Il centro storico è trascurato, come del resto molti centri storici.
Il denaro utilizzato per salvaguardare il patrimonio storico, culturale, urbanistico, viene sistematicamente dirottato.
In questa città, nel sud della Sicilia, non passano molti mesi senza che una casa del centro storico non collassi su se stessa.
La città crolla in silenzio “è la metafora di ciò che viviamo.”
Poche parole pronunciate con rabbia nel corso di un’intervista con un’emittente straniera, nel tentativo di difendere questa terra contro l’indifferenza.
Un giovane sindaco alle prese con le casse di un Comune disastrato e con le mille difficoltà di garantire tutti quei servizi necessari alla popolazione.
Ci si lascia alle spalle la città, per scendere verso il mare.
La ‘Marina’ – come in molti continuano a chiamare Porto Empedocle -, è quella che una volta era solo il vecchio ‘molo di Girgenti’ e che da un po’ di tempo sembra aver cambiato volto.
Per chi conosce le vicende di mafia che negli anni passati hanno lasciato una lunga scia di sangue ed è alla ricerca di trovare la stessa atmosfera della trilogia del Padrino, la delusione è grande.
Appena arrivati, ci si ritrova in quella che sembra una graziosa cittadina.
Una strada principale ben tenuta, una grande piazza, molti bar che si affacciano sulla via, il porto al quale di recente è stato rifatto il look.
Ben poco che ricordi lo stile antico, nulla che ricordi le stragi di mafia, né qualcosa che faccia pensare ai padrini di Cosa Nostra o ai loro antagonisti della ‘Stidda’ che qui avevano istituito una sorta di quartier generale.
Violenze, terrore, estorsioni, disprezzo della vita, che erano molto distanti dalla sofisticata eleganza di Al Pacino o Marlon Brando.
Eppure oggi, qui non si parla mai di mafia.
Verrebbe da pensare che non esiste.
Questa è Vigata, patria dello scrittore Andrea Camilleri. La Vigata del Commissario Montalbano, la cui statua vigila sul corso principale, perchè nei bar si possa stare tranquillamente seduti senza correre il rischio di veder andare via la luce in tutto il paese e il kalashnikov prenda a sgranare il suo rosario di morte.
L’omertà è sempre presente.
Eppure, proprio in occasione dell’arresto del latitante Messina, si è scoperto che un ‘pizzino’ conteneva un dato allarmante: la ‘messa a posto’ di aziende che avrebbero finito con il lavorare alla realizzazione di una grande opera industriale.
Centinaia di milioni di euro per lavori ancora non messi in gara, ma per i quali evidentemente Cosa Nostra sapeva già chi avrebbe partecipato. Chi avrebbe vinto.
Un benessere forse apparente.
Come apparente potrebbe essere il benessere economico dell’Amministrazione locale, che in bilancio ha portato somme di denaro promesse da una grande azienda, ma la cui esigibilità dipende da molti fattori, alcuni dei quali ancora imprevedibili.
Lasciamo perdere la mafia – con le sue stragi, con i suoi ‘pizzini’, con il dolore che ha seminato – per guardare un po’ più da vicino questa sorridente città che sembrerebbe volersi riscattare.
Grandi interessi industriali, che promettono ricchezze e sviluppo economico per un paese affamato di lavoro.
Ma di ‘fame’, parlano anche le recentissime cronache che ci parlano di acquisti di voti da parte di politici. Di scambi fatti anche con la mafia da parte di loro congiunti.
E sempre di fame si parla in Consiglio Comunale.
Accuse velate mosse da consiglieri che dicono di essere stanchi di assunzioni di persone vicini a politici, individuate sol perché hanno come caratteristica quella di possedere i ‘capelli biondi e occhi azzurri’.
Se Berlusconi guarda alle misure – 90 – 60 – 90 – c’è da dire che le grandi aziende che qui hanno interessi milionari non fanno distinzione di sesso.
Uomini o donne che siano non importa.
Forse anche loro partono con il principio berlusconiano, secondo il quale la gente va aiutata.
Accade così che si diano anche gli incarichi professionali a compagne o altre aziende assumano le ex.
Qualsiasi cosa, purchè si tratti di risposte occupazionali.
Il paese ha fame e basta poco – anche dar lavoro a pochi disoccupati -, per alleviare le sofferenze della gente e aiutare lo sviluppo economico di questa piccola cittadina del sud, che, messe da parte le violenze, il terrore, le lunghe scie di sangue, si riscatta dandosi un tocco di sofisticata eleganza.
Da un estremo all’altro: dalle difficoltà economiche di Agrigento, all’apparente benessere della ’Marina’. Da Agrigento capitale della mafia, a Porto Empedocle, dove di mafia non si parla mai.
Guardando l’orizzonte del mare e le barche che dondolano pigre nelle sicure acque del porto, mi chiedo: chi è nato e vive qui, cosa ha fatto per esserci nato?
Guardo in alto verso la collina. La pigra Agrigento, con le sue brutture, con i palazzoni e le case che cadono a pezzi, sembra quasi ammiccare sorridente: non tutto è oro quel che luccica!
Gian J. Morici
Bisognerebbe capire perchè la strada che doveva fare da circonvallazione di Porto Empedocle dove sono stati spesi più di 100 miliardi delle vecchie lire
è abbandonata al suo destino e chi pagherà i danni di questo scempio.