Nata dalle due famiglie newyorkesi Bonanno-Gambino, la Sesta Famiglia dei Rizzuto ha fatto presto ad arrivare ai vertici della mafia canadese. Padroni dei traffici di droga e pronti ad entrare nel mondo della grande imprenditoria internazionale (è risaputo che avevano interessi alla realizzazione del Ponte sullo Stretto di Messina e altre grandi opere infrastrutturali in altre nazioni), in un momento di particolare debolezza a causa di numerose azioni di polizia che hanno falcidiato il clan, i Rizzuto si sono ritrovati a dover fronteggiare una guerra di mafia che gli ha inflitto dure perdite.
Non ultima, ma sicuramente tra le più eccellenti, quella di Nicolò (Nicola) Rizzuto, anziano patriarca della famiglia mafiosa,, ucciso all’interno della sua abitazione da un sicario che lo ha freddato con un solo colpo, dinanzi gli occhi della moglie e della figlia.
Molte le ipotesi sul conflitto di mafia. Da quelle sul regolamento di conti con le ‘ndrine calabresi (che avevano perso il controllo di Montreal in una precedente guerra di mafia), al coinvolgimento delle famiglie newyorkesi, che coinvolte nel traffico di eroina gestito dai Rizzuto con il clan Caruana-Cuntrera, sarebbero oggi più interessate al mercato più vasto della cocaina, al commercio della quale sono dedite le ‘ndrine calabresi.
Ipotesi che troverebbero parecchie conferme indiziarie, ma nessuna prova reale che a voler decretare la fine della Sesta Famiglia sia la Ndrangheta con la complicità delle cinque famiglie newyorkesi.
E come già accade in altri posti, anche in Canada si potrebbe assistere ad un sodalizio tra mafie tradizionali (Cosa Nostra, Camorra e ‘Ndrangheta) e criminalità locale, che porterebbe alla nascita di nuove formazioni che controllino i territori ripartendosi gli utili.
Un esempio di sodalizio mafioso, che vede la partecipazione delle quattro mafie italiane tradizionali, è quello di Fondi, dove non c’è resistenza e gli affari si fanno tutti insieme.
Nel Quebec canadese invece, la resistenza dei Rizzuto avrebbe portato agli spargimenti di sangue di questi ultimi anni.
Ad oggi responsabili accertati di episodi criminosi in danno dei Rizzuto, sarebbero i tre imputati – che hanno già confessato – del processo tenutosi ieri a Montreal per l’attentato incendiario in danno dell’agenzia di pompe funebri di proprietà della moglie di Vito Rizzuto, Giovanna Cammalleri, e sua sorella, Maria Renda.
Dei tre imputati, Alexandre Toualy, Southone Chareunsouk, Julien Bourassa-Richer (quest’ultimo avrebbe ammesso la propria colpevolezza solo dopo essersi assicurato che la pena massima prevista è di soli 7 anni e non di 14 come riteneva), l’unico per il quale è accertato un rapporto organico con la criminalità organizzata, è Chareunsouk, con precedenti per spaccio di droga e rapina a mano armata, il quale è accusato di far parte di una gang di strada affiliata ai Crips.
I tre vennero arrestati subito dopo l’attentato incendiario, a pochi isolati di distanza dalla sede dell’agenzia funebre, grazie all’allarme dato da un poliziotto fuori servizio che aveva visto Toualy e Chareunsouk fuggire dal luogo dell’attentato.
Nulla è emerso ieri durante il dibattito processuale sulle ragioni dell’incendio doloso, così come quasi nulla era emerso dagli interrogatori dei proprietari di bar italiani andati a fuoco tra il 2009 e il 2011, i quali avevano orientato gli inquirenti indicando quali presunti responsabili i tossicodipendenti della zona.
Un’ipotesi poco credibile nel caso dell’incendio appiccato all’azienda dei Rizzuto, visto che avvenne a distanza di poche settimane dall’omicidio del vecchio patriarca.
Più un segnale lanciato agli altri componenti del clan, che il gesto compiuto da balordi in danno di una famiglia mafiosa contro la quale nessuno si sarebbe messo.
L’ipotesi più probabile è quella del coinvolgimento di appartenenti alle gang di strada, per tentare di sconfiggere definitivamente il clan dei Rizzuto, senza che emerga il vero volto dei mandanti di una guerra di mafia che a breve potrebbe divampare ancor più violenta, quando in autunno uscirà dal carcere il capomafia Vito Rizzuto.
Gian J. Morici