Intanto che le ragazze erano partite avanti, in una ondeggiante fila orizzontale dalla quale fuoriusciva il busto o la testa ora di questa ora di quella per il gran ridere e chiacchierare, i ragazzi camminavano da soli, o al massimo a due a due, tre venivano alla spicciolata, e non parlavano affatto, né sorridevano. Amleto chiudeva la fila ideale e dietro arrivava trafelato il professore:- Ragazzi, e non vi disperdete, aspettatemi, dite alle ragazze di frenare un po’.-
Amleto non rispose e del resto neanche gli altri, le ragazze erano già in cima alla via e di loro non si sentiva che un brusio interrotto da grida acute e risate improvvise. Il professore quasi correva per recuperare la testa del “corteo”, la classe in gita. Così Amleto, rimasto solo, svoltò l’angolo, senza nessuna indecisione. Si ritrovò in un vicolo della città vecchia, risalente verso la collina, dove non c’erano né monumenti né vestigia, forse si intravedeva un cimitero, e gli piacque. Tutto, ma non la gita. Il vicolo era stretto tra le case, ma poi da un lato si scopriva, solo un parapetto di ferro a difesa, e la vista si allargava sul mare, in fondo allo sperone scoglioso. Amleto vi si affacciò, non senza vertigine e desiderio. L’odore forte che risaliva dal fondo della burrasca lo colpì nella turbolenza degli ormoni e reso da questo ancora più malinconico del solito, alzò il bavero del suo giubbotto e infilò le mani nelle tasche dei pantaloni. Il vento lo costringeva lontano dal parapetto, a ridosso degli edifici e dell’olezzo dei portoni. Non c’era nessuno, forse qualche vecchio curvo nel suo cappotto blu, con il berretto di lana o il basco, e qualche donna con il fazzoletto nero intorno al capo che tornava dal cimitero, con la bocca nascosta dalla sciarpa. La burrasca nasceva appena sotto la costa, il mare in lontananza si muoveva a botte di fianchi, come una ballerina del ventre. Questo gli ricordò le sue compagne, che nella notte avevano fatto irruzione nelle loro stanze, per prenderli in giro, e c’erano riuscite benissimo. Oggi non aveva nessuna voglia di vederle, di sentirle, di sopportarle. I ragazzi se ne stavano ingrugniti ed aggressivi e non gli andava di reggere neppure loro. Oggi voleva pensare ai fatti suoi, alle sue storie irrisolvibili, a sua madre soprattutto e alla situazione della sua ragazza, quella si più karmica del mare. Avrebbe voluto averla lì con lui, su quella strada malinconica, tenerla stretta lontana dal freddo. Lei non aveva la vivacità delle sue compagne, quelle note stridule, quegli scoppi improvvisi di allegria e le altrettanto improvvise girate di aggressività. Lei era una timida bionda paglia, che viveva dall’altro lato della città, in una classe al piano sotto alla sua. Una silenziosa. E lui l’aveva considerata la sponda della sua pace. Per questo tornava meno spesso a casa, dove ai silenzi si alternavano sempre più spesso delle grida vergognose, che lui sentiva dalla strada. Così lei era divenuta la stanza nella quale rifugiarsi, la porta in faccia al mondo. Ora se fosse stata qui, avrebbe avuto prova della sua esistenza solo perché le dita fragili della mano avrebbero riposato tra le sue. Si accorse che alle spalle stava avanzando una macchina e si addossò agli scuri di una finestra bassa che affacciava sulla strada. Guardò verso il mare aperto e l’orizzonte era color del ferro. Sarebbe presto arrivata la notte, in pieno giorno, si disse. Così a quel pensiero era svanita la tenerezza che aveva provata pensando alla sua ragazza, ed era subentrato il rancore per sua madre. Anche la sua partenza per la gita non l’aveva minimamente distolta. Lui le aveva chiesto i soldi per la quota scolastica e lei neanche gli aveva risposto, era rimasta a parlare fitto al telefono con il suo nuovo amore, mentre suo padre era al porto a spaccarsi la schiena. Gli aveva indicato il portafogli e lui glielo aveva svuotato. Lo aveva visto, Amleto le sventolava davanti al naso con una certa violenza le cinquecento euro che stava trafugando, e poi le aveva chiuse nel pugno e col pugno stesso l’aveva minacciata, mentre lei continuava a sentire le porcherie che quello le doveva dire per telefono. Non si era turbata, gli aveva spostato la mano guardandolo male. Poi basta. Il cinquecento se lo era tenuto, prova a richiedermelo. Si accorse di avere la mano serrata nella tasca stretta dei pantaloni. Il vento era sempre più forte, e le nuvole stavano per scaricarsi sul mare, in rapida successione sarebbero atterrate sulla costa. Non voleva che questo, bagnarsi e morire. Si accostò al parapetto e rimase a godersi le esalazioni violente del mare, senza che la sua rabbia si placasse. Era così bello il mare, bianco come il cielo nella foschia, e verde come un coccio di bottiglia nelle giornate di novembre. E così calda la sua vita prima, nella casa alta, in cima ad un grande palazzo buio, nella stanza alla sera, illuminata dalla lampada, la voce di suo padre intrisa del racconto, la carezza di sua madre e i loro sguardi, i sospiri nella notte che gli dicevano d’una protezione eterna. Poi sua madre in quel bar. Non poteva ingannarlo a lui. E neppure a suo padre. Era andato a trovarlo al porto, parlato brevemente del più e del meno e pianto mentre lo salutava. Lì suo padre aveva capito. Tutto quello che ne era seguito, era certo, era stato colpa dei suoi nervi fragili, del fatto che non era ancora un uomo, andato a frignare da suo padre perché la madre li aveva traditi. Tornava a casa e li aveva trovati così: la casa rovesciata. Che c’era da gridare ancora? Ed invece ogni giorno erano insulti, e sua madre irriconoscibile. Suo padre era ingrassato, ingrigito, e sua madre più bella, più volgare, il ripiano del bagno ingombro di creme, rossetti, profumi, e alla sera il pavimento sotto la mensola tracimato degli stessi ridotti in cocci. La cucina deserta. La caldaia spenta. Le stanze fredde. Un inverno quasi totalmente senza sole non aveva aiutato. E per questo scendendo le scale monumentali della scuola si era soffermato sulla testa lucente di Ofelia. Nel suo silenzio che l’avvolgeva come l’aura dei santi. In quella pace anche la sua frenesia di averla assumeva in sé un elemento di luce, di vita, da opporre all’inerte gelo del suo letto, all’aria fredda che spirava nella sua vita. Si ritrasse dal parapetto, e camminò più velocemente verso il cancello del cimitero, così in alto dove la strada prima piana bruscamente svoltava in una salita breve al cui sommo partiva un viale di sassi scheggiati e bianchi. Cominciava a piovere, grandi, fredde gocce solitarie. Così lei lo aveva seguito. In ogni angolo buio di quella città a gironi sul mare, in ogni cavità degli scogli, all’asciutto ed al bagnato, senza parole, seguito o condotto, chi poteva dirlo in quei diciassette anni annebbiati da non si sa quale desiderio. Anche la sera prima, seguito di bar in bar, mentre lui non cercava che sua madre, ed ogni poco si fermava per sentire il corpo di Ofelia, che lo salvasse. Ed ogni volta il dolore non si placava, anzi si confondeva alla sua vista il chiarore dei capelli di lei, così vicino la sua fronte alla sua, le ciocche sui suoi occhi, tra le labbra, e la visione improvvisa di sua madre in vetrina, riflessa negli specchi opachi di condensa del locale birreria vicino al porto, vicino a suo padre, vicino a suo padre, che non la vedesse, che non la vedesse. Così aveva tenuto ancor più stretta Ofelia, il tempo di scorgere una luce di smarrimento nei suoi occhi, e poi di sentirla svanire alle sue spalle, rimasta lì a tremare, addossata al muro mentre lui correva verso quella vetrina, a schiacciarci il viso, verso quella donna che sembrava sua madre.
La pioggia ormai è violenta e non c’è riparo. E che importa? Da qualche parte dovrebbe riaprirsi una ferita e che il sangue scorra su quel pietrisco bianco non servirà che a calmargli la rabbia. Un bel salasso, come quelli di una volta, che ha studiato a scuola, nel teatro di uno che non si ricorda più. Perché qualcuno ha tirato fuori il coltello. Non ne aveva mai visto uno così, apparire dal nulla al tavolino sporco di un bar. E sua madre urlava, e lui di più: urli così con lui?
Mentre ricorda i sospiri gioiosi nella notte dell’amore familiare, nella stanza accanto alla sua. Urli così? e mentre lo sospingono con violenza lontano da lei, ritrova lo sguardo di sua madre, quando si piegava su di lui preoccupata per la febbre. Per questo rimane fermo a guardare tutti. E tutti rimangono sospesi, ed Ofelia è via, caduta in strada per seguirlo. E solo mentre si slancia verso sua madre, il coltello lo ferma.
Ma era ieri. Ora è stanco. Il cimitero è impenetrabile, e la pioggia scura come il fondo del mare. Si siederà un attimo, al primo gradino che riuscirà a vedere. Ora non prova lo stesso dolore. E’ solo confuso. Non si sente che il fragore dell’acqua, ma non sembra il suono della pioggia che lui conosce, ma quello di una innumerevole quantità di acque. Gira su e giù per lo stesso viale, cercando qualcosa che non ricorda, e raduna a fatica i pensieri. Potesse rivedere Ofelia e riaverla, qui sotto la pioggia, tra gli alberi di indecorosa bellezza piegati dal vento, al sommo della terra, in alto sul mare, vedere il suo corpo alla luce sfuggente delle acque. E mentre ancora si chiude il cielo, e la pioggia si fa più nera, decide di sedersi, ad aspettare la notte sul gradino di un luogo nuovo, in cui è scolpito un nome che legge a fatica, pur senza temere di riconoscerlo. Ed il nome è Amleto.
Sara Milla