– Intervista a cura di Luisa Pace –
– Considerazioni e precisazioni a cura di Gian J. Morici –
Come avevamo già anticipato giorni addietro, iniziamo a pubblicare l’intervista al Dott. Bruno Contrada, ex 007 del SISDE, arrestato il 24 dicembre 1992 con l’accusa di concorso esterno in associazione di tipo mafioso e condannato a dieci anni di reclusione e tre di libertà vigilata.
Contrada, che ha espiato la pena, ha rilasciato per “La Valle dei Templi” una lunghissima intervista alla giornalista Luisa Pace*.
Visto l’argomento trattato e le numerose dichiarazioni rilasciate dal Dott. Contrada, volendo dare un’informazione quanto più possibile completa, proponiamo l’intervista suddividendola in diverse puntate.
Pace:
Chi era Bruno Contrada prima dell’arresto?
Contrada:
Sono stato 14 anni, dal 1962 al 1976, alla squadra mobile di Palermo. Gli ultimi 4 anni da dirigente dell’organismo di polizia cioè capo della squadra mobile. La squadra mobile è l’organismo di polizia giudiziaria della pubblica sicurezza per Palermo e la provincia di Palermo. Dal ’76 all’82 sono stato a capo del centro interprovinciale Criminalpol per la Sicilia Occidentale, cioè per le province della Sicilia Occidentale: Palermo, Trapani, Agrigento, Caltanissetta. Che cos’è la Criminalpol? E’ il centro di coordinamento delle operazioni della polizia criminale che riguarda anche la Sicilia occidentale. In questi 6 anni, per altri 6 mesi cioè dal luglio del 1979 al 1° febbraio del 1980, ho nuovamente retto interinalmente la squadra mobile dopo l’uccisione del capo della stessa, il dott. Giorgio Boris Giuliano.
Fui richiamato, a richiesta del Capo della Polizia, del Prefetto e del Questore di Palermo – Capo della Polizia Coronas, Prefetto di Palermo Di Giovanni e Questore di Palermo Epifanio – a dirigere la squadra mobile che era in crisi per l’uccisione del suo capo avvenuta il 21 luglio del 1979. A marzo del 1982 sono transitato dai ruoli della polizia di Stato ai servizi di sicurezza. Informazione e sicurezza ed esattamente al SISDE Servizio Informazioni per la Sicurezza Democratica. Il servizio segreto civile.
Nei ranghi del SISDE, sempre quale funzionario di polizia distaccato dal Ministero dell’Interno alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, sono stato 10 anni, dal marzo 1982 al dicembre del 1992, data del mio arresto. Nel corso dei 10 anni che sono stato al SISDE, ho continuato la mia attività: la lotta contro la criminalità organizzata. Ero uno dei pochi alti funzionari del SISDE con un’esperienza ultraventennale di lotta alla criminalità organizzata e soprattutto contro la Mafia siciliana: Cosa Nostra.
Pace:
Cosa accade poi?
Contrada:
Il 24 dicembre 1992 vengo arrestato in forza di un’ordinanza di custodia cautelare emessa dal GIP su richiesta della Procura della Repubblica di Palermo, firmata da 5 sostituti procuratori e vistata dal Procuratore Capo. Condannato a 10 anni di reclusione, ne ho scontati 8 perché per due mi è stata data la liberazione anticipata in base alle leggi vigenti in Italia: 45 giorni ogni semestre per buona condotta. Ho finito di espiare la pena l’11 ottobre scorso. Circa la metà della pena trascorsa in regime di detenzione carceraria, in carcere militare, e l’altra metà in detenzione domiciliare, ma sempre in detenzione.
Pace:
È stato dunque anche in un carcere militare….
Contrada:
Sì, in detenzione preventiva.
31 mesi e 7 giorni che sono stati conteggiati poi nell’espiazione della pena.
Ho fatto 2 anni, sette mesi e sette giorni di custodia cautelare. Una cosa un po’ anomala una custodia cautelare così lunga… dal 24 dicembre 1992 fino al 14 aprile 1994 a Forte Boccea a Roma poi, siccome il 14 aprile del 1994 iniziava il processo a mio carico a Palermo, sono stato trasferito al carcere militare di Palermo in Corso Pisani, dove sono rimasto fino al 31 luglio 1995. A Palermo, il carcere militare – che nel periodo borbonico era il manicomio di Palermo – era stato dismesso già da qualche anno ed è stato riaperto esclusivamente per me.
Per non darmi la libertà è stata riaperta una parte del carcere militare con una sola cella ed inviato del personale militare di custodia esclusivamente per me… 1 ufficiale, 3 sottoufficiali e 24 caporali vigilatori adibiti alla mia custodia carceraria.
La mia vicenda giudiziaria è iniziata 20 anni fa ed è terminata da un punto di vista giudiziale, perché da un punto di vista umano continua. È chiaro ed evidente che durerà fino a che io sarò su questa terra.
Pace:
Una vicenda giudiziaria scaturita dalle accuse di alcuni pentiti…
Contrada:
Il primo fu Gaspare Mutolo, ottobre 1992. Lui enuncia accuse a mio carico il 26 ottobre del 1992. Mi accusa di determinati fatti che adesso le chiarisco. Questo individuo è stato uno dei criminali mafiosi che io ho più perseguito nella mia attività professionale a Palermo. E a questo punto devo fare un inciso, devo dire quale era la mia attività professionale a Palermo.
Ho più volte svolto indagini sul suo conto, l’ho arrestato per vari reati e fatto condannare. Una condanna che lui ha espiato a 9 anni per tutta una serie di estorsioni; lo avevo anche arrestato e denunciato per l’omicidio di un agente della Polizia di Stato. Un ragazzo di 20 anni, napoletano come me… un ragazzo a cui tenevo moltissimo….
Però da questa imputazione fu assolto e nell’occasione fu anche assolto per associazione mafiosa in un processo che aveva subito nella seconda metà degli anni settanta ed esattamente nel 1977. Fu assolto per insufficienza di prove dallo stesso magistrato che poi ha condannato me, stabilendo nella sentenza che io ero amico di questo mafioso…
Pace:
Cosa pensa abbia spinto i pentiti a fare il suo nome?
Contrada:
Gaspare Mutolo lo ha fatto per vendicarsi di quello che io gli avevo fatto in 14 anni di carriera. Poi, come è avvenuto anche in altri casi, i pentiti sono come le ciliegie una tira l’altra…
Successivamente è intervenuto un altro pentito che era nella stessa sede protetta di Gaspare Mutolo: Pino Marchese, un killer della mafia cosiddetta reggente dei corleonesi capeggiata da Totò Riina.
Un giovane killer il quale stava scontando una condanna all’ergastolo per una strage e un’altra condanna all’ergastolo o a trent’anni, questo non lo ricordo bene, per l’omicidio di un altro mafioso che era compagno suo di cella e che lui uccise a colpi di bistecchiera in testa mentre dormiva.
Pace:
Secondo lei a dare la stura alle accuse fu Mutolo.. Non ci possono essere delle connivenze a monte che abbiano spinto il primo pentito a lanciarsi nelle accuse?
Contrada:
Mutolo ce l’aveva con me, anche perché era convinto che io avessi dato ordine ai miei uomini di sparargli addosso a vista, per l’odio che nutrivo verso di lui, visto che lo ritenevo responsabile dell’uccisione di un agente di polizia mio dipendente a cui tenevo moltissimo. E la combinazione volle che per ben 3 volte uomini della squadra mobile sparassero contro Mutolo.
Le accuse di Mutolo si potevano smontare con pochi giorni di indagini. Non c’era neanche la necessità di arrestarmi e si poteva accertare che diceva delle cose non vere. Come è risultato dal processo, anche dalla sentenza della Corte d’appello che poi mi ha condannato, che ha confermato che le accuse di Mutolo erano infondate.
Tutte queste cose le ho spiegate per bene nel mio libro…
Secondo la Corte Suprema di Cassazione, che per ultima ha emesso la sentenza di condanna nei suoi confronti, lei avrebbe intrattenuto rapporti amichevoli, detto tra virgolette, con personaggi di spicco di Cosa Nostra. Secondo i giudici che l’hanno condannata lei, durante quegli anni, aveva visto cadere sotto il fuoco della Mafia anche colleghi col quale aveva collaborato e poi si era ritrovato in uno stato di timore e irretimento. Il tutto in un periodo di guerra tra opposte famiglie di mafia, durante il quale lei subisce delle minacce e si prospetta un allontanamento da Palermo a salvaguardia della sua incolumità. Lei decide di rimanere, salvo – come affermato dai giudici – consegnarsi poi a Cosa Nostra per evitare ritorsioni…
Contrada:
Nella sentenza di condanna dell’aprile 1996, della quinta sezione penale del tribunale di Palermo, il Presidente era Ingargiola, il magistrato che aveva assolto Gaspare Mutolo e il suo capocosca, il suo capofamiglia… il Presidente Ingargiola è lo stesso magistrato che mi ha condannato dicendo che io ero amico di questi due soggetti…
In appello sono stato assolto dalla seconda sezione della Corte d’Appello di Palermo nel maggio 2001 con la motivazione che il fatto non sussiste, cioè con formula piena.
Io ho operato in anni in cui non esistevano altre fonti informative per chi operava contro il crimine organizzato se non i confidenti di polizia. Strumenti che sotto tutte le latitudini e in qualsiasi epoca sono sempre stati utilizzati dagli organi di polizia di tutto il mondo. Noi non avevamo la sfera di cristallo per sapere chi erano gli autori dei vari delitti o conoscere i nomi dei componenti delle varie famiglie di mafia… Operavamo sia con le indagini tradizionali, interrogatori, pedinamenti e così via, ma anche con i confidenti. Confidenti in quali ambienti? Non certo delle orsoline o delle dame di carità o dei monasteri di clausura. Degli ambienti della criminalità, comune, per i reati comuni, appartenenti alla mafia o collegati alla mafia per i reati di mafia.
Io sono stato uno dei funzionari di polizia, uno degli ufficiali di polizia giudiziaria che ha sempre ritenuto di non dovere avere come confidenti i capi della mafia… gli alti esponenti della mafia, perché ho sempre pensato che era molto pericoloso, e non soltanto per l’incolumità personale, perché si veniva poi anche strumentalizzati da questi che per combattere i loro avversari…
Per avere delle informazioni nel campo della mafia mi avvalevo di confidenti, di delatori, che erano comunque legati alla mafia ma non erano esponenti di primo piano.
Nella sentenza di condanna, non hanno detto per quale motivo io sarei stato colluso con la mafia… non hanno stabilito il movente…. Al termine della sentenza, anche se la cosa può sembrare dal punto di vista giuridico un assurdo, si afferma che non è necessario stabilire per quale motivo io, dal mio comportamento di strenuo combattente contro la mafia, di strenuo avversario della mafia, sarei passato a favorirla…
Pace:
Lei ha ricevuto degli encomi…
Contrada:
Io ero uno dei più premiati … 50 o 60 riconoscimenti nella Polizia di Stato e un centinaio nei Servizi di Sicurezza. Ho avuto tanti riconoscimenti, encomi, elogi, parole di lode, gratifiche per operazioni di notevole importanza contro la mafia. Ho avuto promozioni, ho svolto la carriera sino a raggiungere il grado più elevato di dirigente generale della Polizia di Stato; da vice commissario ho attraversato 10 gradi e dopo 10 gradi sono arrivato a dirigente generale, il grado più elevato della Polizia di Stato. Nella condanna hanno escluso che la collusione fosse avvenuta per danaro….hanno escluso il movente di corruttela. Non sono stato accusato di atti di corruzione, di essere corrotto… né avrei ceduto per paura, perché avevo dato prova di non aver avuto mai paura o per lo meno di aver avuto sempre il timore di poter essere colpito, ma di aver saputo superare questa paura. Nel senso che ho ritenuto che il pericolo era connesso con l’attività che svolgevo. Non è che non temevo, a me piaceva combattere il crimine organizzato… e poi c’era anche l’orgoglio, no? C’era anche l’ambizione professionale di fare carriera…vari motivi per i quali non volevo fuggire dinanzi al pericolo. Mi sembra che sia umano tutto questo, no?
Poi, ad un certo punto, dopo qualche anno di permanenza a Palermo se io avessi avuto paura potevo farmi trasferire nella mia città a Napoli o andarmene nella tranquilla Toscana o nella verde Umbria.
Se, come si è detto, mi fossi appoggiato a qualche capomafia in piena guerra all’interno di Cosa Nostra, sarei stato ucciso non una ma cento volte…
FINE PRIMA PARTE…..
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Luisa Pace, France Representative della European Journalist Network, membro del comitato dell’Association de la Presse Etrangère, giornalista free-lance molto apprezzata, scrive per diversi quotidiani e periodici svizzeri, italiani e francesi.
Leggo su Wikipedia che è stato condannato per concorso esterno in associazione mafiosa per un tempo in cui questo reato ancora non esisteva! Basta questo fatto per convincersi dell’accanimento contro di lui.
Più che di accanimento parlerei di un vero e proprio disegno mirato a costruire nuovi equilibri, dei quali Contrada non avrebbe fatto parte…