“Più cultura, più coraggio, più libertà“ questo l’omaggio che si è voluto tributare ieri sera al Teatro Della Posta Vecchia di Agrigento con la proiezione del film “Il piacere e l’amore” di Nuri Bilge Ceylan (Turchia, 2007) e il documentario inedito “Pasolini e la forma della città” (sull’edilizia del cemento e la tutela del paesaggio). Il film turco non è da confondere con l’omonimo del 1950 di Max Ophuls o con il rifacimento che ne fece Vadim. Questo “Il piacere e l’amore” di Ceylan è del 2006, premiato a Cannes dove allora il regista si affermò come “l’Antonioni turco”, è la storia di una coppia, lui docente universitario lei produttrice televisiva. Lei è depressa, lui la lascia per riallacciare una vecchia relazione con un’altra donna. Si divorano con violenza tra divano e pavimento e bruciano il rapporto, lei con una risata isterica e lui nello scontento amaro. I personaggi sono immersi e incastonati in un paesaggio turco fotografato e ricercato nelle location in maniera elegiaca tanto da assurgere, nel clima invernale che scandisce la fine del film, a un ruolo preponderante che segna la storia della coppia e risarcisce dei dialoghi talora banali. In perfetta sintonia col dibattito in corso sul nostro centro storico, il documentario di Pasolini e la forma della città, qui in dettaglio su Orte, cittadina medievale e Sabaudia dalla preponderante architettura fascista. Non è un caso che proprio ad Orte, Pasolini aveva acquistato una antica torre dove si fece fotografare seminudo da Dino Pedriali mentre a Sabaudia aveva insieme a Moravia acquistato una villetta sulla spiaggia. Nel documentario Pasolini racconta il paesaggio a Ninetto Davoli che gli sta accanto, contrapponendo l’armonia del paesaggio viterbese con quello di Sabaudia dove vengono individuate le apparizioni stridenti di manufatti e grattacieli. Ne viene fuori una bella lezione di criterio estetico senza il rispetto della conformazione del paesaggio. I due film sono stati presentati da Beniamino Biondi, critico cinematografico e saggista agrigentino che da qualche tempo ormai si è intestata una lodevole e coraggiosa” intrapresa” contro” la falsa cultura che ostacola la civiltà”. Così titolava “Grandangolo” l’ultimo articolo scritto da Biondi che ieri sera è tornato alla carica entusiasmando l’uditorio in un discorso di “amministrazione culturale” che ad Agrigento langue e non viene neanche discussa o interpretata dai candidati sindaco. “È avvilente constatare – ha esordito Biondi – come il Teatro della Posta Vecchia, luogo storico della città di Agrigento, abbia visto miseramente mancate le promesse della Fondazione Pirandello per una convenzione organica e per l’esborso di una piccola somma di denaro che consentisse la produzione di alcuni spettacoli di teatro contemporaneo. Mancando non ad una promessa personale ma al dovere di un’istituzione pubblica, la Fondazione Pirandello ha dimostrato totale incompetenza e disprezzo per la cultura cittadina – e in ciò non si comprende affatto il ruolo di questo ente -, deficitando miseramente su una gestione di reale qualità che ha escluso talenti e non ha coltivato alcuna idea.” Biondi, infatti ritiene che come teatro alternativo e diffuso, la Posta Vecchia dovrebbe rappresentare il momento centrale di una cultura teatrale post-pirandelliana che avvicini i più giovani al rito sociale del teatro prevedendo e sostenendo rassegne cinematografiche d’autore, laboratori di drammaturgia, scuole d’attori, produzione teatrale, editoria, etc.” Più che al grande evento, costoso e spesso inutile e culturalmente inefficace, si dovrebbe celebrare Pirandello riportando il teatro alla sua funzione di cultura e non di spettacolo o intrattenimento, coinvolgendo scuole ed università, convenzionando le realtà associative, delegando competenze non al potere politico ma alle capacità reali di soggetti che per i loto titolo acquisiti e comprovati sappiano offrire una direzione alla cultura di Agrigento e una capacità di elaborazione concreta e di rinascita. Tutto ciò ha un nome, trasferibile anche in sede di gestione della politica culturale, e si chiama “teoria della decrescita”; su questo principio si potrebbe benissimo rinunciare ad almeno uno degli spettacoli previsti al Pirandello, al titolo in cartellone più culturalmente inutile o degradante, sostenendo il lavoro di cultura reale che un piccolo teatro, tanto simile a strutture prestigiose del teatro off presenti in tutta Europa, potrebbe coltivare con la propria città.”. Beniamino Biondi, ha chiuso il suo discorso chiedendosi:” Se ciò non accade, in barba ai proclami per cui le amministrazioni e gli enti dialogano con i cittadini, che senso ha mantenere una Fondazione che non sa fare cultura e al contempo ha la boriosa ambizione di porsi come massima istituzione culturale della città?”
Diego Romeo
(Fonte: http://www.grandangoloagrigento.it/)