’aveva messo sull’avviso, l’aveva informato sull’inopportunità di questo rapporto che il suo amico Oliviero Tognoli aveva con il mafioso Leonardo Greco per conto del quale riciclava il danaro proveniente dal traffico della droga.
Poco dopo ci fu un articolo sul “Corriere del Ticino” sulla base di dichiarazioni di magistrati, del Dott. Lehmann, della segretaria di Lehmann, dell’avvocato di Tognoli che ha scritto pure un libro sull’argomento. E si chiarì tutto questo equivoco.
Il Dott. Cosimo Di Paola è venuto al mio processo e lo stesso Lehmann ha detto “ma il nome del Dott. Contrada non è che è stato fatto, fu fatto i nome di un certo Paolo perché lui non ricordava bene il cognome Di Paola”. Tognoli disse che non voleva dire il nome perché non voleva mettere nei guai il suo amico fraterno.
Questo il verbale del giudice istruttore della giurisdizione sottocenerina Lugano, dell’8 maggio 1989 rogatoria n. 174/88: “avanti giudice istruttore sostituto avvocato Claudio Lehmann (…) compare in qualità d’imputato Tognoli Oliviero…
Interrogato dichiara:
Prendo atto che vengo sentito nell’ambito della richiesta di assistenza giudiziaria internazionale nel 17-8 ottobre 1988 nell’uffici-o (min. 03:39) istruzione di Palermo nel procedimento penale contro Aiello Michelangelo (attualmente Palazzolo Vito Roberto ed altri), prendo altresì atto che il giudice istruttore ha autorizzato ai sensi dell’articolo 4 CEAG la presenza all’interrogatorio odierno delle seguenti persone: giudice istruttore di Palermo Dott. Giovanni Falcone; P.M. di Palermo Dott. Giuseppe Ayala ed è pure presente il difensore del sig. Tognoli Oliviero Avv. Franco Giannoni di Bellinzona.
Il giudice istruttore di Palermo mi specifica che la mia posizione per la legge italiana è quella di imputato di reato commesso ai sensi dell’art. 348 bis del codice di procedura penale, vengo pertanto avvertito che in tale qualità ho facoltà di rifiutarmi di rispondere.
Intendo rispondere alle domande che m verranno poste e conferma integralmente quanto dichiarato in data 3 febbraio 1989 in via rogatoriale e nell’ambito della medesima richiesta di assistenza a domanda risponde:
Nel precedente verbale ho parlato di informazioni fornitemi che mi hanno indotto ad eludere l’esecuzione del mandato di cattura nei miei confronti. A riguardo devo dire che nessuna informazione mi è stata fornita dalla magistratura mentre per quanto riguarda la polizia posso dire che conoscevo soltanto due funzionari di polizia a Palermo. Uno di essi era il Dott. Bruno Contrada che ho conosciuto negli uffici di una società dei cugini Prestigiacomo, uno di essi me lo presentò e parlammo del più e del meno ma non ho più avuto modo né di sentirlo né di incontrarlo.
L’altro funzionario di polizia di cui mi riservo di fornire il nome era un mio carissimo amico sin dall’adolescenza a Cefalù con cui ho studiato all’università, lui a Palermo ed io a Padova, e con cui avevo frequenti contatti. Detto funzionario una volta destinato alla questura di Palermo, dopo un periodo in cui prestò servizio a Padova, mi chiese se per caso avevo rapporti con Leonardo Greco che aveva visto come testimone al mio matrimonio (Leonardo Greco, mafioso, aveva fatto da testimone al matrimonio di Tognoli – ndr).
Alla mia risposta affermativa mi disse di tenermi alla larga dal personaggio perché c’erano gravi sospetti sul suo conto qual membro di associazione mafiosa. Preciso che quando il personaggio in questione mi fece queste avvertenze io già avevo esplicato per Leonardo Greco quell’attività della quale ho detto nel mio precedente verbale di interrogatorio. Tuttavia mi astenni dal parlarne al mio amico funzionario perché mi rendevo conto che gli avrei creato problemi data la sua attività istituzionale.
Il mio amico comunque mi invitò successivamente a troncare anche i rapporti commerciali con il Greco. Un paio di giorni prima del 12 aprile 1984 detto mio amico mi telefonò per comunicarmi che aveva avuto la impressione che le indagini su Leonardo Greco coinvolgevano anche la mia persona, osservandomi, che se questa impressione si fosse concretizzata mi avrebbe telefonato invitandomi pure a telefonargli io stesso qualora, a mia volta, avessi avuto notizie in tal senso. In questo caso mi precisò pure che sarebbe stato opportuno che venisse subito da me in modo da parlarne con il magistrato incaricato dell’inchiesta per chiarire la mia posizione.
Io mi resi conto che le cose volgevano al peggio nei miei confronti per cui avvertii i miei familiari di tenermi al corrente di ogni fatto straordinario che potesse riguardarmi. Per conto mio preferii andare in albergo quando mi recavo a Palermo onde evitare di essere rintracciato nei luoghi da me solitamente frequentati. Quella mattina, telefonicamente (12 aprile del 1984) mio fratello Mauro mi avvertì da casa, a Brescia, telefonandomi all’Hotel Ponte di Palermo, che si erano presentati diversi poliziotti nella sede dell’azienda ove io ho casa, per cui io dedussi immediatamente che era stato emesso un provvedimento di cattura nei miei confronti dato anche che mio fratello mi aveva informato che i poliziotti cercavano me. Ritenni opportuno, quindi, abbandonare in tutta fretta l’albergo dandomi così alla latitanza. Infatti i miei sospetti si rivelarono fondati in quanto appresi che era stato emesso un ordine di cattura nei miei confronti.
Preciso che le notizie sul coinvolgimento nel riciclaggio di danaro proveniente dal traffico di stupefacenti erano state date dalla stampa l’11 aprile 1984, cioè il giorno antecedente l’ordine di cattura nei miei confronti o meglio il giorno prima della mia fuga (…)
Domanda: Vuole fornire le generalità del funzionario di polizia suo amico cui si riferisce?
Risposta: Si, trattasi del mio amico Cosimo Di Paola che attualmente lavora, credo, nei tribunali amministrativi regionali TAR e che, comunque, non fa più parte della polizia.
Il giudice istruttore di Palermo Dott. Falcone fa richiesta che vengano trasmessi i verbali delle dichiarazioni rese dal sig. Tognoli all’autorità svizzera nel procedimento a suo carico. Il sig. Tognoli si dichiara d’accordo a tale trasmissione, a condizione che previa lettura di tutti i documenti da trasmettere da parte del suo difensore vengano stralciati i nominativi di persone da considerarsi terzi o coinvolti. Con l’accordo del giudice istruttore e con la posizione della relativa riserva di specialità. Letta, approvato e firmato.”
Tognoli, al momento dell’arresto aveva ammesso al funzionario di polizia svizzero Clemente Gioa di essere stato aiutato a fuggire dall’Italia grazie all’avvertimento di un amico poliziotto…
Il 25 gennaio del 1993, 1 mese dopo il mio arresto, Gioia dichiara all’autorità giudiziaria italiana: “Io andai a prelevare Tognoli all’aeroporto di Agno insieme all’ispettore Mazzacchi. Tognoli fu portato nei nostri uffici per le formalità di rito, non era presente il legale di fiducia. Parlando del più e del meno chiesi al Tognoli dove fosse stato in tutti quegli anni di latitanza e lui mi rispose che era stato prima a Catania, senza fare i nomi di chi lo aveva protetto, e successivamente nella zona di Milano in una villetta messa a disposizione da persone compiacenti ma anche in questo caso non fece alcun nome.
Mi disse che nella zona di Milano ebbe a ricevere un documento d’identità con il quale gli fu consentito di trovare rifugio all’estero in particolare alle Canarie. In quell’occasione non mi disse né da chi avesse ricevuto il documento né quali generalità fossero apposte sul documento stesso. Sempre nei nostri uffici, sapendo che il Tognoli era ricercato, soprattutto in Italia, gli chiesi come avesse fatto a sfuggire alla cattura e mi rispose che era stato avvisato per tempo, dell’emissione nei suoi confronti di un provvedimento restrittivo, da un mio pari grado italiano (Gioia era commissario, così come Di Paola) lasciandomi intendere che si trattava di un funzionario di polizia. All’epoca io avevo il grado di commissario, dice sempre Gioia. Tognoli non mi fece il nome del funzionario che gli consentì di sfuggire alla cattura. Tognoli non mi fece il nome del funzionario che gli consentì di sfuggire alla cattura. Quel giorno stesso Tognoli fu interrogato dalla Dott.ssa Del Ponte e in mia presenza e del suo legale di fiducia, e cioè l’avv. Gianoni Franco. Faccio presente che la costituzione di Tognoli assumeva per noi un significato molto importante nella svolta delle indagini sul riciclaggio, per cui la nostra attenzione era, soprattutto, rivota ad argomenti che potessero permetterci di far luce sulla ricostruzione dei movimenti bancari che legassero i personaggi come Tognoli alla mafia siciliana. Per cui conoscere o meno il nome dei funzionari o, comunque, di persone che avevano consentito la fuga dall’Italia del Tognoli almeno in quella prima fase non ci interessava più di tanto.
Diverso fu quando il Dott. Giovanni Falcone venuto appositamente a Lugano tramite rogatoria internazionale ci fece capire che per l’Italia poteva essere importante conoscere o scoprire chi avesse dato un aiuto a Tognoli al fine di permettergli ben 4 anni di latitanza.
Ricordo infatti che il Giudice Falcone, dopo l’interrogatorio che fece al Tognoli su rogatoria, non ricordo se avvenne dopo il primo o il secondo interrogatorio che fece a Lugano, il primo lo fece a febbraio a Lugano e il secondo a Maggio.
Si raccomandò con me di insistere con il Tognoli per fargli mettere a verbale il nome del funzionario che diede la notizia al Tognoli che sarebbe stato emesso nei suoi confronti un provvedimento restrittivo. Mi disse infatti che fuori verbale Tognoli – alla presenza anche della Dott.ssa del Ponte aveva detto che il funzionario che lo aveva avvisato dell’imminente cattura si chiamava Contrada etc. etc.
Poiché, in quel periodo era il mio ufficio a gestire Tognoli, nel senso che lo avevamo noi in custodia, il Dott. Falcone mi pregò di fargli mettere a verbale quanto riferitogli soltanto verbalmente. Il giudice Falcone mi fece capire che era molto importante per le sue indagini che il nome fosse messo a verbale e io gli dissi che avrei fatto di tutto per convincere il Tognoli. Faccio presente che il giudice Falcone mi riferì che il nome di Contrada il Tognoli lo aveva fatto dopo che era stato chiuso l’interrogatorio. Questo particolare lo ricordo bene perché il dott. Falcone precisò che soltanto a chiusura di verbale Tognoli si decise a fare quel nome.”
Questa è la dichiarazione di Gioia. Una deposizione che venne fatta ai giudici di Caltanissetta, alla quale non diedero alcuna importanza…
Inoltre, il fratello, Tognoli Mauro, all’udienza del 29 novembre 1994, al mio processo ha dichiarato:
“E telefonai all’hotel Ponte mi qualificai e dissi vorrei parlare con il Tognoli sono Mauro, vorrei parlare con il Tognoli sono Mauro. Dissi anche il nome e niente e poi me lo passarono: “Guarda che è stata qui la questura e vogliono parlare urgentemente con te”. Lui mi ha detto: “sì, va bene! Grazie!”.
Questa è la dichiarazione del fratello che lo avvertì che la polizia lo era andato a cercare a casa.
Quindi il fratello del Tognoli ammise di essere stato lui ad avvertirlo…
Poi c’è una cosa importante, l’articolo del Corriere del Ticino datato 9 agosto 1989, che riporta: “Il nome di Bruno Contrada non è stato fatto da Oliviero Tognoli lo sostiene anche l’avvocato. Questo nome è stato pronunciato per la prima volta dai magistrati italiani che hanno rivolto una serie di domande al bresciano circa il funzionario del SISDE. Una raffica di contestazioni precise che riguardavano i presunti rapporti tra i due. Oliviero Tognoli ha negato la circostanza ed a verbale è stato messo quanto da lui dichiarato. E così sui verbali d’interrogatorio sino ad ora redatti nel fascicolo giudiziario che sarà discusso il prossimo anno durante il processo che si terrà contro Oliviero Tognoli, non compare Bruno Contrada.
Il Giudice istruttore Lehmann interrogato il 28 febbraio 1994 dichiara: “ricordo anche che ad un certo momento (Tognoli) disse che l’informatore era un suo amico o ex compagno di studi. A domanda risponde: mi sembra che si trattasse di un certo Paolo, qualcosa del genere”.
Lui ricordava Paolo perché Tognoli aveva detto Di Paola. Lehmann non ricordava esattamente Di Paola.
Sono tutti concordi e lo stesso Di Paola lo conferma tutto: “Io sono l’amico… Contrada che c’entra? Contrada manco o conosce a questo Tognoli. Io sono il suo amico d’infanzia. Ho fatto gli studi con lui… eravamo compagni di banco. Abbiamo fatto tutte le scuole elementari e medie assieme a Cefalù”.
Eppure, il suo nome continuava a comparire nella vicenda della fuga del Tognoli dall’Italia…
A questo proposito, basta leggere quanto scrive la Camera dei Ricorsi Penali del Tribunale di Appello – della più alta autorità giudiziaria del Canton Ticino – sul ricorso del 30 gennaio 1991 presentato da Oliviero Tognoli n. CRP 19/91 del 31 marzo 1993, 31 marzo 1996:
“A questa CRP (Camera Ricorsi Penali) pare comunque inverosimile che tal o talaltro magistrato che ha controfirmato i verbali resi da Tognoli deponga poi attribuendo allo stesso Tognoli dichiarazioni diametralmente opposte a quelle verbalizzate. Sia la Corte di Cassazione e Revisione Penale che la Camera Ricorsi Penali hanno peraltro già ribadito l’inammissibilità processuale di simili tentativi di superare le garanzie formali legate a una deposizione debitamente verbalizzata mediante successive dichiarazioni del verbalizzante sul contenuto della deposizione da lui raccolta.
Se così non fosse la verbalizzazione stessa diverrebbe inutile bastarvi il ricordo dell’interrogante sul dire dell’interrogato, ciò che palesemente sarebbe meno affidabile dal verbale scritto controfirmato da entrambi”.
Insomma, l’autorità giudiziaria Svizzera dice che è inconcepibile che i giudici dicano una cosa diversa da un verbale che loro stessi hanno firmato e controfirmato.
Sì, perché il suo nome è venuto fuori a verbale chiuso…
No. Tognoli prima non voleva fare il nome del suo amico, non voleva metterlo nei guai e quindi voleva asciare il dubbio. Ma nella rogatoria dell’8 maggio 1989, quando l’avvocato gli ha detto “devi raccontare le cose come stanno perché tuo fratello Mauro non risponde di nessun reato avendoti avvertito che la polizia era venuta quella mattina a casa” si decide a dire le cose come stanno.
Lo stesso Di Paola non avrebbe commesso alcun reato, tant’è che l’avvocato riferendosi al Di Paola dice a Tognoli: “ma lui non è che ti ha detto fuggi, quindi non ha commesso il reato di favoreggiamento personale nei tuoi riguardi; lui ti ha soltanto avvertito di stare attento nel frequentare questa gentaglia. E ti ha avvertito dicendoti ‘guarda che ci sono indagini in corso e che tu li frequenti puoi rimanere coinvolto…”
Cosimo Di Paola non sapeva quello che effettivamente faceva Oliviero Tognoli, cioè che riciclava il danaro sporco di questa gente…
Perché dunque le autorità italiane tirano fuori il suo nome?
Il Dott. Falcone, tra febbraio e maggio del 1989 disse a varie persone che Tognoli aveva fatto il mio nome.
Tutto nasce da quando lui all’improvviso dice a Tognoli: “facciamo una scommessa noi due io ti faccio un nome e tu mi devi dire sì o no”. Tognoli, in difficoltà a fare il nome di Di Paola, non disse né sì né no. Fece un sorriso…
Falcone ce l’aveva con lei?
Col Dottore Falcone abbiamo avuto sempre un rapporti cordiali… Abbiamo avuto anche incontri fuori dai rapporti professionali. Abbiamo pranzato insieme, ci siamo trovati anche in qualche ricevimento in casa di comuni amici… Avevamo rapporti normali di educazione e di rispetto reciproco… ognuno nel proprio ruolo. Il Dott. Caponnetto dichiarò al processo che io non ero simpatico a Falcone, che non gli ispiravo fiducia… ma, dice sempre Caponnetto, “può darsi che era un fatto caratteriale, di antipatia personale ..”
Io non voglio parlare di quelli che non possono rispondere, che non possono obiettare… non faccio come tanta gente che è venuta al mio processo e che ha parlato a nome dei morti. Credo che quando stato detto al Dott. Falcone che Tognoli aveva parlato di uno che stava nella polizia ma era transitato in un’altra amministrazione, lui pensò a me… pensò a Contrada perché Cosimo Di Paola non lo conosceva e non sapeva dell’esistenza di un funzionario di polizia che aveva fatto un concorso e aveva lasciato la polizia per fare il concorso e vincerlo nella magistratura amministrativa….
Fin qui l’intervista della giornalista Pace a Bruno Contrada.
Se errare humanum est – e questo può valere per chi ha ritenuto in buona fede di individuare in un soggetto, anziché in un altro, un presunto favoreggiatore – alla luce di quanto appurato, anche grazie alle autorità elvetiche, perché a Caltanissetta non si tenne conto delle prove favorevoli al Contrada, quantomeno per il caso Tognoli?
Perchè l’ultima sentenza della cassazione, in data 10.05.2007, fa ancora riferimento a quella vicenda?
FINE SECONDA PARTE…..
© Riproduzione riservata
Luisa Pace, France Representative della European Journalist Network, membro del comitato dell’Association de la Presse Etrangère, giornalista free-lance molto apprezzata, scrive per diversi quotidiani e periodici svizzeri, italiani e francesi: La Regione Ticino, Focus In, La Révue Défense.